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Legislazione schiacciasassi: ecco un'altra famiglia-pacchetto

Storia di Zelal e della sua famiglia curda, che per le autorità dev’essere rispedita in Turchia anche se sarà perseguitata. La petizione degli amici

In sintesi:
  • La ragazza si sta formando alla Scuola superiore d'arte applicata, il fratello come elettricista
  • Dal ’21 ad oggi un percorso di integrazione importante. In preparazione un ricorso alla Cedu
Yekta e Zelal, fratello e sorella curdi, in Ticino con la famiglia
(Ti-Press/S. Golay)
8 marzo 2025
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Disumano. È l’aggettivo che meglio inquadra le modalità con cui le autorità svizzere stanno gestendo il caso (purtroppo uno fra i molti) della famiglia Pokerce, residente a Riazzino, costituita da papà Yahya, mamma Muhterem e da tre figli: Zelal, che è una ragazza di 20 anni, Yekta, un ragazzo di 19, e Azad, di 11 anni, allievo della scuola speciale di Riazzino perché portatore di una sindrome da spettro autistico. La famiglia proviene dalla Turchia ed è di etnia curda. Yahya, oggi 52enne, nel 2014 avrebbe condiviso su Facebook una vignetta su Erdogan considerata offensiva, così nel 2016 era stato licenziato dal suo posto di tecnico in radiologia e nel ’21 ha ricevuto una notifica di processo con l’accusa di insulti al presidente. Per questo è in pericolo, ha dovuto lasciare il Paese e finirebbe in carcere qualora vi facesse ritorno.

Le cinque esistenze dei Pokerce sono segnate da un doppio rifiuto: quello identitario sancito dal governo Erdogan e quello di una speranza, richiesta alle autorità elvetiche. Speravano che un Paese come la Svizzera – raggiunto nell’ottobre del ’21 – desse prova di sensibilità, comprensione e accoglienza. Così è stato effettivamente nella società civile, che li ha adottati, facendo sentire i ragazzi come (anzi, meglio che) se fossero a casa loro. Non sta invece succedendo a livello politico-istituzionale, dove prima la solita Segreteria di Stato per la migrazione (Sem), poi il Tribunale amministrativo federale (Taf) hanno respinto una richiesta d’asilo. Così è ora necessario elemosinare una semplice, ulteriore richiesta emergenziale: consentire ai ragazzi, nel quadro dell’“aiuto d’urgenza” concesso a chi è sprovvisto di qualsiasi permesso, di continuare un’attività lavorativa o di studio. Vale per Yekta, che si sta formando come elettricista a Lamone e al Cpt di Mendrisio, e vale per Zelal, che frequenta il corso di Design visivo alla Scuola specializzata superiore d’arte applicata (Sss’aa) della Csia. Una sinistra caratteristica dell’“aiuto d’urgenza” è infatti precludere ai maggiorenni la possibilità di fare alcunché: non possono andare a scuola, né lavorare; possono solo crogiolarsi nella disperazione, aspettando il rimpatrio forzato.

Quegli accordi fra Svizzera e Turchia

In questa storia c’è anche un angelo custode: è Immacolata Iglio Rezzonico, avvocato con studio a Lugano che si è presa a cuore il destino dei Pokerce, così come quello di un altro centinaio di casi simili al loro, di cui una decina considerati “di rigore”. Iglio Rezzonico non ha paura a circostanziare i motivi del diniego della richiesta d’asilo della famiglia: «È semplice: la Svizzera sta facendo accordi con la Turchia. Quest’estate è stata emessa una sentenza a Corti unificate da parte del Tribunale amministrativo riguardante i turchi di etnia curda che arrivano a chiedere asilo. Si dice che in base a informazioni date dal governo turco (sic!) tutti i curdi richiedenti l’asilo in Europa arrivano con dossier falsi, riportando procedimenti penali che in realtà non esistono. Inoltre, lo stesso Tribunale amministrativo federale dà credito alle garanzie del governo turco secondo cui il suo sistema giudiziario funziona benissimo e non c’è quindi nessun problema a far rimpatriare le persone. Addirittura una sentenza della Sem fa riferimento a quanto detto, in questo senso, “alla televisione turca”. Siamo evidentemente oltre ogni immaginazione». Così come lo sono, per Iglio Rezzonico, la Legge federale sugli stranieri e la Legge sull’asilo, da lei considerate «leggi estremamente razziste e che per questo andrebbero urgentemente cambiate».

Senza permesso né statuto

Nella denegata ipotesi che ciò un giorno possa succedere, si susseguono i drammi familiari e individuali. Come quello dei Pokerce: «Dal suo arrivo in Svizzera, nel 2021, la famiglia ha fatto di tutto per integrarsi, imparare l’italiano, seguire delle formazioni, farsi voler bene – considera l’avvocato Iglio Rezzonico –. E ci è riuscita. Tuttavia, oggi risulta illegale sul territorio perché non ha più nessun tipo di permesso e ha esaurito tutte le istanze giudiziarie interne a disposizione. Dopo il ritiro del permesso N (quello della procedura) ci si ritrova senza statuto. Chi è in questa situazione ed è minorenne e in formazione di base (scuola obbligatoria) può continuare a frequentare le lezioni fino al giorno del rimpatrio; chi è fuori dalla formazione obbligatoria deve invece interrompere ciò che fa, a meno che le autorità (Sem o Ufficio migrazione) diano dimostrazione di tolleranza, consentendo di proseguire con la scuola fino al giorno del rimpatrio, in questo caso fissato appunto al 12 dicembre 2024; parliamo quindi di un termine già trascorso, per fortuna in modo infruttuoso».

L’inflessibilità della Sem

Iglio Rezzonico aveva chiesto alla Sem di concedere la proroga di due anni affinché i ragazzi potessero appunto terminare il loro percorso scolastico e formativo, anche se non obbligatorio. Questo, «in base al diritto allo studio e alla formazione sancito dalla Convenzione dei diritti umani, che continua a esserci malgrado sembra valga sempre più come carta straccia». Sempre su quella base, prosegue la legale, «i due anni sarebbero serviti per organizzare in Turchia una presa a carico adeguata alle esigenze del piccolo Azad». Purtroppo, a gennaio la Sem aveva risposto picche perché, stando alla motivazione, “sulla base della documentazione prodotta agli atti non sussistono elementi atti a giustificare una proroga del termine di partenza”. Infatti, la formazione di Zelal alla Sss’aa “non costituisce una formazione professionale di base, ma una formazione scolastica di livello terziario e (...) non rientra dunque nella casistica delle formazioni per le quali è possibile accordare una proroga del termine di partenza”. Inoltre, tale formazione è iniziata durante l’anno scolastico 2024-25, quindi poco prima dell’ultima decisione d’asilo negativa, quella del Taf. La Sem si premurava infine di sottolineare che “la Polizia degli stranieri è incaricata di eseguire l’allontanamento” di papà, mamma e dei tre figli, i quali venivano pregati “di rispettare gli ordini di tale autorità”. In caso contrario si sarebbero esposti “ad eventuali misure coercitive”.

Un Sos al governo e l’impegno di Carobbio

L’ultima spiaggia è un appello all’Ufficio della migrazione del Dipartimento delle istituzioni, cui una “parola buona” da parte del Consiglio di Stato potrebbe servire per agire con il cuore anziché con la frusta. E questo nonostante i paletti oggettivamente stretti entro cui il governo è costretto a muoversi, che appaiono per altro ancora più stretti se consideriamo il suo orientamento a destra. Proprio per stare a galla in questo mare agitato, Iglio Rezzonico a fine gennaio aveva scritto direttamente alla consigliera di Stato socialista Marina Carobbio Guscetti, direttrice del Decs, annunciando la preparazione di un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) e chiedendo di perorare la causa dei Pokerce per consentire a Zelal e Yekta di proseguire le loro formazioni fino a una sentenza di Strasburgo.

Da noi raggiunta, Carobbio Guscetti dice di aver «portato la lettera all’attenzione del Consiglio di Stato alcune settimane fa. Si tratta di una questione complessa perché la decisione non è unicamente di competenza cantonale, essendo coinvolta anche la Segreteria di Stato per la migrazione (Sem). Al momento sto approfondendo la situazione dei giovani, attualmente scolarizzati, per valutare se e come sia possibile permettere loro di portare a termine le loro formazioni in Ticino, cosa che personalmente ritengo auspicabile perché il diritto alla formazione e la tutela dei diritti dei minori per tutti i bambini, le bambine e i giovani, indipendentemente dalla loro origine, sono per me una priorità. Purtroppo non sta a me decidere la concessione della proroga della permanenza. Il tema sarà oggetto di discussione con il Consiglio di Stato».

Le firme

‘Lasciamo che finiscano le loro formazioni’

Sull’onda dell’emozione suscitata dalla notizia che i Pokerce potrebbero dover lasciare tutto e tornare da paria in patria, gli amici e i compagni di scuola di Zelal e Yekta lanceranno a giorni una petizione al Consiglio di Stato. L’appello è chiaro: “Lasciamo finire la formazione a Zelal e Yekta!”. Bello e significativo il testo accompagnatorio, che ricorda gli antefatti della fuga in Svizzera, l’impegno dei ragazzi per imparare l’italiano – oggi padroneggiato – e anche la “marcia in più” di Zelal, che oltre a frequentare la Sss’aa “è attiva nell’Associazione Ludo Ticino, va ai festival di letteratura e dopo scuola si ferma a bere un tè con i compagni”.

Se hai vent’anni, esclama la petizione, “non puoi passare le tue giornate a casa. Soprattutto se lì, a due passi da casa tua, c’è una scuola dove stavi andando e che ti interessa”. Perché? è la domanda che è lecito porsi, e che risuona nel testo in tutta la sua cruda semplicità. “Che fastidio potranno mai dare due giovani con buona voglia di fare, con sete di vita e ottimi voti, se vanno a scuola invece di stare a casa?”. L’obiettivo di chi firmerà la petizione è che “le autorità ticinesi diano la possibilità a Zelal e Yekta di terminare i loro studi malgrado il loro statuto d’‘aiuto d’emergenza’”.

Zelal: ‘Faccio ciò che mi riesce meglio nella vita’

Ciò che ci colpisce di Zelal sono la freschezza del sorriso, l’energia e la viva intelligenza. «Ho già scritto alcuni libri – dice di sè, ricordando la sua vita precedente – e uno è stato pubblicato in Turchia dalla casa editrice Lora. Parlano d’amore». Dopo l’arrivo in Svizzera, nel 2021, «ci hanno destinati prima a Zurigo, poi a Chiasso, poi a Balerna – racconta –, e infine al centro di Cadro, dove siamo rimasti per un anno e 7 mesi prima di poterci trasferire nella casa di Riazzino. Nel frattempo abbiamo frequentato la scuola d’integrazione per imparare la lingua». Zelal ha frequentato diversi stage, fra i quali uno, che giudica «fondamentale», allo Studio Macaco di Agno, che terminati i 6 mesi previsti è stato prolungato «perché tutto andava più che bene». Poi un giorno ha visto la Csia «e mi sono detta “io voglio andare lì”. A scuola seguo un corso che mi offre una formazione intensiva in settori come i videogiochi, l’animazione, il “design web” e la modellazione 3D. Mi sento benissimo perché faccio ciò che mi riesce meglio nella vita e tutti mi vogliono bene, anche i professori».

Alcuni di loro firmeranno la petizione, anche se la scuola ha deciso che non figurerà fra i patrocinatori. Certamente un’occasione persa per dimostrare non chissà che, ma almeno uno scampolo di coraggio civile.