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La tortuosa e bizzarra strada che ha portato Dembélé al Pallone d’Oro

È passato da essere un ragazzino immaturo a leader carismatico di una delle migliori squadre al mondo, da talento inconcludente a giocatore totale

Da macchietta a campione
(Keystone)
24 settembre 2025
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C’è un momento preciso in cui la carriera di Ousmane Dembélé sembra incrinarsi per sempre. È il primo maggio 2019 e al Camp Nou il Barcellona sta vincendo 3-0 contro il Liverpool. Al minuto 97 Messi gli serve il più facile dei rigori in movimento, un pallone perfetto su cui al francese basterebbe un po’ di convinzione per segnare il 4 a 0. Dembélé, entrato in campo da pochi minuti, tira però pianissimo tra le mani di Alisson e il risultato resta lo stesso. In diretta era sembrata solo la minuscola stonatura di una grande orchestra, al ritorno però il Liverpool rimonta le tre reti di svantaggio e va in finale di Champions League, poi vinta contro il Tottenham. L’errore di Dembélé diventa quindi decisivo, il motivo per cui Messi non è riuscito a vincere un’ultima Champions League con il club che lo ha cresciuto.

Cinque anni dopo l’argentino è stato uno dei primi a congratularsi con Dembélé per la vittoria del Pallone d’Oro di lunedì sera. “Te lo meriti, sono felice per te”, ha scritto sui social, nonostante il francese abbia battuto il suo erede al Barcellona Lamine Yamal. Qualche tempo fa, in un’intervista, Dembélé aveva raccontato di come Messi gli avesse dato un consiglio prezioso, che gli aveva cambiato la carriera: “Mi ha detto di essere serio se volevo realizzare i miei sogni”. Per quanto possa suonare retorico e inconsistente, osservando la carriera di Dembélé viene da pensare sia stato un buon consiglio. Se infatti la storia dei migliori calciatori al mondo, quelli che vincono il Pallone d’Oro, è sempre lineare e luminosa, quella di Dembélé è più bizzarra e tortuosa, e l’ultimo anno davvero sorprendente.

Un talento straordinario

Non che non fosse evidente fin dagli esordi, a 18 anni con il Rennes, che si trattava di un talento straordinario, ma sin dall’inizio c’è sempre stato qualcosa di stonato in lui, nel modo in cui stava in campo e, ancor di più, nel suo comportamento fuori dal campo. Di quel periodo è rimasta storica una sua intervista dopo una partita: un giornalista gli chiede se fosse destro o mancino, lui ci pensa un po’ e poi risponde: «Mancino»; «E allora perché hai tirato il rigore con il destro?». Dembélé è come sorpreso da quella seconda domanda, bofonchia qualcosa e poi dice poco convinto: «Perché calcio meglio col destro».

Questa ambidestria naturale lo aveva reso imprendibile e imprevedibile nella sua prima stagione tra i professionisti, in cui segna 12 gol a cui aggiunge 5 assist. In Francia gli consigliano di rimanere in Ligue 1 per crescere e maturare, ma lui preferisce andare al Borussia Dortmund, una delle migliori squadre al mondo nel prendere un giovane talento in rampa di lancio e portarlo su un altro livello. E così succede: la stagione in Germania conferma quanto si era intravisto al Rennes. Dembélé sembra corrispondere all’ideale del predestinato: che sia in Ligue 1, in Bundesliga o in Champions League è sempre più forte degli altri, più promettente. Non è ancora un calciatore da tonnellate di gol e assist, ma sembra solo questione di tempo, di trovare la quadra a tutto quel talento. Tuchel, l’allenatore di quella squadra, che lo vede allenarsi tutti i giorni, dice «tecnicamente è un superdotato. Quando terminerà il duello Messi-Cristiano, sarà un serio candidato al Pallone d’Oro».

Quell’aria infantile e disinteressata

Al terzo anno tra i professionisti arriva il terzo salto, quello più grande. In estate il Barcellona perde Neymar che va al Psg e sceglie proprio Dembélé per sostituirlo. Lo paga 105 milioni di euro, più bonus pari a circa 40 milioni di euro. Sono tantissimi soldi per un ragazzo di appena 20 anni, con pochissime partite sulle spalle, ma all’epoca era sembrato perfettamente normale spenderli per lui. Dembélé è chiamato a completare l’attacco più forte del mondo insieme a Messi e Suarez, nella squadra più forte del mondo. È difficile immaginare che tipo di pressione possa essere arrivata addosso, anche perché il francese ha sempre avuto, e mi sembra la conservi anche ora, questa aria infantile e un po’ scazzata che lo fa sembrare sempre disinteressato a tutto quello che lo circonda.

Che sia il peso di dover dimostrare di valere tutti quei soldi o semplicemente il suo carattere, a Barcellona le cose vanno male praticamente da subito. Forse qualcosa si poteva intuire, nei problemi avuti al Rennes prima di firmare il primo contratto che ne hanno ritardato gli esordi, o in come si è lasciato male col Borussia Dortmund, in rotta con la società e riconsegnando la casa che gli aveva trovato il club come «un bidone della spazzatura, ce n’era in ogni stanza» (parole del proprietario). Oppure quando, alla presentazione con il Barcellona, non riesce a mettere insieme dei palleggi decenti. I calciatori forti dovrebbero avere un rapporto simbiotico col pallone, come se fosse la continuazione del loro corpo, ma invece Dembélé è impacciato e un po’ patetico. Il video fa il giro del mondo.

Sembra(va) rovinarsi da solo

In campo non va meglio, si infortuna alla prima partita, sta fuori quattro mesi, quando torna non ingrana, sembra un corpo estraneo alla squadra. Iniziano a uscire delle voci abbastanza imbarazzanti sul modo in cui vive. Un giorno, prima di un allenamento, chiama il club e dice di avere mal di pancia e che non può allenarsi. Il Barcellona allora gli manda il medico sociale a casa. Quello entra e si trova come dentro una grotta: le persiane sono tutte abbassate, le stanze piene di adolescenti che dormono sui divani o giocano alla PlayStation. In giro è pieno di cartoni di pizza e disordine, patatine a terra, letti disfatti, sporcizia. Tra l’altro Dembélé non ha mal di pancia, ha inventato una scusa per saltare l’allenamento. Un giorno arriva in ritardo di due ore all’allenamento, l’ennesimo di molti: il club lo multa per 100mila euro. Il Barcellona prova a svegliarlo, lo costringe ad avere un cuoco personale perché la sua dieta era, parole loro, «uno schifo». Luis Suarez va davanti ai microfoni e lo striglia pubblicamente: «Dovrebbe concentrarsi solo sul calcio ed essere più responsabile. Essere un calciatore è un autentico privilegio».

Dembélé sembra rovinarsi da solo, ma non come fanno i calciatori “senza testa”, cioè tra feste, donne e macchine veloci, quanto piuttosto per giocare tutta la notte ai videogiochi e mangiare cibo spazzatura, come se fosse un bambino, senza neanche l’aura del calciatore maledetto. La stampa, in Spagna e nel resto del mondo, lo distrugge, i titoli che lo riguardano lo trattano come se fosse uno scemo. In quegli anni è spesso infortunato, proprio per via del suo stile di vita, e quando gioca appare svogliato, commette errori clamorosi, come appunto quello con il Liverpool. Tutti gli allenatori gli riconoscono grande talento e provano a metterlo al centro dei loro progetti, ma nessuno ci riesce. Forse il simbolo di questa fase della sua carriera è la sostituzione ricevuta nel primo tempo della finale del Mondiale in Qatar contro l’Argentina, nella partita più importante della sua vita.


Keystone
Ha seguito il consiglio di Messi

Da vassallo di Mbappé a simbolo della metamorfosi

Quando nel 2023 il Paris Saint-Germain lo compra per 50 milioni di euro, un terzo del prezzo speso dal Barcellona, sembra un evidente passo indietro. Un ritorno in Ligue 1, il campionato da dove era scappato a 19 anni, per diventare il vassallo di Mbappé, uno dei tanti talenti francesi che il club francese si mette in casa, forse per motivi anche politici. La prima stagione va così così, la seconda inizia anche peggio. Luis Enrique lo mette fuori squadra per scarso impegno in allenamento. «Non sono suo padre» dice. Quando torna in squadra lo sposta al centro dell’attacco, al posto di Mbappé che intanto è scappato a Madrid. Da quel momento cambia tutto: Dembélé inizia a segnare un gol a partita, diventa all’improvviso un calciatore affamato ed efficiente, il simbolo della metamorfosi del Psg, da squadra piena di campioni viziati a squadra giovane e rampante, che distrugge gli avversari con l’intensità e l’intraprendenza.

È difficile pensare che quella punizione possa averlo cambiato così tanto, ma non può essere solo un caso. Il risultato è una stagione maestosa per lui e per il club, che riesce finalmente a coronare il sogno di vincere la Champions League, distruggendo l’Inter in finale con un 5-0 già storico. Dembélé è protagonista con i suoi 35 gol, praticamente il triplo del suo precedente record, ma a rimanere impresse non sono solo le sue reti o le giocate sopraffine, che dopotutto hanno sempre fatto parte del suo bagaglio tecnico, ma le immagini di lui con la postura in avanti e gli occhi spiritati mentre fissa gli avversari, pronto a pressarli con tutta la sua forza.

Dare l’esempio

Nello stesso periodo su internet diventa virale un video tratto dalla serie-documentario su Luis Enrique, in cui l’allenatore rimproverava Mbappé per il suo atteggiamento in campo: «Ho letto che ti piaceva Michael Jordan. Michael Jordan prendeva tutti i suoi compagni per le palle e iniziava a difendere come un figlio di puttana… Devi dare l’esempio!». Oggi possiamo dire che dove non è arrivato Mbappé, a 28 anni ci è arrivato Dembélé. È il paradosso che lo ha reso un calciatore da Pallone d’Oro, quella serietà di cui gli aveva parlato Messi. È una rivelazione che ormai non ci aspettavamo più, avvenuta al termine di una sorprendente evoluzione personale. Dembélé è passato da essere un ragazzino immaturo a essere il leader carismatico di una delle migliori squadre al mondo, da talento inconcludente a giocatore totale, da macchietta a campione. Dove abbia trovato la forza di cambiare è difficile dirlo da qui, ma la ricompensa è stata d’oro, a forma di pallone.