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‘Alcune vittime ci chiedono di accompagnarle dal Vescovo’

Primi casi al Gruppo di ascolto per abusi in ambito religioso (GAVA). La presidente Myriam Caranzano: ‘C'è chi tace per decenni e chi non parlerà mai’

Primi casi al Gruppo di ascolto per abusi in ambito religioso (GAVA). La presidente Myriam Caranzano: ‘C'è chi tace per decenni e chi non parlerà mai’

13 maggio 2025
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Un anno e mezzo fa circa, lo studio dell’università di Zurigo, voluto dai Vescovi svizzeri, fotografava la realtà ancora tabù in Svizzera, degli abusi sessuali nella Chiesa cattolica romana svizzera: 1’000 casi documentati dal 1950 da parte di sacerdoti e membri degli ordini religiosi e una diffusa cultura dell’insabbiamento che ha favorito il ripetersi delle violenze. Il caso anomalo della Diocesi di Lugano aveva fatto discutere per i pochi casi venuti alla luce e soprattutto per la distruzione di ogni traccia, ossia dei documenti dell’archivio diocesano riferiti a sacerdoti problematici. Per ricostruire i fatti, i ricercatori di Zurigo fanno capo alle testimonianze delle vittime o di chi era a conoscenza dei fatti. Intanto, in Ticino, lo scorso ottobre è stato creato il Gruppo di ascolto per le vittime di abusi in ambito religioso (GAVA) che non ha alcun tipo di legame con la Diocesi di Lugano, né con gli apparati statali, ma ha al suo interno vittime che ascoltano altre vittime. Un modello già sperimentato con successo nel resto della Svizzera, dove sono attivi dal 2010 il gruppo SAPEC in Romandia e da 3 anni il gruppo IG-M!kU nella Svizzera Tedesca. La presidente di GAVA: «In questi mesi ci hanno chiamato alcune vittime. Dopo averle ascoltate, le indirizziamo dove possono trovare l’aiuto che chiedono. Alcuni hanno voluto essere accompagnati dall’amministratore apostolico di Lugano, monsignor Alain De Raemy per raccontargli ciò che hanno vissuto» spiega Myriam Caranzano, già direttrice dell’ASPI (la Fondazione ticinese per l’aiuto, il sostegno e la protezione dell’infanzia) ed esperta a livello internazionale di prevenzione della violenza e dell’abuso sui minori. «Sono storie di sofferenza. Molti hanno taciuto per decenni. Chi ha subìto violenza non cerca soluzioni, ma un ascolto genuino senza giudizio, senza pressioni».

Ti-PressMyriam Caranzano: ‘Chi abusa non ha un segno distintivo’

Le vittime chiedono fatti concreti che vadano a scardinare quel sistema di copertura che ha permesso il ripetersi di abusi sessuali. I vertici della Chiesa hanno annunciato misure: uno sportello indipendente per il sostegno alle vittime, un tribunale penale ecclesiastico nazionale, test psicologici per i nuovi sacerdoti. Basterà tutto ciò? «Un primo passo», dice Caranzano.

Un anno e mezzo fa si commentavano le prime cifre degli abusi sessuali nella Chiesa in Svizzera: che cosa è cambiato da allora?

C’è più consapevolezza. Nessuno può dire che il problema non esiste perché ci sono le cifre. Il passo successivo è quello di aiutare le vittime e fare prevenzione.

Da anni, lei si occupa di formazione in Diocesi: si fa abbastanza?

Non c’è stato nulla per secoli. Dal 2016 abbiamo organizzato i primi corsi di 4 ore per sensibilizzare tutti i sacerdoti. La pandemia li ha interrotti ma sono ripresi dopo lo studio di Zurigo: corsi di prevenzione per i preti, mentre in parallelo con monsignor Alain De Raemy abbiamo incontrato i fedeli.

Che sensibilità ha trovato?

La maggior parte dei sacerdoti è consapevole della gravità degli abusi e delle sofferenze inflitte alle vittime. C’è poi chi ancora fatica a crederci e tende a banalizzare. Infine, una piccola parte manifesta forti resistenze. Alla fine di un corso obbligatorio, un sacerdote mi ha confessato che era scettico, ma ringraziava mons. De Raemy per essere stato insistente. Il corso gli era stato utile.

Malgrado i corsi, gli abusi continuano, anche per mano di sacerdoti insospettabili come ad es. don Rolando Leo, accusato di coazione e abusi su fanciulli. Sarebbero nove le vittime che per anni sono state in silenzio o non ascoltate. Il sacerdote, ora in espiazione pena anticipata, era anche responsabile dell’Ufficio dell'istruzione religiosa scolastica cantonale. L’ha stupita?

È stato terribile. Ho lavorato per anni con don Rolando Leo proprio nell’ambito della prevenzione degli abusi e non ho mai sospettato potesse avere tali inclinazioni. Purtroppo chi abusa non ha un segno distintivo. Andrebbe studiato che cosa scatta nella testa di queste persone. E soprattutto che cosa avrebbe potuto fermarli!

Manca una presa a carico specialistica di chi ha pulsioni pedofile: lo rimprovera l’Ufficio federale delle assicurazioni sociali al Ticino. Condivide?

Bisogna essere realisti, una parte della popolazione ha queste pulsioni sessuali e bisogna aiutarla a non soddisfarle. A livello nazionale ci sono centri di trattamento specializzati per chi è attratto sessualmente da minori (come il servizio Forio e l’associazione Dis No): li aiutano a non passare all’atto. Anche in Ticino servirebbe un’antenna simile.

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Altro caso controverso è quello di Jean Scarcella in Vallese. Dopo una sospensione di 17 mesi nel 2023 durante le indagini su un caso che lo riguardava per presunti abusi sessuali ha appena ripreso le sue funzioni di abate di Saint-Maurice. A fine 2024, il Vaticano dichiarò che non c'erano prove e anche il Ministero pubblico vallesano aveva archiviato il caso.

L’impatto di questo caso è devastante per la Chiesa e fa male a chi si impegna in modo onesto. Sembra che nulla cambi. In realtà si fanno, seppur lentamente, piccoli progressi.

Quale è l’obiettivo dei gruppi di vittime che aiutano altre vittime?

Sono gruppi nati da vittime di abusi sessuali nell’ambito della Chiesa che hanno il supporto di altri professionisti. Offrono un importante ascolto tra pari. Né lo Stato né la Chiesa possono farlo. Parlare con chi ci è passato, è molto apprezzato e fa la differenza. Un altro obiettivo è portare la parola delle vittime il più in alto possibile.

Che cosa vi chiedono le vittime?

Alla maggioranza non interessano gesti simbolici come una messa per chiedere perdono. Necessitano di un ascolto autentico, anche ripetuto. Sono tanti e si fanno sentire: chiedono un cambiamento e fatti concreti che vadano a scardinare un sistema di copertura sistematica degli abusi. Sono una importante bussola per la Chiesa.

Gava ha già gestito casi in Ticino?

Abbiamo avuto alcuni casi, tutti significativi, tutti prescritti. Dopo aver ascoltato le loro storie, anche più volte, le vittime hanno voluto parlare con altre vittime, essere accompagnate da mons. Alain De Raemy o ci hanno chiesto di portargli le loro richieste. Momenti delicati che fanno emergere vissuti dolorosi ma servono alle vittime per elaborare il tradimento, per scardinare una sofferenza che hanno soffocato e trascinato per decenni. Aiuta per andare avanti con dignità.

Ci si improvvisa nell’ascolto di una vittima?

Attualmente, tre professionisti, tutti con lunga esperienza nell’ascolto di vittime, rispondono alle telefonate. Abbiamo il supporto di due vittime. Stiamo facendo formazione. È la qualità dell’ascolto che fa la differenza quando una persona vuole depositare un dolore che lascia cicatrici fino nell’anima. Impegnarsi in queste associazioni richiede motivazione e sforzo, non tutti ce la fanno. Con le altre due associazioni (SAPEC e IG-M!kU) stiamo valutando di creare un gruppo nazionale per avere più impatto e risorse.

Ci sono vittime che non parleranno mai?

Assolutamente sì. C’è chi racconta degli abusi sul letto di morte chiedendo di essere confessato, perché crede ancora di essere colpevole, di aver favorito in qualche modo l’abuso.

Come aiutarle a farsi avanti?

Chiarendo un punto centrale: ‘La vittima non ha mai alcuna colpa per quello che è successo! Parlarne può essere di aiuto per stare meno male. A GAVA c’è chi è pronto ad ascoltare senza giudizio. Abbiamo un numero di telefono (091 210 22 02), un indirizzo email (info@ascoltogava.ch) e un sito (https://ascoltogava.ch).

Cosa pensa della decisione del Consiglio di Stato di introdurre l’obbligo di denuncia nella legge cantonale sulla Chiesa cattolica e quella evangelica riformata?

Per me è ovvio: chi viene a conoscenza di un reato di questo genere deve denunciarlo: nella Chiesa come in qualsiasi ente od organizzazione. Non si può avere una giustizia a geometria variabile e se questo è ancorato nella legge, può solo aiutare. Detto questo, credo che le chiese, almeno in Svizzera, hanno per lo più appreso la lezione e avvisano subito le autorità penali quando sospettano un caso.

Dalla Diocesi

Indirizzare i nuovi casi ai servizi dello Stato

La priorità per la Diocesi di Lugano è «la prevenzione, con estrema attenzione a chi, vittima, potrebbe trovarsi nell’incapacità di riuscire ad affidarsi. La collaborazione con l’ASPI è ottima e prosegue. Permette anche di saper offrire, in particolare ai più vulnerabili, preziosi strumenti di autodifesa e libertà», ci spiega l’Amministratore apostolico di Lugano, monsignor Alain De Raemy. Qualcosa sta cambiando. Ad esempio, dall’inizio dell’anno gli uffici di segnalazione ecclesiastici non offrono più un servizio di consulenza alle vittime, bensì le indirizzano sistematicamente agli uffici cantonali di consulenza alle vittime (servizio LAV), dove possono ricevere sostegno e consulenza indipendenti.

Questo significa che la commissione di esperti in caso di abusi sessuali in ambito ecclesiale della Diocesi di Lugano non sarà più, di fatto, operativa. Precisa al riguardo De Raemy: «La nostra commissione, nella sua recentemente allargata composizione con esperti di grande professionalità, continua a essere attiva come luogo di consulenza per me e per la Diocesi, oltre che di scambio sulle situazioni già note e quelle che ci verranno, forse, comunicate dagli uffici di consulenza cantonali o di altre organizzazioni di ascolto (come il Gruppo di Ascolto GAVA), su richiesta delle persone vittime».

Ti-PressAlain De Raemy: ‘Non chiuderemo la porta a nessuno’

La Diocesi non chiuderà comunque la porta in faccia alle vittime. «Proprio in sintonia con la LAV è stato sempre evidente per tutti che non si chiuderà mai la porta a qualunque persona parli spontaneamente al Vescovo o a una delle nostre persone di contatto», conclude De Raemy.