Si pensa che scrivere musica per gli horror renda cupi e invece (forse c’entra il Brasile) è il contrario. Stasera a ‘Tutti i colori del giallo’
Gli appassionati del crimine e di ‘Profondo rosso’ in particolare si rallegreranno nel sapere che molto presto uscirà una versione della colonna sonora contenente sangue. Non sarà sangue vero, è chiaro, ma liquido che gli somiglierà. I prodigi della tecnologia lo verseranno tra un lato e l’altro di un costosissimo vinile ematico che già da qualche giorno ha una versione alternativa ‘picture’ per il 50ennale del film. Claudio Simonetti, luganese acquisito, insieme ai suoi Goblin registrò ‘Profondo rosso’ quando aveva poco più di vent’anni, insieme al bassista Fabio Pignatelli, al batterista Walter Martino (figlio di Bruno, quello di ‘Estate’) e al chitarrista Massimo Morante (1952-2022), col quale era stato a Londra a cercar fortuna nella nicchia del progressive rock.
Guidati da Claudio, una mattina d’inizio maggio in riva al Ceresio, siamo tornati alle origini di quel disco e, indirettamente, di quel film, prima che a farlo sia anche ‘Tutti i colori del giallo’, la rassegna di Luca Crovi che ha voluto il musicista romano ospite questa sera della Lux Art House per parlare dei cinquant’anni di ‘Profondo rosso’ insieme a Manlio Gomarasca, e per poi musicare il film dal vivo con i Claudio Simonetti’s Goblin.
La storia inizia più o meno così: nel 1975, per l’imminente suo sanguinolento film, Dario Argento commissiona a Giorgio Gaslini (1929-2014) musiche che avrebbe preferito fossero quelle dei Pink Floyd, in altre faccende affaccendati (le registrazioni di ‘Wish You Were Here’), o dei Deep Purple, invano. «Però quel ‘Profondo porpora’ gli era entrato in testa e Dario aveva detto che un giorno avrebbe fatto qualcosa che si sarebbe chiamato così».
© Simonetti
Con Dario Argento
‘Profondo rosso’, oltre che manifesto dell’horror, è il prog al potere: «Eravamo quattro ragazzi cresciuti con gli Yes, i Genesis e i King Crimson», ricorda Claudio. «Fummo scelti da Dario perché facevamo un tipo di musica che s’adattava a quella che lui stava cercando. Da parte nostra, mai avremmo pensato di poter fare musica da film, con tutto che conoscevo Dario per aver visto al cinema ‘L’uccello dalle piume di cristallo’, rimanendone impressionato». E quando Argento si separa da Gaslini perché non soddisfatto dell’impostazione puramente orchestrale delle musiche, si mette nelle mani di quattro teenager o poco più dei quali Claudio, 22enne, era il più adulto: «Dario fu coraggioso, ci disse che avremmo dovuto comporre i temi principali perché mancavano, così realizzammo il provino di ‘Profondo rosso’, la prima traccia, che gli piacque tanto. Lo studio di Roma nel quale registravamo, l’Ortophonic (oggi Forum, ndr), che al tempo era lo studio di Piccioni, Morricone e Trovajoli, si trovava sotto la basilica del Sacro Cuore di Maria e al suo interno ha un organo mastodontico con 15mila canne, collegato con i microfoni al banco di registrazione. Mi mandarono in cuffia la base e io lo suonai. ‘Profondo rosso’ è nata grazie soprattutto a questa sonorità imponente».
Era il 1975, non esistevano ancora tastiere digitali che riproducessero un organo da chiesa, o se lo facevano «erano bruttarelle…». Davanti a quell’organo, Claudio ci si è seduto giusto un mese fa: «Ho risuonato le stesse note, che emozione grande…».
A inizio anni Settanta, Londra era il sogno proibito per chi voleva sfondare nella musica. «L’Italia di quel decennio era un Paese bigotto, gli inglesi erano avanti, lo sono sempre stati. La contestazione è nata lì e noi li abbiamo scimmiottati. Certo, promuovere la nostra musica in Inghilterra era come per un americano venire a promuovere la pizza a Napoli. Non era facile per noi, ma nemmeno per i gruppi britannici, i Genesis ebbero successo prima all’estero e poi in patria». E in un certo senso fu meglio così, perché al ritorno in patria, i Goblin che solo un anno prima si facevano chiamare Oliver vennero presentati alla casa discografica Cinevox da Enrico Simonetti (1924-1978), il papà di Claudio, indimenticato uomo di musica e di televisione. «Per noi era una cosa che sarebbe finita lì», e invece l’album ‘Profondo rosso’ vendette un milione di copie in dieci mesi, il 45 giri restò per 15 settimane in vetta alla Hit Parade italiana e alla 16esima fu proprio papà Enrico a togliere al figlio il primo posto con ‘Gamma’, tema della serie tv Rai.
A oggi, ‘Profondo rosso’ ha venduto quattro milioni di copie. «L’arpeggio è suonato con un vero clavicembalo, ma avevo anche un minimoog, comperato nel 1970. Ci sono una chitarra acustica, l’organo da chiesa, la batteria di Walter e il basso di Fabio, determinante per il suono del disco».
I ragazzini dell’horror si sarebbero ripetuti nel 1977 con la colonna sonora di ‘Suspiria’, dove la paura ha la voce ‘diabolica’ di Simonetti che accompagna il tema e si fonde con la world music: «Se per registrare ‘Profondo rosso’ bastò una settimana, per registrare ‘Suspiria’ ci volle un mese e mezzo di studio. Usammo strumenti etnici, un bouzouki greco, una tabla indiana, e un enorme moog con tutte le sequenze». ‘Suspiria’ è il film più famoso di Dario Argento nel mondo: «In Giappone uscì addirittura prima di ‘Profondo rosso’, che venne chiamato ‘Suspiria parte seconda’». E si chiama ancora così, accompagnato dal sottotitolo ‘Deep Red’. Poi sarebbero arrivate le musiche di ‘Zombi’ (Dawn of the Dead) di George A. Romero, prodotto da Argento.
‘School at Night’
A nome proprio e non più con quello dei soli Goblin, scioltisi nel 1978, Simonetti firma le musiche di Dario Argento da ‘Phenomena’ in poi, per un totale di quattordici film del regista romano, undici diretti in prima persona e tre prodotti. E non tutte le musiche contengono i tempi dispari, caratteristica del prog ma anche di ‘Profondo rosso’ e di molti altri momenti horror cinematografici, dalle ‘Tubular Bells’ (1971) di Mike Oldfield che accompagnano ‘L’esorcista’ di William Friedkin in avanti. Chiediamo: sono i tempi dispari che mettono paura, che ci tolgono la terra sotto i piedi? «Non necessariamente», risponde Simonetti. «‘Suspiria’, per esempio, non è dispari, ‘Profondo rosso’ e ‘Tenebre’ sì. Ma posso concederti che a livello di subconscio il tempo dispari venga vissuto come qualcosa di strano, di spiazzante». Claudio lo mette insieme ai carillon, come la nenia di ‘School at Night’ in ‘Profondo rosso’, autore il solo Gaslini, che con una dissonanza messa a tradimento, nella più pura e innocente delle melodie, rovinò il sonno di molti. «Anche quello di ‘Suspiria’ è una sorta di carillon infantile. Il fatto è che negli horror i bambini mettono sempre paura perché non hanno moralità, perché sono una mente contorta, vedono il mondo a modo loro e sono capaci di qualsiasi cosa. Come quelli de ‘Il villaggio dei dannati’, di John Carpenter».
A proposito di Carpenter, di bambini negli horror e di ‘Halloween’, film uscito tre anni dopo ‘Profondo rosso’: «Conosco bene John e lui conosce bene me. Quando ci incontrammo la prima volta mi disse “ti ho rubato tutte le musiche!”. Anche di recente, alla fine di un’intervista fatta insieme, mi ha detto che sono stato il suo ispiratore. Ho tanti amici e fan americani, uno è Eli Roth (‘Cabin Fever’, ‘Hostel’), che nel 2011 venne a sentirmi in concerto in America. Pure lui ha fatto film spaventosi, penso solo a ‘The Green Inferno’, uno splatterone esagerato che si rischia di non arrivare alla fine…».
La storia dei primi Goblin termina dopo le registrazioni di ‘Zombi’. Quei primi tre dischi sono ancora oggi oggetto di culto, discografico e dal vivo. Tra ottobre e novembre i Simonetti’s Goblin li porteranno in tour. «Il 1978 fu un brutto anno. Morirono mio padre e il padre del chitarrista, morì Aldo Moro e con il suo assassinio si chiusero gli anni di piombo. I sessantottini erano diventati trentenni, della politica improvvisamente non gliene fregava più niente, iniziava un grande boom economico e la gente si voleva divertire. Uscirono ‘La febbre del sabato sera’, ‘Grease’ e il prog rock morì, o perlomeno andò in letargo. Io cominciai a frequentare le discoteche, conobbi il produttore Giancarlo Meo che mi propose di fare qualcosa».
Quel qualcosa era la dance. «Grazie a Paolo Micioni produssi il primo album degli Easy Going, dal nome del locale in cui lui faceva il dj. Per la Banana Records facemmo anche Vivien Vee e ‘Capricorn’». È qui che arriva Claudio Cecchetto: «Ci conoscemmo a Discoring, mi disse che aveva in testa un pezzo nel quale lui dava dei comandi e la gente li eseguiva. Me ne andai a casa a comporre una musica che facesse ballare, e se davvero vuoi ballare, la soluzione è sempre la tarantella». Cecchetto fu chiamato a presentare Sanremo, usò il ‘Gioca Jouer’ come sigla e il resto è storia. «Oggi ascolto tanta dance, il rock è stantio, c’è molta più sperimentazione nella dance che nel pop. Dj come David Guetta fanno cose molto belle, sono produttori e hanno le idee chiare, e si attorniano di gente brava».
Claudio sostiene che passare dal prog rock alla dance gli risultò facile, forse per via delle sue radici brasiliane, per le quali, una volta stabilitosi a Lugano, ha fotografato il golfo e l’ha spedito agli amici fingendo di essere a Rio.
«Sono nato a San Paolo, e ci ho vissuto undici anni. Mio padre andò in Brasile dopo la guerra, in tournée con Luciano Salce e Adolfo Celi. Lo trovarono meraviglioso e si stabilirono tutti lì. Mio padre diventò famoso, aveva il suo ‘Simonetti Show’; Salce ci rimase cinque o sei anni, Celi tre o quattro. Sono cresciuto in un Paese solare, sono nato di martedì grasso, mia madre diceva che nella clinica le ostetriche ballavano. Mi collegano alla paura, ma ho una personalità doppia, pensano tutti che io sia uno schivo e scostante per via degli horror e invece sono allegro. Se vedi Dario Argento, è un buontempone pure lui. Le persone più tristi della terra non sono gli amanti dell’horror, ma gli attori comici».
Dal manifesto americano