Con due esperte, ospiti di un simposio a Lugano, sondiamo l’importanza di considerare il punto di vista del bebè e di un approccio olistico e accogliente
Fino a pochi decenni fa la comunità medica riteneva che i neonati non provassero né dolore né emozioni, tant’è che se dovevano venir operati non si somministrava loro alcuna anestesia. Grazie all’evolversi degli studi scientifici è stato attestato che i bambini già nella pancia della mamma provano dolore ed emozioni e che la maniera in cui nascono ha un significativo impatto sul loro adattamento al mondo, oltre a lasciare un’impronta profonda e duratura nel sistema emotivo e nervoso. Ma se a partire dagli anni Ottanta più nessun intervento doloroso sui bebè viene eseguito senza anestesia, «la presa in considerazione della loro prospettiva rispetto alla gestazione e alla nascita è ancora piuttosto trascurata sia da parte dei genitori che del personale sanitario», rileva Janine Koch – educatrice e terapista complementare in ambito pre- e perinatale, e supervisora del Pronto soccorso emozionale – che ha deciso di portare il tema del vissuto del bambino al simposio “Nuove prospettive per migliorare l’outcome della nascita: tra scienza e coscienza” organizzato nell’ambito del Festival della Nascita in programma dal 3 al 5 ottobre all’Asilo Ciani di Lugano. «Mi preme molto che sin dall’inizio il bambino sia considerato come una persona», dichiara la terapista.
Il lavoro di Koch consiste nell’accompagnare le famiglie, soprattutto dal punto di vista emozionale, nell’affrontare difficoltà nel concepimento, problemi durante la gravidanza e disagi nei primi anni di vita del bambino, come possono essere il pianto inconsolabile o disturbi del sonno, con un approccio che pone al centro il legame tra genitori e figlio. «Spesso il bambino è lo specchio dei genitori e in particolare della mamma – rileva Koch –. Se lei è stressata, spossata o non riesce a stare bene, le risulterà più difficile accogliere e supportare il proprio piccolo. Il rischio è che si crei un circolo vizioso in cui i rispettivi disagi si alimentano a vicenda». Per questo, dice la terapista, «col Pronto soccorso emozionale partiamo sempre dai bisogni che ha la mamma per stare meglio».
L’approccio adottato non si concentra solo sul racconto cognitivo, ma include anche il corpo e le emozioni, spiega Koch: «La domanda è “che emozione senti mamma e come si manifesta nel tuo corpo mentre racconti il tuo vissuto?”. L’obiettivo è prendere atto e allentare la tensione per permetterle di rientrare in contatto con sé stessa e, in un secondo momento, di essere più disponibile per il proprio bambino».
Il pianto inconsolabile e i problemi col sonno, dice Koch, possono avere a che fare anche col modo in cui il bambino è nato: «L’accoglienza, come per qualsiasi persona, fa la differenza. Se quando arriviamo in un posto nuovo qualcuno ci viene incontro, ci dà il benvenuto, si prende il tempo per metterci a nostro agio, è diverso che se tutto questo non avviene. Lo stesso vale per i bebè. Ricerche scientifiche dimostrano che un bambino prenatale, tramite i suoi sensi, percepisce e memorizza quanto lo circonda. E ha fin da subito un grande desiderio di essere considerato, ascoltato e amato.
Se si è instaurato un legame già a partire dalla gravidanza, il viaggio della nascita che è una transizione dura e complessa sia per la madre che per il bambino diventa più semplice in quanto affrontato insieme con consapevolezza e non ognuno per sé. È come mettere bene le fondamenta di una casa». La comunicazione tra madre e figlio, anche se solo interiore, è di grande aiuto, articola Koch: «Se la mamma a suo modo dice ‘ti sento bambino, lo facciamo insieme, adesso diventa difficile ma io ti aiuto, muovo il corpo e vedrai che ce la facciamo’, il momento del passaggio ha più possibilità di essere migliore».
Un momento molto intenso che, evidenzia Koch, «lascia una memoria. Anche se non abbiamo un ricordo cognitivo, il nostro corpo lo registra. Non a caso spesso i bambini piangono molto alla nascita perché hanno bisogno di raccontare a loro modo quello che hanno vissuto». Inoltre, se già ci si conosce, «anche una volta che il bambino è fuori non si deve iniziare tutto da zero».
Per instaurare un simile legame ci vogliono dei presupposti: «Prima di tutto bisogna esserci – dice la terapista –. E, come accennato, l’esserci in quanto mamma è possibile solo se ci si sente bene. Per sentirsi bene servono tempo, lentezza, sicurezza, intimità». Elementi, questi, che dipendono anche dalle condizioni esterne che le levatrici o in generale il personale sanitario possono mettere a disposizione per creare uno spazio accogliente. «Se ad esempio in un ospedale le levatrici devono seguire più parti alla volta e sono sotto pressione, è difficile che possano dedicarsi con tranquillità ed empatia alla mamma, al bambino e al papà», afferma Koch.
Passando poi agli interventi medici, la terapista dichiara: «La loro necessità non è in discussione, possono essere dei salvavita, ma sarebbe importante interrogarsi di più sul come vengono eseguiti. Se un’ostetrica o un medico si prende anche solo pochi secondi per informare e rassicurare una donna, può trasformare un momento di paura in un’esperienza di fiducia e collaborazione. Io penso che il personale sanitario e i genitori cerchino sempre di fare il loro meglio, il problema è però che certe volte non hanno le necessarie conoscenze per prestare la dovuta attenzione anche alle implicazioni emotive e psicologiche della nascita sia per i genitori che per il neonato».
In conclusione, riprendendo una frase di Eva Reich, medico e ostetrica, che dice “la pace inizia nel ventre materno”, Koch osserva: «Se questa pace viene mantenuta anche durante la transizione al mondo esterno, si gettano le basi per un futuro più sereno».
La consapevolezza che un travaglio e un parto vissuti in maniera positiva favoriscano un inizio della vita migliore per la diade madre-bambino e in generale per la famiglia è quella che ha condotto la dottoressa Flavia Fuggetti – medico specialista in ginecologia e ostetricia della Frauenklinik Fontana del Kantonsspital di Coira – a sviluppare con un gruppo di colleghi un protocollo innovativo in Svizzera, che introduce un modello strutturato di nascita a intervento medico limitato nell’ambito delle gravidanze a basso rischio. «Essendo l’ospedale cantonale il punto di riferimento dei Grigioni per le nascite premature e le gravidanze complicate, gestiamo regolarmente casi patologici – premette la dottoressa Fuggetti, anticipando alcuni elementi al centro dell’intervento con cui aprirà il simposio a Lugano –. Ma proprio in questa realtà, abituata alla gestione della complessità, è nata l’idea di garantire alle gravidanze fisiologiche un approccio dedicato, che sostituisca i protocolli standard spesso troppo medicalizzati».
La risposta è stata la creazione di un sistema stratificato con a monte un triage per definire le gravidanze a basso, medio e alto rischio, al fine di «cucire un’assistenza su misura, garantendo la sicurezza in ogni fase ma evitando interventi superflui», rileva la dottoressa Fuggetti. Questo modello, nato dal confronto tra medici e levatrici e basato sulle più recenti linee guida internazionali, è attivo da circa un anno. I primi dati mostrano «risultati incoraggianti e in alcuni casi sorprendenti, sia in termini di esiti clinici che di soddisfazione del personale e delle famiglie», commenta la dottoressa.
Nel nuovo protocollo, il travaglio e il parto di una gravidanza fisiologica non sono visti come un evento clinico da gestire con farmaci e monitoraggi invasivi, ma semplicemente come un’esperienza da sostenere e rispettare. Un elemento cruciale è il ruolo del personale. «Il travaglio e il parto fisiologico sono gestiti quasi interamente dalle levatrici, che garantiscono un’assistenza “uno a uno”. Noi medici interveniamo solo se richiesto: il fatto che ciò venga fatto raramente è la dimostrazione che il sistema funziona».
Questa filosofia si riflette anche in dati concreti, come la bassa percentuale di episiotomie (le incisioni chirurgiche del perineo): per questi interventi la Frauenklinik Fontana registra «un tasso del 3,9%, nettamente inferiore alla media svizzera del 9,6%. È un dato che ci rende molto orgogliosi e che testimonia la forza di questo approccio», afferma Fuggetti.
Altre specificità riguardano il fatto che, rispetto alla consuetudine, l’analgesia è gestita proponendo un ventaglio più ampio di possibilità: «Oltre all’epidurale sempre disponibile su richiesta, si offrono metodi naturali come ovviamente il movimento libero – le donne sono incoraggiate ad ascoltare il proprio corpo – ma anche aromaterapia, agopuntura e idroterapia». Anche l’induzione del travaglio segue un approccio più rispettoso della fisiologia: «Ovviamente a 42 settimane l’induzione è indicata, ma prima di allora si privilegiano metodi naturali. Questa serenità rafforza la fiducia delle donne nel proprio corpo e riduce il ricorso ai farmaci».
L’ospedale – e qui in linea con le migliori pratiche – promuove inoltre attivamente il bonding, il contatto pelle-a-pelle immediato tra neonato e madre e, se desiderato, anche con il padre. La struttura offre anche “camere familiari”, che permettono a partner ed eventuali altri figli di rimanere insieme nei giorni successivi al parto.
Anche in caso di taglio cesareo non urgente la Frauenklinik applica il cosiddetto “cesareo dolce” – già diffuso in alcune strutture dell’Eoc, ma qui integrato in un protocollo di nascita rispettosa – che permette ai genitori di assistere, attraverso una “finestra speciale”, alla nascita del bambino. «Abbassiamo le luci, attendiamo nel taglio del cordone, promuoviamo il bonding immediato. Sebbene non possa sostituire un parto fisiologico, questo approccio rende l’esperienza più intima e coinvolgente».
Insomma, come dimostra la realtà della Frauenklinik Fontana di Coira, pur mantenendo standard di sicurezza elevati, un parto a basso rischio che rispetti il più possibile l’integrità psicofisica ed emozionale della coppia e del bambino non è soltanto auspicabile: con un protocollo innovativo, condiviso e monitorato, è oggi una realtà praticabile e replicabile.
Tra le ideatrici del Festival della Nascita, giunto alla sua seconda edizione – la prima si è tenuta nel 2023 a Manno – c’è Anna Fossati, una delle fondatrici della Casa maternità e nascita ‘lediecilune’ di Lugano e membra di comitato dell’Associazione nascere bene Ticino. «Il desiderio di creare un Festival della nascita concepito come spazio di incontro, ascolto e condivisione, dove le conoscenze scientifiche incontrano le esperienze personali, e dove il sapere delle donne si intreccia con quello dei professionisti è sorto dal constatare la grande confusione e il grande disorientamento sul tema, specialmente tra le persone comuni – rileva Fossati –. Spesso infatti i futuri genitori che vengono ai corsi pre-parto mi dicono che hanno bisogno di mettere ordine nella miriade di informazioni e consigli spesso non richiesti che ricevono». Lo scopo dell’evento è duplice, riassume Fossati: «Da un lato, informare il pubblico generale per contrastare i miti e le paure infondate; dall’altro, offrire ai professionisti nuovi strumenti e prospettive per un approccio più olistico e centrato sulla persona».
L’intero programma del Festival – che include workshop pratici su temi legati alla gravidanza, al parto e alla genitorialità; conferenze tenute da esperti del settore; spazi di confronto e condivisione tra famiglie e professionisti; attività per bambini e famiglie; bancarelle e stand informativi per scoprire servizi, progetti e realtà attive sul territorio; nonché uno spettacolo teatrale inedito nato dal desiderio di rompere il silenzio intorno al ciclo mestruale – è consultabile sul sito festivaldellanascita.ch. Le iscrizioni online al simposio che avrà luogo il 4 ottobre e sarà moderato dalla giornalista Rsi Barbara Camplani chiudono il 18 settembre.