Gli italiani, con il Ponte di Messina nel budget Nato, provano a fregare gli americani che provano a fregare gli svizzeri con i caccia. Un circolo vizioso
Ci sono gli svizzeri, gli italiani e gli americani. Come nelle barzellette. E infatti fa ridere. C’è però anche tantissimo denaro pubblico, che fa un po’ meno ridere. E ci sarebbe anche un minimo di dignità da mantenere, importasse mai ancora a qualcuno.
Ma se l’uomo più potente e teoricamente più indaffarato di questo pianeta in fiamme trova nello stesso giorno il tempo di lanciare una linea di profumi ispirati a sé stesso, indossare il cappellino con scritto “Gulf of America” e recarsi in un carcere battezzato “Alligator Alcatraz” suggerendo a eventuali detenuti in fuga come scappare da un alligatore (“correndo a zig zag”), non è che possiamo aspettarci troppo dagli altri.
E quindi, dopo quello dei baci di Annalisa, eccolo il tormentone dell’estate 2025: “Ho visto lei che frega lui che frega lei che frega me”. Sarà il caldo, e che in estate in tv passano i vecchi film, ma sembra di essere finiti da qualche parte tra lo sberleffo militaresco del “Dottor Stranamore” e “Totòtruffa ’62”, dove l’imbroglione Totò, nei panni del “cavalier ufficiale Antonio Trevi”, provava a vendere la celebre fontana romana a un paisà americano facendogli credere che fosse un bene di famiglia.
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Un F-35 e un simulatore di volo
Partiamo da quelle che dovrebbero essere le menti migliori della Confederazione, che non sanno usare nemmeno la calcolatrice e firmano contratti capestro come sprovveduti a una fiera di paese che pensano di fare un affare comprando un set di pentole, scoprendo poi di essersi indebitati per una cucina intera.
L’acquisto degli F-35 da parte della Svizzera ricorda un po’ quei modellini di jet da guerra che si vendevano a fascicoli nelle edicole, il cui primo numero era gratis (per prenderti all’amo), il secondo costava quasi niente, il terzo poco, il quarto di più, il quinto troppo, il sesto come un modellino intero e il settimo come un F-35 vero.
Insomma, dai sei miliardi iniziali, la Confederazione ora rischia di tirarne fuori 7 o – secondo alcuni calcoli – anche di più. Perché a Berna pare che qualcuno abbia firmato per sei aerei da guerra senza le armi, che è utile come andare in un concessionario e comprare una Ferrari senza le ruote. Insomma, chissà cosa c’era scritto in quei contratti e come li ha letti, se li ha letti, chi ha buttato i soldi della comunità, e cioè di tutti, mica i suoi.
Ma se dai tempi della Fontana di Trevi gli americani si sono fatti furbi, c’è qualcuno che si sente ancora più furbo. È l’Italia, che in ossequio a Trump ha detto sì al 5% del Pil destinato alla Nato senza fare una piega. E che l’Italia tenda da sempre un po’ all’inchino si sa; ma anche al raggiro (pratica in cui anche la politica ticinese non è da meno). Per questo il governo Meloni ha pensato bene di far passare per una spesa militare (e quindi da conteggiare nel famigerato 5%) il contestatissimo e costosissimo Ponte di Messina. Agendo come quegli uomini che regalano la Playstation alla fidanzata per il compleanno sapendo che tanto poi ci giocheranno solo loro.
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Matteo Salvini gioca con un modellino del Ponte di Messina
Aveva ragione il primo ministro francese Clemenceau: “La guerra è una cosa troppo seria per essere lasciata ai generali”. Vero. Ma anche ai politici di oggi, che – nel disinteresse di gran parte dell’elettorato – abusano del loro immenso potere giocando a soldatini e infischiandosene delle conseguenze delle loro scellerate scelte. Da statisti a piazzisti: tutti in modalità televendita, talmente concentrati sulla sòla da piazzare al primo gonzo che passa, da non riconoscere più fontane, ponti e aerei di Trevi rifilati dagli altri.