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Kirk, ultimo bersaglio del Far West politico americano

Una scia di sangue che risale al 1844. La violenza, diceva l’attivista Rap Brown, ‘è americana quanto la torta di ciliegie’. Trump ha esacerbato gli animi

Un artista omaggia la memoria di Charlie Kirk
(Keystone)
12 settembre 2025
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L’assassinio di Charlie Kirk, l’attivista di destra fondatore dell’associazione Turning Point, ha colpito chi più di ogni altro è stato il maggiore propagandista delle idee trumpiane presso gli studenti universitari. Anzi, in un certo modo le ha anticipate, dato che l’associazione è stata fondata nel 2012, in concomitanza con la fase matura dell’allora movimento del Tea Party, una rivolta conservatrice nelle fila repubblicane che poi si sarebbe evoluta nel trumpismo.

Kirk, all’epoca giovanissimo, di fatto ha seguito la metamorfosi di quei ribelli che sarebbero poi divenuti i padroni del partito. Con qualche modifica ideologica: meno enfasi sul libero mercato, più importanza al controllo dei confini. Non è questo però il punto per cui è diventato famoso. Si può dire che sia divenuto inviso a un pezzo di Paese per la sua pervicacia nel voler portare avanti i dibattiti nei campus universitari e il 10 settembre è morto proprio per questa ragione. Anche la sua difesa del free speech, di cui si dichiarava un “assolutista”, alla fine era elastica. Non si ricordano sue difese, ad esempio, degli studenti pro-Palestina deportati in questi mesi dall’amministrazione Trump.

Caccia al killer

A ogni modo il suo pensiero, di fronte alla morte, quasi scompare, sostituito dall’aura della santificazione che gli ha conferito il mondo trumpiano e dallo sconforto dei commentatori progressisti che temono un inasprimento autoritario da parte della Casa Bianca. In tutto questo soltanto la mattina di giovedì l’Fbi ha diffuso una foto del sospetto, forse uno studente – al momento ancora latitante – sulla cui testa pende una taglia da 100mila dollari. Il suo fucile è stato ritrovato nei boschi dello Utah, vicino al luogo dell’assassinio, nel campus della Utah Valley University, e secondo le autorità sarebbe stato coperto con messaggi pro trans e antifascisti.


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Kirk sorridente pochi minuti prima di essere colpito

Questo delitto però arriva in una fase dove la violenza politica appare in ascesa. E si fa fatica a comprendere che il New York Times affermi pudicamente in un editoriale a nome dell’intera redazione che atti come questi siano antitetici all’America e in contrasto con i suoi valori. Di sicuro atti del genere non fanno bene alla democrazia, ma si può dire che la violenza politica è americana “come la torta di ciliegie”, per citare la frase pronunciata nel 1967 dall’attivista politico afroamericano H. Rap Brown.

Linciaggi e bastoni da passeggio

Il primo omicidio politico, al di là dell’epoca rivoluzionaria del Settecento, è arrivato soltanto nel 1844, con il linciaggio del sindaco di Nauvoo (Illinois) Joseph Smith, leader religioso della Chiesa dei Santi degli Ultimi Giorni, meglio noti come mormoni, ucciso in prigione per le sue posizioni controverse sulla poligamia. Qualche anno più tardi, la febbre della violenza sarebbe nuovamente salita in concomitanza con le tensioni tra il Nord libero e il Sud schiavista. A farne le spese sarebbe stato il senatore del Massachusetts Charles Sumner: nel 1856 dopo aver tenuto un discorso molto forte sul potere politico degli schiavisti e sulla loro influenza nefasta sul governo federale che aveva portato allo “stupro” da parte dei coloni schiavisti dell’allora territorio del Kansas definito come “vergine”.

Nella sua puntuta e spesso volgare prolusione, Sumner attaccò il suo collega Andrew Butler del South Carolina, prendendolo in giro per il recente ictus dicendo che “per fortuna non può aprire bocca, sennò si riempirebbe di fesserie”. Nel pubblico, ad ascoltare, c’era un altro politico, il deputato Preston Brooks sempre proveniente dallo stato di Butler, di cui era parente. Dopo la sessione, aspettò Sumner per colpirlo ripetutamente con il suo bastone da passeggio. Un atto di brutalità in un’aula del Congresso fu qualcosa che stupì molto i contemporanei.

Da Lincoln a Kennedy

Qualche anno più tardi, durante la guerra civile, si sarebbe arrivati all’omicidio: nel 1861 un ex deputato del Tennessee di nome Josiah Anderson tenne un discorso pubblico favorevole al distacco del suo stato dall’Unione. La notte successiva un gruppo sconosciuto lo assalì, uccidendolo. A fare le spese della violenza politica, a fine conflitto, sarebbe stato addirittura il presidente degli Stati Uniti Abraham Lincoln, ucciso da un famoso attore di forti simpatie filosudiste, John Wilkes Booth.


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L’attentato di Dallas a Jfk

Ma è negli anni finali dell’Ottocento che la violenza di natura politica raggiunge l’apice. La forte polarizzazione, corroborata da gruppi di partito armati e da metodi poco eterodossi, portò a una massiccia intimidazione durante le campagne elettorali, che a volte culminava nell’omicidio, soprattutto negli Stati del Sud, dove in questo modo gli afroamericani vennero cancellati dalla vita politica del Paese. Anche a Nord però questi fenomeni si erano diffusi e non erano rare le risse né gli omicidi. E anche in questo caso fu il capo della Casa Bianca a morire: il presidente Andrew Garfield, fresco di elezione, venne ucciso nel 1881 da un militante deluso per non aver ricevuto una poltrona in cambio del suo sostegno alle elezioni l’anno prima. Vent’anni più tardi stessa sorte toccò al presidente William McKinley, impallinato da un anarchico.

Dopo anni di relativa tranquillità, gli anni a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 sono stati forieri di violenza a tutti i livelli, non solo per l’omicidio di John Fitzgerald Kennedy nel 1963 e di suo fratello Robert cinque anni più tardi, ma anche per quanto accaduto sempre negli Stati del Sud contro gli afroamericani e i militanti bianchi che li aiutavano a registrarsi nelle liste elettorali. Difficile qui contare gli atti di violenza. Si può dire però che ne ha fatto le spese anche uno dei più grandi difensori della segregazione razziale: il governatore dell’Alabama George Wallace venne ferito gravemente durante la campagna per le primarie democratiche del 1972, rimanendo paralizzato negli arti inferiori per il resto della sua vita.

La nuova ondata

Per quanto riguarda il clima politico dietro alla polarizzazione odierna, occorre ricordare che il primo assalto con armi da fuoco nel ventunesimo secolo è avvenuto quando Trump era ancora il conduttore televisivo del talent per aspiranti imprenditori The Apprentice: l’8 gennaio 2011 la deputata dell’Arizona Gabby Giffords venne colpita in testa da un proiettile sparato da Jared Lee Loughner. Si accusò l’ex governatrice dell’Alaska Sarah Palin di aver postato un’immagine di Giffords con un bersaglio stilizzato, intesa come deputata da sconfiggere alle elezioni di midterm dell’anno prima. Alla fine, non fu così, ma ormai la violenza contro i politici era stata sdoganata, complice il clima politico che si stava aggravando. I leader repubblicani istituzionalisti come John McCain e Mitt Romney, con i loro richiami alla calma e all’unità, diventavano sempre più voci inascoltate per chi stava infiltrando il partito dalle fila dell’estrema destra, mentre a sinistra un lupo solitario, nel 2017, avrebbe colpito da lontano il vice leader dei repubblicani alla Camera Steve Scalise durante una partita di baseball benefica. E solo quest’anno un sostenitore del presidente Trump ha assassinato l’ex speaker democratica della Camera Statale Melissa Hortman per la sua difesa del diritto d’aborto. Una spirale che non accenna a spegnersi anche a causa della retorica sempre più violenta e divisiva del presidente, che anche per questo rende la situazione sempre più incandescente.


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L’attentato al presidente Garfield nel 1881