La storia di una madre che ha trasformato la perdita per overdose di pillole di suo figlio ventenne in una associazione per aiutare altre famiglie
Lo sballo da farmaci, non tanto per fare serata, ma per auto-medicare un malessere a cui non sanno dare un nome. Adolescenti che si anestetizzano con lo sciroppo della tosse o sniffano il paracetamolo. Qualsiasi sostanza va bene per non sentire, per mettere a tacere l’inadeguatezza, che li scava dentro e toglie l’entusiasmo di vivere. Un dolore interno non sempre etichettabile dal punto di vista medico. Non sanno che cosa farci e si ‘medicano’ come possono: c’è chi implode e pratica l’autolesionismo, cercando così di scacciare il dolore mentale con quello fisico e renderlo così più controllabile e sopportabile; c’è chi si sgancia da tutto, scompare dai registri scolastici e si ritira in casa; chi invece esplode in forme di violenza e bullismo; infine, c’è chi cerca di sedarsi con cocktail di alcol, droghe e farmaci. Si credono onnipotenti, pensano che a loro non possa capitare nulla, che possono smettere quando vogliono. Ma non è così!
Assieme ai giovanissimi, a tribolare ci sono anche centinaia di famiglie che non sanno più a che santo votarsi. Alcune di loro, trovano ascolto e appoggio all’associazione ticinese INCURF che si batte contro l’uso ricreativo di farmaci, fondata da una mamma coraggiosa, Anna Marini che 5 anni fa ha perso Riccardo, il secondogenito, allora 19enne, per quello che definisce “un uso improprio di farmaci”.
Una via Crucis che la famiglia ha saputo trasformare in un viaggio di rinascita e speranza da condividere con gli altri, riassunto nel suo nuovo libro ‘Filo d’Argento’, un omaggio a un figlio amato, un’occasione per trasformare un grande dolore in azioni positive per chi ci circonda.
«Riccardo non stava bene, ma non sapeva spiegare perché, non sapeva dare un nome al suo disagio. Il suo era un malessere profondo. La stessa sofferenza me l’hanno poi raccontata negli anni altri ragazzi, usando queste parole: ‘Mi fa male l’anima’», ci spiega Anna Marini.
Tutto è iniziato quando suo figlio, 17enne, è partito per una settimana interaziendale. «Avevo preparato una farmacia di emergenza con qualche farmaco per la febbre, mal di gola, di testa. Al suo rientro ne mancavano alcune e ho trovato due pillole nuove: erano benzodiazepine. Lui è stato vago, ma io sentivo che qualcosa non andava per il verso giusto».
Allo stesso tempo, Riccardo, ci racconta, era sempre meno solare e più sfuggente: «Parlando non mi guardava più negli occhi, aveva cambiato amicizie, stava parecchio fuori casa, tendeva a isolarsi, in camera sua. A scuola non andava molto bene». Forse solo tratti adolescenziali. Forse no. «Cercavo di mettermi nei suoi panni, di non giudicarlo, ma ero inquieta». Poi la verità viene a galla. Riccardo fa uso di farmaci e la cosa va avanti per un anno e mezzo. Nell’aprile del 2020 decide di smettere. «Una sera è stato male e i suoi nuovi compagni l’avevano lasciato solo, aveva capito che erano falsi amici. Si era allontanato da loro, aveva cambiato numero di telefono ed era in cura da uno psicoterapeuta». Poi c’è stato un momento di fragilità. Quella sera è stato diverso da tutte le altre: il suo corpo non ha retto, e non ce l’ha fatta. «Gli accertamenti medici hanno stabilito che non aveva assunto altre sostanze, solo farmaci. I medici ci hanno poi spiegato che dopo un periodo di sospensione, anche una piccola quantità può avere un effetto molto forte su un organismo ancora molto vulnerabile».
Da un devastante dramma familiare è nato un luogo di ascolto e supporto per altre famiglie, di sensibilizzazione contro l’uso ricreativo di farmaci, anche nelle scuole. Come si può elaborare un lutto e occuparsi allo stesso tempo degli altri?
Volevamo come famiglia – nell’associazione collabora anche il primogenito, che lavora nel sociale – che da una tragedia nascesse qualcosa di positivo per aiutare le famiglie ad aprire gli occhi, a non rimanere indifferenti. Riccardo vive in questa associazione. Lui voleva usare la sua esperienza per aiutare i suoi coetanei. Portando alla luce il problema dell’abuso di farmaci ci sembra di onorare la sua memoria e continuare il suo progetto. Purtroppo automedicarsi con farmaci è una pratica diffusa tra tanti giovani. Costano poco e si trovano anche nella farmacia di casa: non stiamo parlando di sonniferi o psicofarmaci, ma di semplici antidolorifici, sciroppi e antinfiammatori. È importante che i genitori sappiano che certi farmaci, vengono usati dai ragazzi in modi diversi da quelli previsti, con conseguenze gravi.
Che cosa cercano i ragazzi con questi cocktail di farmaci?
Cercano di sopravvivere, a modo loro, in una società che ha posto l’asticella molto in alto, in termini di performance e riuscita. Chi non ce la fa, va facilmente in crisi perché questa generazione è povera di strumenti emotivi. Faticano a stare nella frustrazione, nella noia, nell’ansia. Molti di loro, fin da piccoli, sono stati protetti dal dolore. Non lo conoscono. Non sanno che possono gestirlo. Le emozioni negative li paralizzano in una zona comfort distruttiva. Si sentono tristi, strani e non sanno perché. Cercano un modo per spegnere tutto. Percorsi come arte, danza e ascolto potrebbero aiutare i ragazzi a esprimere ciò che sentono ma non sanno spiegare: sarebbe importante che le scuole li integrassero nei programmi educativi.
C’è un tema che le sta a cuore: la facilità con cui i ragazzi trovano i farmaci: c’è il mercato nero, la rete, ma anche i medici dalla facile prescrizione…
Vediamo ancora come ci sia troppa facilità da parte di medici di famiglia nel prescrivere psicofarmaci, senza una corretta valutazione specialistica e un accompagnamento. Dare a un ragazzo ricette ripetibili può esporlo al rischio di procurarsi farmaci con troppa facilità e, in alcuni casi, persino cederli ad altri. Alcuni mi hanno raccontato di aver acquistato certi farmaci a pochi franchi, anche in centro a Lugano. Per un appuntamento dallo psicologo c’è la lista d’attesa. Di regola c’è poco ascolto: la pillola è un palliativo che spegne l’incendio ma non risolve la problematica.
Come genitori, tra sensi di colpa e sguardo altrui, come ci si sente?
Tanto soli e impotenti. Innumerevoli volte mi sono chiesta dove avevo sbagliato, che cosa avrei potuto fare diversamente. Poi, sa, col tempo ho capito che possiamo camminare accanto a loro, ma non sostituirci a loro.
Davanti a questi drammi, c’è chi commenta: ‘La famiglia dove era…?’. Che cosa vuole rispondere, a chi la pensa così?
Che è facile giudicare ciò che non si conosce. Sono tutti esperti a dare consigli, quando il problema è a casa degli altri. Quando ci stai dentro sei travolto da tante emozioni, non sei più razionale. Non esistono bravi genitori ma solo genitori fortunati.
Che cosa offrite alle altre famiglie?
Ci siamo per ascoltarli e siamo sempre reperibili, attraverso il nostro sito (www.associazioneincurf.com) è possibile scriverci in forma anonima. Possono arrivare anche 3-4 richieste al mese. C’è chi ha bisogno di sfogarsi una sola volta e chi resta collegato ai nostri gruppi di auto-aiuto per le famiglie. Si può partecipare anche online e in modo anonimo. Tanti genitori si sentono giudicati e si chiudono. L’obiettivo è quello di offrire uno spazio neutro, dove possano sentirsi accolti, ascoltati senza giudizio, senza vergogna, dove scambiarsi reciprocamente esperienze.
Che cosa raccontano queste famiglie?
Molti genitori si sentono senza punti di riferimento, abbandonati anche dalle istituzioni. Ci siamo passati pure noi! Raccontano che in Ticino mancano comunità terapeutiche, non rigidamente medicalizzate, che c’è troppa burocrazia. Potrei continuare… le soluzioni proposte qui sono ben lontane da una realtà familiare. C’è la sensazione che i ragazzi siano dei numeri. Le famiglie chiedono più ascolto, più umanità e meno medicamenti, almeno quando non servono.
Fate anche prevenzione nelle scuole?
Ci siamo avvalsi dell’aiuto di Enrico Comi, che da 27 anni si occupa di prevenzione in tutta Italia. Interveniamo nelle scuole superiori con momenti di sensibilizzazione rivolti ai ragazzi. Attraverso la condivisione di una storia vera e delle emozioni che suscita, cerchiamo di offrire strumenti per riflettere e agire con maggiore consapevolezza.
In sei anni sono quasi raddoppiati i baby ricoveri in psichiatria: nel 2022, 207 adolescenti (minori di 18 anni) erano in clinica psichiatrica o in ospedali acuti (131 nel 2016). In aumento anche i ragazzi (fino ai 19 anni) seguiti dai servizi ambulatoriali medico-psicologici (2’080 nel 2022; 1’697 nel 2018) e dal servizio psicosociale (292 nel 2022; 151 nel 2018). Il passo successivo, per alcuni è l’assistenza e/o l’invalidità. Per chi è al fronte, la coperta è scelleratamente troppo corta. Quando il foyer esiste, trovare un posto è un percorso a ostacoli. Fuori di servizi e istituti c’è la fila d’attesa. Per i minori di 16 anni è in fase di allestimento la nuova Unità di cura integrata per minorenni all’ex clinica di San Pietro a Stabio con 13 posti letto acuti.