Edy Mottini, 82 anni, pioniere e anima dello Sc Airolo, ma anche artista con più di mille quadri dipinti. Senza dimenticare Giochi senza frontiere
Risale a poche settimane fa la notizia del progetto di un collegamento tramite funivia tra Airolo e Andermatt, e quindi Sedrun, per creare un comprensorio sciistico tra i più vasti della Svizzera e di respiro internazionale. Un progetto avveniristico dal profilo dell’investimento finanziario, ma comunque privo di insormontabili difficoltà tecniche. Di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia, o forse sarebbe meglio dire che di neve sui monti ne è caduta tanta (ma sempre meno): negli anni Settanta, in concomitanza col boom dello sci alpino, per modellare campioni di livello internazionale non erano necessarie infrastrutture all’ultimo grido, era sufficiente un lembo di neve su un ghiacciaio e uno skilift smontabile e portato in alto con la forza delle braccia. Ne sa qualcosa Edy Mottini, per decenni una delle anime dello Sci club Airolo, sotto le cui cure sono passate ben tre campionesse: Doris De Agostini, Michela Figini e Lara Gut.
Quella dell’impianto di risalita portato a spalla non è una battuta, ma la realtà di anni nei quali occorreva avere spirito di inventiva da affiancare alla passione: «Qualora i promotori di questa nuova iniziativa riuscissero a concretizzarla, in particolare trovando gli investimenti necessari, un collegamento tra i due versanti del San Gottardo rappresenterebbe la ciliegina sulla torta», afferma Mottini facendosi strada nel suo atelier di pittura ad Airolo. «Un altro mondo rispetto a cinquant’anni fa. A quell’epoca i mezzi a disposizione erano decisamente inferiori, ma in compenso la neve abbondava per tutto l’inverno». E anche in estate, come testimonia la storia dello skilift smontabile. Sì, perché questo mini impianto serviva proprio durante i mesi caldi.
Ma andiamo con ordine. Edy Mottini ricorda di aver imparato «a sciare da autodidatta, osservando i miei amici. In seguito, a 21 anni, ho ottenuto il brevetto di maestro di sci a Lenzerheide. Per un certo periodo ho insegnato a gruppi di italiani in trasferta ad Airolo. Tuttavia ho presto realizzato che non era quella la vita che desideravo. Ne ho avuto la conferma un giorno, mentre scendevamo dal Sasso della Boggia: uno degli sciatori che accompagnavo, per poca dimestichezza con gli sci ha imboccato la direzione sbagliata e si è infilato giù verso Nante. L’abbiamo dovuto cercare per ore, prima di riuscire a localizzarlo, per fortuna in buona salute».
La brutta avventura ha portato a un cambio di target: basta gruppi di italiani, spazio ai ragazzini: «Abbiamo iniziato in 15, ben presto siamo diventati 30. Il sabato mattina l’insegnamento era aperto a tutti, mentre al pomeriggio ci dedicavamo ai più promettenti. Tuttavia l’impegno non si limitava alla crescita delle giovani leve, comportava anche la preparazione delle piste. A quei tempi i mezzi tecnici erano limitati e pure fantasiosi: per spianare la neve e preparare le piste scendevamo con dei pesanti rulli, uno davanti e uno dietro. Un modo come un altro per sopperire alla mancanza di un gatto. Sotto questo aspetto eravamo dei dilettanti e me ne rendevo conto ogni qual volta avevo l’occasione di recarmi in Svizzera tedesca, dove le stazioni invernali potevano contare su infrastrutture migliori».
Ciò nonostante il movimento giovanile ha continuato a crescere di numero e di qualità: «Una volta assodato il miglioramento del livello – comprovato dai risultati in gara – abbiamo realizzato che ai ragazzi andava offerto un incentivo ulteriore, così da favorire l’auspicato salto di qualità. Casualmente un giorno, mentre ero in compagnia di un amico cacciatore, siamo saliti fino alla capanna Gonerli, che in quel periodo era in fase di riattazione. Ho compreso immediatamente che quello sarebbe stato un luogo splendido per sciare: un magnifico pendio con neve di qualità, garantita dalla presenza del ghiacciaio. Un lembo bianco che abbiamo sfruttato per cinque o sei anni, prima del suo progressivo degrado. Tutti i fine settimana estivi li trascorrevamo lì e, grazie all’aiuto delle mamme che salivano per cucinare, riuscivamo a organizzare due settimane di stage per 20-25 ragazzi alla volta».
Alla Gonerli, però, di impianti di risalita non ne esistevano. E qui entra in scena il già citato skilift smontabile: «Esatto. Lo separavamo nelle sue varie componenti e lo distribuivamo sulle spalle dei partecipanti. Quasi sempre ero io a occuparmi della cordina, talvolta con l’aiuto di Pauli Gut, il padre di Lara. La salita non era lunghissima, circa una mezz’ora, e una volta giunti in cima rimontavamo i vari pezzi. Lo skilift serviva per le risalite durante gli allenamenti, ma anche per il rifornimento d’acqua. In capanna infatti l’acqua non c’era, perciò i ragazzi a turno scendevano con gli sci e con dei bidoni che riempivano, per poi riportarli in quota tramite lo skilift».
Allenamenti estivi grazie ai quali lo Sci club Airolo ha saputo plasmare in quegli anni atleti di spessore, una capacità rimasta intatta anche nei decenni successivi, dopo il trasferimento dalla capanna Gonerli verso località nelle quali l’innevamento era migliore: «Ripensando all’esperienza vissuta sopra il passo della Novena, la mente corre inevitabilmente alla Doris. Tuttavia quel gruppo comprendeva anche altri ragazzi di valore: ad esempio il già citato Pauli Gut, Fabio Pedrina, giunto a un passo dai quadri nazionali, prima di dedicarsi anima e corpo agli studi, o ancora Mauro Pini che, oltre a essere un grande allenatore, a Pesciüm ha fatto cose bellissime, cambiando volto a ristorante e piste. Per tutti noi la Doris era ‘la Dura’, per la sua tenacia e la determinazione. Quando all’inizio le toccava fare da apripista, quasi sempre otteneva risultati cronometrici migliori rispetto alle concorrenti. E mi ricordo che Pauli Gut, quando giungeva al traguardo, per prima cosa voleva conoscere il tempo di Doris, di norma sempre più basso rispetto al suo. Finalmente, a forza di trasferte in Svizzera tedesca, le sue qualità sono state notate e le si sono spalancate le porte del successo. Anche sua sorella Simona era molto quotata, ma rispetto a Doris le mancava un pizzico di grinta».
Nonostante i suoi 82 anni Edy Mottini pratica ancora lo sci («e ogni tanto seguo dal vivo le gare di Coppa del mondo per vedere gli exploit della Nazionale svizzera e di Lara Gut»), tuttavia non è il suo unico interesse. Formatosi come disegnatore del genio civile, negli anni è diventato un apprezzato artista. Il suo atelier trabocca di quadri che rivelano la sua profonda identità di uomo di montagna, da sempre legata alle vette, ai pascoli, agli animali e all’amata Airolo: «Da apprendista ho avuto la possibilità di contribuire a disegnare la prima funivia, quella del 1960. In seguito col trascorrere degli anni mi sono dedicato alla pittura. Sono un autodidatta, non ho mai avuto l’opportunità di frequentare una vera scuola d’arte. Ciò nonostante la mia passione mi ha spinto a perfezionarmi. Negli anni ho dipinto, credo, più di mille quadri. Da dieci anni mi trovo in questo atelier che ormai trabocca di opere. Qualcuna l’ho venduta, ma adesso c’è la crisi e qui dentro non entra più nessuno. In questo periodo stiamo studiando la possibilità di allestire un’esposizione a Quinto. A proposito di Quinto: lì i Comuni si sono aggregati e in questi anni hanno avuto l’opportunità di portare avanti progetti interessanti. Io sono favorevole all’aggregazione di tutta l’alta valle, tuttavia Bedretto e Airolo non ci sentono, dicono di star bene così. È un peccato, perché la regione è magnifica; ma rimanendo dissociati non riusciamo a sfruttare appieno il potenziale del territorio. Tra una decina d’anni il cantiere per il secondo tunnel verrà smantellato e allora cosa succederà? Rischiamo di rimanere indietro».
Lo sci, la pittura e la ginnastica: «Da 60 anni sono monitore di attrezzistica nella Società federale di Airolo. Con 24 ragazzi che partecipano alle attività, la palestra è spesso sovraffollata e capita di pestarci i piedi. L’ampliamento della struttura sarebbe necessario, ma è considerato un investimento troppo oneroso per il Comune». Dalla ginnastica a ‘Giochi senza frontiere’ il passo è breve. Nel 1980 Airolo ha preso parte, con grande successo, al famoso programma televisivo. «L’idea era partita proprio dallo Sci club, ma subito si erano aggregati le società di ginnastica e calcio. Era l’anno dell’inaugurazione della galleria del San Gottardo. Ricordo che avevamo trascorso l’estate ad allenarci, concentrandoci soprattutto sull’aspetto fisico, dato che la natura dei giochi da affrontare sarebbe stata rivelata solo all’ultimo momento. Considerando che molte delle sfide avrebbero avuto a che fare con l’acqua, ci siamo allenati frequentemente a Göschenen, in una piscina, per acquisire familiarità con un elemento con cui non tutti si sentivano a loro agio. Con Claudio Ardia abbiamo allenato un gruppo di ragazzi e ragazze molto giovane, ma molto ben strutturato. Quell’anno ci eravamo recati a Diest, in Belgio. Ricordo ancora lo stupore generale nel trovarci in un Paese privo di montagne».
Alla fine il ritorno ad Airolo è stato trionfale, con in tasca una vittoria rimasta tale «anche dopo un ricorso della Germania che ci era costato qualche punto, probabilmente quelli che sarebbero serviti per conquistare il diritto di rappresentare la Svizzera alla finale. In quegli anni ‘Giochi senza frontiere’ era una manifestazione talmente popolare che al rientro a casa siamo stati accolti con un entusiasmo pari a quello riservato a chi ha vinto una medaglia a un Campionato del mondo».