laR+ IL COMMENTO

Il desiderio russo di una pace ‘finnica’

Su problematiche territoriali e garanzie di sicurezza per Kiev è un dialogo tra sordi. Ma i due leader dovranno per forza fare delle concessioni

In sintesi:
  • Saranno Putin e Zelensky in un vertice bilaterale le soluzioni al rompicapo ucraino
  • Il capo del Cremlino non può concedere l’applicazione di una sorta di articolo 5 (della Nato)
  • Il problema è che ucraini ed europei non si fidano della parola di Vladimir Putin
L’eterna nostalgia delle élite
(Keystone)
20 agosto 2025
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La palla è ora nel campo dei due contendenti. Se Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky desiderano la pace saranno loro stessi a dover fornire in un vertice bilaterale le soluzioni al rompicapo ucraino. Così, in breve, si può riassumere l’esito dell’affollato incontro alla Casa Bianca. E diversamente non potrebbe essere. Sia Putin che Zelensky avranno poi l’ingrato compito di dover far ingoiare dei bocconi amari alle rispettive opinioni pubbliche. Nella trattativa russi e ucraini partono da posizioni opposte, ma ora è venuto il momento di trovare la quadra: Mosca e Kiev dovranno quindi, per forza, fare concessioni. Su problematiche territoriali e garanzie di sicurezza da concedere a Kiev è un dialogo tra sordi. Ma i due leader slavi riusciranno ad avvicinarsi almeno a qualcosa di simile a un’intesa? Staremo a vedere.

Evidenziamo, però, che il capo del Cremlino non può concedere l’applicazione di una sorta di articolo 5 (della Nato) per Kiev o la presenza di contingenti occidentali in Ucraina. Per lui sarebbe come aver perso il conflitto. Europei e americani poserebbero i loro “stivali” nello spazio ex sovietico, il “cortile di casa” di Putin. Mosca punta a imporre una soluzione “alla finlandese”, come quella applicata con Helsinki nel 1944 a conclusione della “Guerra di Continuazione”. I finnici cedettero territori e dichiararono la loro neutralità, mantenuta fino al 2023, quando aderirono alla Nato a causa del nuovo pericolo da Est alla loro sovranità.

Il problema è che ucraini ed europei non si fidano della parola di Vladimir Putin. La cui posizione in casa è meno solida di quanto si possa pensare. L’entusiasmo dei media pro-Cremlino nell’ultimo weekend è servito a stemperare il senso di delusione diffusosi tra la gente nelle prime ore post vertice in Alaska, in cui si sperava venisse annunciata la fine del conflitto. Tutta la settimana scorsa, infatti, si era osservato anche nelle strade un sorprendente ottimismo, con la Borsa di Mosca che aveva guadagnato ben 8 punti. Poi il buio. Numerosi gruppi di influenza nelle cosiddette “stanze dei bottoni”, ampie fasce di imprenditori e le élite spingono per una rapida fine della tragedia. Le ragioni sono le più diverse: da una parte vi è una stanchezza diffusa dopo tre anni e mezzo di interminabili ostilità, dall’altra spinose questioni economico-finanziarie stanno prendendo il sopravvento. Una delle cause scatenanti di questa crisi è il tasso d’interesse, tenuto dalla Banca centrale russa per mesi all’astronomico 21% (oggi è al 18%): questo per combattere l’inflazione, appesantita dalle esponenziali spese militari e dalle dure sanzioni internazionali. Il costo della vita, in inarrestabile salita, sta di fatto erodendo decenni di progressi sociali ed economici. E poi c’è il vertiginoso buco nel bilancio dello Stato: nei primi mesi già quasi 50 miliardi di euro. Le élite, nostalgiche dei tempi tranquilli in cui si godevano le ricchezze in Occidente, sono anche impaurite dalla caccia alle streghe scatenata dal potere contro la corruzione. Non passa settimana che non venga arrestato o condannato qualche “alto papavero”.

La tensione alle stelle troppo a lungo è una cattiva compagna di vita. Pare sia giunto il momento di prendere atto, soprattutto nelle stanze del potere, che i russi desiderano tornare a vivere in pace.