Chiuso un forum che da vent’anni pubblicava, senza consenso, foto hot di donne perlopiù ignare. Il clamore mediatico sembra poter davvero cambiare le cose
Un forum italiano con 800mila iscritti ha chiuso definitivamente i battenti, dopo essere stato a lungo il principale collettore di contenuti misogini e di materiale intimo diffuso senza consenso. Ma per assistere alla fine di questa storia sono serviti oltre vent’anni e l’onda lunga di un polverone che ha messo in discussione il rapporto stesso tra spazi digitali e violenza di genere. Ma partiamo dall’inizio.
Phica – meglio noto con lo storico nome Phica.net, anche se da qualche tempo raggiungibile all’indirizzo phica.eu – è un sito web creato nel 2005 con l’intento originale di ospitare pornografia amatoriale e una serie di sezioni dedicate ai kink degli utenti, ovvero a pratiche sessuali non convenzionali, ma comunque accomunate dal rispetto reciproco e dal consenso di tutte le parti coinvolte. Per prevenire qualsiasi forma di abuso, gli amministratori del forum avevano creato anche una sorta di “certificazione”, da rinnovare annualmente, grazie alla quale le coppie e gli utenti di sesso femminile garantivano di essere al corrente della condivisione delle proprie foto e dei propri video sulla piattaforma. Questo meccanismo, però, riguardava solo una delle numerose sezioni ospitate dal sito.
Il consenso, infatti, non sembra essere stato un concetto particolarmente centrale nelle intenzioni dei creatori di Phica, a partire proprio dalla sezione “La mia donna senza certificazione”, che permetteva di aggirare il regolamento senza troppi problemi. Phica conteneva diverse sezioni apertamente problematiche, tra cui “Spy”, dedicata alla condivisione di contenuti ottenuti spiando di nascosto partner, familiari o estranei. Al suo interno figurava anche una sottosezione che forniva indicazioni su come violare illegalmente i telefoni altrui, con l’obiettivo di sottrarre materiale intimo.
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Gli iscritti al forum erano 800mila
E ancora, su Phica era presente una sezione dedicata alle immagini di celebrità e donne comuni “spogliate” digitalmente grazie all’intelligenza artificiale, un’altra che permetteva di condividere contenuti “a tempo”, accessibili solo per poche ore prima di autodistruggersi, e uno spazio specifico per la diffusione di foto e video sottratti da OnlyFans e ricondivisi senza il consenso delle creator. C’era poi la sezione PornoCittà, in cui amiche, semplici conoscenti e in alcuni casi persino parenti degli utenti venivano suddivise su base rigorosamente geografica e sottoposte alla violenza del branco digitale, che di loro pubblicava foto – rubate dai social o scattate di nascosto nella vita reale –, recensioni di presunte prestazioni sessuali e dettagli su come e dove trovarle.
Su Phica era ovviamente possibile trovare uomini che condividevano foto intime delle proprie partner, anche senza il consenso di queste ultime. E, anzi, spesso l’assenza di consenso rappresentava un valore aggiunto per eventuali scambi di materiale, in una sorta di economia del baratto dove il valore di una foto è incrementato dalla sua capacità di essere percepita come intima e reale. È qui che normalmente avveniva la pratica del cosiddetto “tributo”, una sorta di rituale molto comune in spazi digitali di questo tipo, in cui gli uomini sono tenuti a mostrare l’apprezzamento per le foto condivise anche in modo decisamente pratico e cioè fornendo prova fotografica dell’avvenuta masturbazione, spesso su un supporto cartaceo o digitale recante la foto della vittima. È così che il confine tra violenza digitale e violenza reale si assottiglia, fino quasi a non esistere più.
Ma il 28 agosto tutto questo è finito, in un attimo, non in seguito a un intervento delle forze dell’ordine o della magistratura, ma per decisione degli stessi amministratori. Sull’homepage del sito, un tempo roccaforte della misoginia più spinta, campeggia oggi un messaggio di poche righe intitolato “Comunicato di chiusura”. Nel testo si legge che “Phica è nata come piattaforma di discussione e di condivisione personale”, ma che “ci sono sempre persone che usano in modo scorretto le piattaforme, danneggiandone lo spirito e il senso originario”. Questo è successo anche con il forum, spiega il messaggio firmato dallo staff, e “nonostante gli sforzi, non siamo riusciti a bloccare in tempo tutti quei comportamenti tossici che hanno spinto Phica a diventare, agli occhi di molti, un posto dal quale distanziarsi piuttosto che sentirsi orgogliosi di far parte”.
Gli amministratori ci tengono comunque a precisare che incitamenti alla violenza, contenuti pedopornografici e offese verso le donne non sono mai stati tollerati. Una posizione che mal si concilia con le evidenze che abbiamo trovato sulle pagine del forum, anche fino ai giorni immediatamente precedenti la chiusura.
Al momento non è dato sapere se questa sarà la parola fine sull’esperienza di Phica – anche perché abbiamo rintracciato almeno un gruppo Telegram ancora attivo e un account su OnlyFans riconducibili al forum – ma si è trattato sicuramente di un momento significativo per il dibattito italiano sulla violenza di genere. A sollevare il tema degli spazi online dedicati alla misoginia era stata qualche giorno prima la scrittrice e influencer Carolina Capria, in arte lhascrittounafemmina, che sul suo account Instagram aveva denunciato l’esistenza di un gruppo Facebook chiamato “Mia moglie”, frequentato da oltre 32mila utenti, dove gli uomini pubblicavano scatti di mogli o fidanzate – spesso fotografate a loro insaputa – e chiedevano agli altri iscritti di commentarle.
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Molti utenti scambiavano le foto intime delle propri mogli e compagne
Una vera e propria fogna virtuale, dove il branco poteva sfogare i suoi istinti misogini e violenti, talvolta anche descrivendo nei minimi particolari fantasie di stupro sulle inconsapevoli vittime. Dopo l’ondata di sdegno mediatico, e la successiva ‘call to action’ per portare alla chiusura dello spazio online, Meta ha ufficialmente rimosso il gruppo Facebook parlando di “sfruttamento sessuale di adulti”. Troppo poco e troppo tardi, considerando che quella comunità esisteva da sei anni e mezzo.
Il clamore riscosso dalla vicenda ha però convinto altre donne a raccontare sui social la propria esperienza con Phica e questo ha segnato l’inizio della fine per il forum. Ma come ha fatto uno spazio così palesemente tossico a sopravvivere indisturbato per oltre vent’anni? La risposta, purtroppo, ha a che fare con un grosso vuoto, non solo normativo ma anche di preparazione delle forze dell’ordine italiane.
Una delle ragazze finite sul forum, Fabiana, ha spiegato a LaRegione di essersi recata in questura nel 2019 per denunciare la pubblicazione su Phica di 36 foto che lei aveva pubblicato sui social e che erano state “denudate” con l’intelligenza artificiale. Una volta ascoltata dalla polizia, però, tutto ciò che aveva ottenuto era stato un atteggiamento goliardico degli agenti uomini e il consiglio lapidario di una collega donna: denunciare non conviene, meglio provare a mediare con il sito. I tempi della giustizia sarebbero stati eccessivamente lunghi.
Il consiglio dell’agente non era del tutto campato in aria. Sebbene sia un sito completamente italiano, infatti, le infrastrutture tecnologiche di Phica risiedevano in California, dove erano collocati i server messi a disposizione dal servizio di hosting. Ciò significa che un’eventuale inchiesta delle autorità italiane avrebbe dovuto fare i conti con una rogatoria internazionale, ovvero la richiesta alle autorità giudiziarie di un altro Stato di collaborare nelle indagini. Una pratica burocratica complicata, che richiede tempo e risorse.
In un messaggio diffuso pochi giorni prima della chiusura, l’amministratore di Phica aveva spiegato agli utenti che il forum collaborava “costantemente con la [polizia, ndr] postale” e che, grazie a questo rapporto, per le forze dell’ordine l’invio dei documenti ai gestori della piattaforma poteva essere considerato un’alternativa alla denuncia per le donne che vi trovavano pubblicate le proprie foto.
Phica.eu
Così appare oggi la pagina incriminata
Se confermato, si tratterebbe di un comportamento irrituale ed estremamente grave, anche perché molte delle consuetudini in voga sul forum rappresentano a tutti gli effetti un reato. Ciò vale ad esempio per la condivisione non consensuale di materiale intimo, crimine punibile in Italia con la reclusione tra uno e sei anni, e per la pubblicazione di scatti rubati, che prevede pene fino a quattro anni di reclusione. Si tratta, in entrambi i casi, di fattispecie perseguibili solo a querela di parte e dunque il procedimento penale può iniziare solo se è la vittima a presentare formalmente una denuncia. Un’ulteriore complicazione, dal momento che molte delle donne coinvolte non sono a conoscenza di essere finite sul forum e che, come abbiamo visto, anche chi voleva denunciare non è certo stato incentivato a farlo.
Come hanno raccontato diverse vittime, inoltre, gli amministratori di Phica richiedevano il pagamento di decine di migliaia di euro per rimuovere le immagini pubblicate senza consenso, così come un pagamento era stato richiesto anche agli utenti che negli ultimi giorni di vita del forum, in preda al panico, volevano cancellare il proprio profilo e i propri messaggi pubblici. Si tratterebbe a tutti gli effetti di estorsione.
La storia di Phica sembra ora essere definitivamente giunta al capolinea e la pioggia di denunce – annunciate anche da politiche, conduttrici e rappresentanti delle istituzioni che hanno scoperto di essere finite loro malgrado sul forum – potrebbe dare il via a un’indagine capillare sull’organizzazione che si celava dietro lo spazio misogino. Certo, per arrivarci sono serviti vent’anni, decine di migliaia di vittime e la messa in discussione di un sistema che nel migliore dei casi si è rivelato poco efficiente. Ma come già accaduto in Francia, dove l’affaire Pelicot ha smascherato una rete di stupratori che si organizzavano online, qualcosa sembra essere definitivamente cambiato in Italia e il dibattito sulla violenza misogina non sarà mai più lo stesso.