Lo sguardo sulla tragedia a Gaza dell’ex presidente della Confederazione: ‘Di fronte alle violazioni dei diritti umani non si può rimanere imparziali’
In carica quale consigliera federale durante un decennio (1993-2002), prima donna presidente della Confederazione nel 1999, Ruth Dreifuss si confida a laRegione denunciando la politica del governo israeliano e la mancanza di coraggio del Consiglio federale. Personalità politica tra le più popolari in Svizzera, di origini ebraiche, affronta per la prima volta in modo esauriente la questione della tragedia in corso a Gaza e nei territori occupati. E lo fa, coerentemente con il suo profilo, in modo chiaro. Senza ambiguità.
Cominciamo dalla sua apparizione il 21 giugno a Berna alla manifestazione, molto seguita, a favore della popolazione palestinese a Gaza. Non capita spesso di vedere un ex consigliere(a) federale scendere in strada a protestare…
Prima di rispondere alla sua domanda vorrei ricordarle che avevo già partecipato a una manifestazione, meno seguita, il 9 ottobre del 2023 per denunciare l’aggressione intollerabile di Hamas contro i kibbutzim e i partecipanti al festival musicale ‘Supernova’. È stata una manifestazione per la pace. Quel giorno già si poteva prevedere una risposta sproporzionata di Israele che avrebbe causato molta sofferenza agli abitanti di Gaza.
Premessa importante. Ma torniamo al 21 giugno.
Le rivendicazioni nostre erano chiaramente espresse nell’appello che abbiamo pubblicato. In particolare chiedevamo e chiediamo al Consiglio federale la ripresa immediata degli aiuti umanitari, un intervento deciso per ottenere una tregua, una chiara condanna dei crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità da parte di Israele.
Certe voci hanno criticato gli slogan non proprio moderati da parte di alcuni manifestanti.
Guardi, proprio per questo ho ricevuto cinque lettere che mi criticavano. In tutte le manifestazioni ci sono gruppi che esprimono posizioni che non sono quelle degli organizzatori. Si è trattato di gruppi isolati, alcuni dei quali hanno anche accettato di ripiegare le bandiere con slogan che ci sono apparsi scioccanti. Ma la stragrande maggioranza ha manifestato per la pace e per il rispetto della vita delle persone. La manifestazione rifletteva un bisogno molto diffuso: quello di dire che nel dolore che impone il disordine del mondo, le vittime non devono sentirsi sole, abbandonate.
Quando si è decisa a rompere il ghiaccio e a scendere in strada (per la grande soddisfazione di molte persone che hanno salutato la sua partecipazione)?
La prima manifestazione a favore di un futuro Stato palestinese a cui ho partecipato si era svolta nel… 1967. Dunque non è la prima volta che scendo in strada a difesa dei diritti dei palestinesi, ma anche dei diritti alla sicurezza degli israeliani. Ognuno deve poter vivere in pace, indipendentemente dalla sua appartenenza etnico/nazionale.
Innumerevoli prese di posizione, petizioni, appelli hanno in particolare accusato di immobilismo Ignazio Cassis, capo del Dfae. Cosa ne pensa?
Personalmente la critica non la rivolgo in modo specifico a Cassis, ma a tutto il governo, perché tali decisioni devono essere prese in modo collegiale. Più precisamente considero che il Dfae e il governo siano stati troppo sensibili alle argomentazioni della lobby pro-israeliana. È vero, hanno criticato le due parti in conflitto, ma non hanno sufficientemente posto l’accento su quanto succede da 21 mesi a Gaza.
Secondo lei la Svizzera dovrebbe agire con Israele come lo ha fatto nei confronti della Russia, ad esempio applicando sanzioni?
Certo, ci vogliono sanzioni e la cessazione di qualsiasi collaborazione con l’esercito di Israele. È quanto personalmente chiedo, in particolare sanzioni nei confronti delle aziende che sfruttano l’occupazione dei territori occupati.
C’è chi si oppone alle sanzioni facendo leva sul nostro statuto di Paese neutrale. Secondo lei è possibile conciliare la neutralità con la denuncia dei crimini commessi da un altro Paese?
Assolutamente sì. Non c’è contraddizione. Di fronte alle violazioni dei diritti umani non si può rimanere imparziali. Non c’è neutralità che tenga.
Lei denuncia crimini di guerra e contro l’umanità. In molti oggi, tra storici, giuristi, esperti, Ong, parlano addirittura di genocidio. Secondo lei la discussione sulla natura dei massacri è importante?
Conosco bene la Convenzione per la prevenzione dei genocidi: non c’è comunque una gerarchia tra questi tre crimini (di guerra, contro l’umanità, genocidio). Tutti e tre i crimini sono imprescrittibili e considerati come i crimini più gravi. La Corte internazionale di giustizia (Cig) se ne sta occupando, e aveva già messo in guardia Israele contro i rischi di genocidio nel gennaio 2024. Mi pare fosse una posizione già abbastanza chiara. Nel frattempo non ho visto nessuna misura presa da Israele in questo senso, al contrario… Rimane molto importante tracciare dei fatti precisi per poter giudicare un giorno i criminali.
Signora consigliera federale, cosa ne pensa del rapporto redatto da Francesca Albanese sui crimini commessi da Israele e sulle sanzioni applicate dagli Stati Uniti nei suoi confronti? Crede si debba difendere la relatrice dell’Onu sui territori occupati?
Sì, penso che si debba sempre difendere l’indipendenza di chi lavora per le Nazioni Unite. Prima di lei, sotto sanzioni da parte del governo statunitense sono finiti i membri della Corte penale internazionale. Attaccare dei relatori indipendenti, dei procuratori internazionali è un fatto molto grave. Non va accettato.
Molti amici e conoscenti, ebrei in genere progressisti, oltre a essere scandalizzati dalla politica del governo Netanyahu, sono molto inquieti anche per il futuro di Israele, Paese che secondo loro ‘ha perso la propria anima’. Come dire che stiamo assistendo a una svolta negativa epocale che pone una seria ipoteca anche sul domani del Paese.
Condivido questa impressione. La svolta la si può leggere nella presenza nel governo di Israele di ministri che vogliono spingere la popolazione palestinese alla disperazione totale, costringendola ad abbandonare il proprio Paese e ogni possibilità di poter vivere in uno Stato sovrano. Purtroppo dal 1967 Israele non ha mai realmente accettato l’idea di rinunciare ai territori occupati. Da quell’anno, gli abusi contro i palestinesi, la mancanza di diritti di spostarsi liberamente, la sottrazione di terre che appartengono a loro, sono continuati. L’occupazione dei territori palestinesi è il cancro che alla lunga ucciderà Israele.
Cosa intende esattamente?
Che Israele come Stato democratico non potrà sopravvivere all’occupazione di una popolazione che chiede libertà e diritti.
Oltre a Israele è un po’ anche la storia del giudaismo, quello improntato all’umanesimo e all’illuminismo, da Montaigne a Spinoza a Edgar Morin, che rischia di uscire distrutta da quanto succede… Al momento sopravvive, ma soprattutto nella diaspora.
È chiaro che le reazioni più favorevoli ai diritti dei palestinesi sono quelle che vengono espresse nella diaspora. Ma molti palestinesi e israeliani con i quali mantengo i contatti cercano ancora di operare assieme per opporsi alle violazioni dei diritti in Israele e nei territori occupati. Un po’ di speranza rimane, malgrado tutto.
Lei è di famiglia ebraica. Vedere gli oppressi di ieri, dal Medioevo alla Germania nazista, passando dai Pogrom in Europa orientale, opprimere in modo brutale altre popolazioni, quali sentimenti e riflessioni le suggerisce sulla sua identità?
A questa domanda rispondo che Israele ai miei occhi è un Paese come un altro. Ma poi aggiungo una piccola annotazione: ci sono due Paesi per i quali le mie aspettative in materia di diritti umani e di democrazia sono più alte: la Svizzera e Israele.
Spesso chi critica il governo Netanyahu viene poi accusato di antisemitismo. Accuse che in generale lasciano un po’ il tempo che trovano. Ma è anche indubbio che vi sia qua e là una crescita dell’antisemitismo. Si può secondo lei affermare che la politica del governo Netanyahu porta anche la responsabilità della crescita dell’antisemitismo?
Sì. C’è un’indubbia responsabilità da parte del governo Netanyahu.
Si ha anche l’impressione di vivere in un mondo pericoloso, per via delle guerre ma anche dell’indebolimento del diritto internazionale, minacciato da più parti e in particolare dal presidente Trump. È una situazione davvero esplosiva?
Già in passato il diritto internazionale è stato spesso rimesso in discussione da diversi Paesi. Ma oggi l’accumulo di violazioni del diritto internazionale è particolarmente inquietante e senza precedenti. Inquieta anche perché il diritto internazionale è il diritto dei più deboli. Per questo la Svizzera deve continuare a operare per la difesa del diritto: proprio perché tutela i più deboli. I piccoli Stati ricorrono al diritto internazionale per proteggersi. Basti pensare all’Ucraina e alla guerra di aggressione da parte della Russia. Purtroppo il diritto non è mai stato un ostacolo insormontabile alla prova di forza degli Stati.
In tutto questo gli Stati Uniti svolgono un ruolo non proprio positivo. Che responsabilità attribuisce all’amministrazione Trump?
È evidente che l’amministrazione Trump svolge un ruolo importante nell’indebolimento del diritto internazionale. Basti pensare alle sanzioni, di cui ho già parlato, nei confronti dei membri della Corte penale internazionale. Ma anche nella politica di indebolimento dello stato di diritto negli stessi Stati Uniti.
Nessuna speranza dunque di ritrovare gli Usa in un ruolo positivo?
La mia speranza non si basa solo su un cambiamento di governo, ma sulla forza dei cittadini e delle cittadine di esigere il rispetto dei diritti.