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Processo Airlight, la difesa silura ‘lo stereotipo sovietico’

In appello gli avvocati si battono per la conferma dell’assoluzione dei quattro dirigenti e per il proscioglimento dell’unico condannato in primo grado

(Ti-Press)
17 gennaio 2025
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«Ancora una volta il procuratore pubblico ha portato in tribunale lo stereotipo sovietico secondo cui ‘il bieco capitalista tiene per sé i rami buoni mentre spolpa e si disfa degli altri’. Uno stereotipo riproposto senza alcuna novità, al contrario di quanto richiede la procedura penale nei processi di appello. Stereotipo già smontato nel 2023 in prima istanza dalla corte delle Assise criminali assolvendo quattro dei cinque imputati». Si chiude con riferimenti d’oltre cortina il processo celebratosi giovedì e oggi davanti alla Corte di appello e revisione penale (Carp) a carico degli ultimi dirigenti della Airlight, la startup di Biasca con tanto di holding a Lugano fallite rispettivamente nell’agosto 2016 e settembre 2017 sotto il peso di debiti ultramilionari mentre in Marocco era in corso la certificazione del suo rivoluzionario impianto fotovoltaico. Infine certificato, ma quando ormai la manufacturing era fallita da un paio di settimane. Da allora è rimasto inutilizzato e mai commercializzato.

Società fallite a causa di un agire penalmente rilevante? Sì secondo il procuratore Daniele Galliano che giovedì, dopo aver ripercorso i fatti e i reati di amministrazione infedele aggravata, diminuzione dell'attivo a danno dei creditori, favori concessi ai creditori e cattiva gestione, ha ribadito le proposte di pena nei confronti dei quattro dirigenti prosciolti due anni fa in primo grado. No secondo il collegio difensivo dei cinque imputati, ossia i quattro assolti più il direttore tecnico e inventore della tecnologia, il leventinese Andrea Pedretti, l’unico finora ad aver subìto una condanna a 13 mesi sospesi. Dopo la requisitoria del procuratore, giovedì si sono espressi per primi gli avvocati Pierluigi Pasi per Pedretti (ne ha richiesto il proscioglimento) e Stelio Pesciallo per Marco Zanetti, imprenditore italiano nei cui confronti è stata chiesta la pena più pesante pari a tre anni di detenzione di cui sei mesi da espiare. Oggi era il turno degli altri tre.

‘Binario morto’

«Una procedura anomala, fragile e carente dal profilo dell’accertamento. Che crea disagio», ha attaccato l’avvocato Mario Postizzi per il 91enne imprenditore italiano Pasquale Cardarelli (chiesti due anni con la condizionale). Si dovrebbe andare in appello, ha sottolineato il legale, «per capire cosa non sarebbe chiaro nel giudizio di primo grado. Ma qui non si è portato né una nuova prova, né una nuova perizia né un contraddittorio che contrastassero il proscioglimento. Il procuratore ha proceduto lungo il suo binario morto e non ha spiegato perché sarebbe sbagliata la sentenza del 2023. Non ha dimostrato l’arbitrio, che non c’è. Siamo ai livelli di pura cassazione. Nel concreto: due anni fa e oggi non è stata portata la prova dell’insolvenza. Al contrario le carte, le testimonianze e le perizie dicono che c’è stata un’attività tutta orientata al risanamento ricapitalizzando la holding, riducendo i costi, vendendo i brevetti non strategici e anche licenziando il personale di Biasca. Scelte pesanti ma doverose, fatte responsabilmente, nella piena legalità, senza chiudere gli occhi, senza negligenza né dolo eventuale. E col solo obiettivo di garantire l’operatività fino al 30 giugno 2016 puntando alla certificazione dell’impianto Csp in Marocco. Il tutto sulla base di un chiaro accordo di garanzia. Invece il procuratore ha creato l’assioma ‘insolvenza uguale cattiva gestione’. Che non sta in piedi, come ha ben stabilito la prima Corte optando per l’assoluzione».

‘Non vi sono reati fallimentari’

Membro di Cda della holding sino all’autunno 2015, al luganese Francesco Bolgiani viene imputata la colpa meno grave con una richiesta di pena contenuta in 180 aliquote sospese. È del suo legale, l’avvocato Paolo Bernasconi, la citazione relativa allo stereotipo sovietico citato all’inizio: «Ancora una volta la pubblica accusa deraglia dal binario. Dove sono gli elementi oggettivi del reato ‘favori concessi ai creditori’? Né l’atto d’accusa, e nemmeno qui oggi, si dice chi sarebbe stato avvantaggiato. Un enigma che ci porta a dire che non vi sono reati fallimentari, tantomeno a carico di Bolgiani. In questo appello sono stati portati svariati argomenti, salvo quelli richiesti dal Codice di procedura penale: nessun nuovo atto istruttorio o atto probatorio. Un’assenza suicidale per l’Accusa».

‘C'era l'obbligo di diligenza, non di successo’

Due anni di detenzione con la condizionale sono stati chiesti anche per l’ingegnere italiano Federico Micheli: membro di Cda della holding e ultimo amministratore della manufacturing, ha curato gli aspetti tecnici e di commercializzazione. «Con un incarto confuso e incompleto – ha esordito il suo patrocinatore, l’avvocato Emanuele Verda – il procuratore si ostina a esporre gli stessi e identici argomenti che il primo grado ha ritenuto inconsistenti. In quel mare di attività frenetiche, portate avanti con lo scopo ben preciso della certificazione, gli imputati sono stati confrontati con la decisione inattesa dell’ufficio di revisione di depositare i bilanci della manufacturing in Pretura per sovraindebitamento». Un passo compiuto quando il gruppo di garanzia, che avrebbe dovuto iniettare gli ultimi milioni in prossimità della certificazione, i milioni se li è tenuti per sé. Quanto alla responsabilità personale, Verda ha evidenziato che «il mandato ricevuto nel Cda prevedeva l’obbligo di diligenza, non di ottenere un risultato di successo. Ricordiamo che stiamo parlando dell’ultimo Cda rimasto col cerino in mano in una situazione di tensione accumulatasi negli anni». Quanto a Micheli, «non è avido e anzi ha lavorato gratis e ha saldato di tasca sua, con non poca difficoltà, gli ultimi oneri sociali per 100mila franchi. Coinvolto da Cardarelli perché ingegnere pionieristico negli impianti fotovoltaici, per gli aspetti finanziari, economici e contabili si fidava degli ammiragli della nave capaci di tracciare la rotta. Era il referente tecnico per il management. Ha agito con coscienza nell’impegno collettivo di diminuire i passivi. E comunque il suo obiettivo lo ha raggiunto: certificare il Csp, purtroppo in ritardo». La sentenza è attesa nelle prossime settimane.

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