laR+ Monte Carasso

World Press Photo, Mahmoud e altre storie

A SpazioReale dal 24 maggio al 15 giugno la mostra itinerante del più importante concorso fotografico legato al fotogiornalismo. Incontriamo il curatore

‘Droughts in the Amazon’
(Musuk Nolte, Panos Pictures, Bertha Foundation)
23 maggio 2025
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Da fotogiornalismo a fotogiornalismo, da Mario De Biasi a World Press Photo. Congedato il grande fotografo italiano nella mostra a lui dedicata e da poco conclusa, SpazioReale è pronto ad accogliere le immagini del più prestigioso concorso di fotogiornalismo al mondo, nella mostra itinerante che ha in Monte Carasso, unica tappa svizzera, uno dei suoi 120 punti d’approdo. World Press Photo è organizzazione olandese no-profit che dal 1955, anno di fondazione, premia i migliori fotografi professionisti della stampa, i fotogiornalisti e i fotografi documentaristi, fornendo una sorta di ‘termometro’ del mondo contemporaneo. In primavera ufficializza la Foto dell’anno ma anche le Storie dell’anno (da 3 a 10 fotografie), i Progetti a lungo termine (da 14 a 30) e gli Open Format (narrazioni miste con la fotografia come elemento principale). Dalla selezione a livello regionale (Africa, Asia, Europa, Nord America, America Centrale, Sud America, Sudest asiatico e Oceania) si arriva ai premi globali, un estratto dei quali diventa ‘Exhibition’ e si mette in viaggio, per toccare anche i sotterranei dell’Antico Convento delle Agostiniane.

È con Raphael Dias e Silva, Exhibition manager e curatore di World Press Photo, che entriamo nei contenuti e nelle novità della mostra che si apre domani e resterà aperta sino al 15 giugno. «Come ogni anno proviamo a trovare il meglio della fotografia. Per questa edizione è aumentato il numero di vincitori, abbiamo più Storie, 42 progetti invece che 30, un ampliamento che crediamo possa aprire a ulteriori tematiche. Abbiamo alcune Storie che riguardano sport e natura, non così presenti nell’edizione precedente, ma i temi principali restano il cambiamento climatico, la migrazione, i conflitti, le proteste per i diritti umani, nella consueta diversità di soggetti che è sempre di grande interesse». E come ogni anno, qualsiasi sia il tema trattato, che compaiano nelle fotografie oppure no, è sempre di esseri umani che si parla: «È vero, ancor più guardando alla Foto dell’anno, emblematica di tutti i conflitti in essere, e guardando alle altre due foto finaliste, che parlano di migrazione e ambiente attraverso le persone».

Gaza, marzo 2024

Lo scorso 18 aprile, World Press Photo annunciava i vincitori e la Foto dell’anno, quella di Mahmoud Ajjour, bimbo di nove anni con il braccio destro amputato e quello destro gravemente compromesso, risultato della fuga da un attacco israeliano a Gaza, insieme alla famiglia. Autrice dello scatto, per il New York Times, è la fotografa palestinese Samar Abu Elouf, evacuata da Gaza nel dicembre del 2023. Mahmoud ora vive a Doha, dove ha raccontato le storie dei pochi palestinesi gravemente feriti che sono riusciti, come lui, a uscire dalla Striscia e a essere medicati, o addirittura salvati. Oggi sogna una protesi per vivere quel che ancora può della sua infanzia.

«Il focus di quella foto – dice Raphael – è sul ragazzino, l’immagine porta con sé riflessioni su come la sua vita è e sarà condizionata da quell’evento per gli anni a venire, mi pare che l’autrice abbia voluto dare un volto a tutte le complicanze umane che porta con sé la guerra, creando empatia con il pubblico». Non meno empatia suscita ‘Night Crossing’, l’immagine che lo statunitense John Moore ha scattato al confine tra Messico e Stati Uniti, anch’essa candidata al premio finale: «È un cortocircuito, perché a tentare la fortuna è una famiglia di migranti cinesi, protagonisti di una storia che interessa tre continenti nello stesso momento». Il terzo scatto in odor di podio era ‘Droughts in the Amazon’ di Musuk Nolte, che fotografa un giovane brasiliano un tempo abituato a usare la barca per portare cibo alla madre nel villaggio di Manacapru, nello Stato dell’Amazonas. Oggi la siccità lo costringe a fare 2 chilometri a piedi lungo il letto di un fiume secco.

La Foto dell’anno, il bimbo palestinese amputato, è ciò che in lingua inglese viene definito ‘graphic content’, ovvero i contenuti ai quali – previ avvertimenti come ‘Attenzione, le immagini che state per vedere…’ – possiamo avere accesso quotidianamente per assumere la giusta dose di shock. Lei pensa che corriamo il rischio di assuefazione a fotografie di questo tipo? «Si potrebbe dire che World Press Photo si confronti con immagini di questo tipo da settant’anni a questa parte e che ne esistano di ancor più violente di quelle che mostriamo oggi», risponde il curatore, specificando come i settant’anni di storia della Fondazione abbiano portato con sé un riesame dell’intero archivio fotografico. «Io credo che l’immagine di Mahmoud sia scioccante non tanto per la violenza mostrata quanto per l’umanità che rivela, perché stiamo guardando una persona. Non penso che ci stiamo assuefacendo o almeno lo spero, perché vedo ancora alle mostre persone che si commuovono o si indignano. Tanta connessione con la fotografia non può essere scambiata per indifferenza».


Samar Abu Elouf, The New York Times
Mahmoud Ajjour, Aged Nine

Comunità

In questa edizione da 3’778 fotografi in rappresentanza di 141 nazioni, «numeri costanti» rispetto al 2024, Raphael Dias e Silva esprime le sue preferenze: «Sono rimasto molto colpito dal lavoro del fotografo brasiliano André Coelho, che ritrae i fan di una squadra di calcio che celebrano una vittoria calcistica senza precedenti (quella del Botafogo nella Copa Libertadores, mai vinta prima, ndr). Ciò che mi colpisce è come in quella fotografia ci sia molto di più dello sport: c’è il senso della comunità che nasce da un amore comune». L’altro scatto ci porta in Nigeria, dove Temilouwa Johnson documenta un momento di festa della comunità LGBT a Lagos, durante un evento della settimana Pride che non può, per legge, svolgersi all’aperto: «Le persone ritratte da Johnson non possono essere loro stesse alla luce del sole, ma nello spazio che si sono creati sì. Entrambe queste storie mostrano il potere della comunità, e in un 2025 nel quale ci sentiamo sempre più soli è bello poter disporre di immagini che mostrano il potere della connessione».

Fonti

Per motivi forse ovvi legati a quanto di straordinario si vede, ma anche per l’attenzione dichiarata di World Press Photo alla veridicità del lavoro fotografico oggetto di premio, il discorso passa dalle parti dell’intelligenza artificiale (AI): «A modo suo, l’AI non è che una dimostrazione dell’importanza della fotografia, e se non fossimo interessati alla fotografia non saremmo così spaventati dall’AI. La paura risiede nella disinformazione e nell’inganno da essa prodotti, anche con la fotografia. C’entra il modo in cui leggi l’immagine, e cosa sei portato a credere. Credo che tanto dipenda dalla fiducia nei media, in quelli affidabili, nel buon giornalismo e nella buona fotografia». Tecnicamente, per tutto quello che è il contest, World Press Photo ha un team di specialisti che analizzano le immagini per scongiurare la possibilità che sia stata utilizzata l’AI e ancor prima software come Photoshop e affini, ma anche un team che analizza i contenuti e si preoccupa di trovare conferma di quanto rappresentato, che tutte le informazioni contenute nella foto siano reali.

«Facciamo molto lavoro, spendiamo una considerevole quantità di tempo e denaro per assicurarci che quello che vediamo è vero, ma il meccanismo è il medesimo dell’attingere da fonti di informazione credibili». Il ricordo dello scatto di Boris Eldagsen, destinatario per alcune ore del Sony World Photography Award prima di ammettere il ricorso all’AI “per pura provocazione”, è ancora vivo nel giro dei concorsi fotografici. «È stato un grande momento per tutti noi», commenta Raphael con ironia.


André Coelho, EFE
Botafogo Fans: Pride and Glory

Collaterale

Martedì 27 maggio alle 21.15, la sinergia tra SpazioReale e le Open Doors del Locarno Film Festival legate a World Press Photo produrrà la visione di ‘Tiger Stripes’, film del 2023 della regista malese Amanda Nell Eu, Gran Premio della Semaine de la Critique a Cannes e Narcisse per il miglior film al Festival internazionale del film fantastico di Neuchâtel. È la storia della 12enne Zaffanm, un racconto che mescola cinema fantastico, dramma psicologico e linguaggi visivi contemporanei e affronta i temi dell’adolescenza, del corpo femminile e della libertà individuale (www.spazioreale.ch, www.worldpressphoto.org).