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Pompiere si spaccia per poliziotto: condannato

Pena pecuniaria di 20 aliquote giornaliere di 190 franchi sospesa per un 44enne che ha chiesto a una donna di mostrargli un documento d'identità

In sintesi:
  • I fatti si sono svolti ad Arbedo il 28 novembre 2023
  • L'uomo era sospettoso perché nel suo palazzo si trafficava droga
  • La giudice: ‘Solo la polizia può verificare le generalità di una persona’
La giudice: ‘Solo la polizia può verificare le generalità di una persona’
(Ti-Press)
28 maggio 2025
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Un pompiere volontario che si è spacciato per poliziotto è stato condannato a una pena pecuniaria di 20 aliquote giornaliere di 190 franchi sospesa condizionalmente per un periodo di prova di 2 anni. L’uomo – un 44enne, dipendente di un Comune del Bellinzonese – ha infatti chiesto a una donna di farsi consegnare un documento d’identità, mostrando anche un lampeggiante blu presente nell'auto dei pompieri che guidava e un tesserino. «La verifica dell'identità di una persona è una prerogativa della polizia e non di un privato cittadino» a meno che non abbia un’esplicita autorizzazione, ha affermato la giudice Elettra Orsetta Bernasconi Matti pronunciando la sentenza. L’uomo, identificandosi come poliziotto, si è quindi «arrogato l’esercizio di una pubblica funzione per un fine illecito», ovvero la richiesta di vedere il documento. «Avrebbe dovuto aspettare l’arrivo della polizia che avrebbe accertato l’identità della donna», ha aggiunto la giudice, che in sostanza ha dunque confermato i fatti descritti nel decreto di accusa firmato dal procuratore generale Andrea Pagani e la relativa richiesta di pena proposta.

Uomo sospettoso perché nel suo palazzo si trafficava droga

Fatti che si sono svolti il 28 novembre 2023 ad Arbedo. Uscendo dall’autorimessa del palazzo dove abita, ha notato una signora «che stava attendendo qualcuno», ha affermato il 44enne durante il processo che si è celebrato oggi, 28 maggio, alla Pretura penale a Bellinzona. La donna – ovvero l’accusatrice privata – aveva destato sospetto nell’uomo, visto che nel palazzo dove abita si spacciavano stupefacenti e vi erano già stati furti. Le ha quindi chiesto se avesse bisogno di qualcosa e lei gli ha risposto in modo secco di farsi gli affari suoi. L’uomo, sempre più insospettito, ha però insistito chiedendo alla donna di mostrargli un documento. A questo proposito, la giudice ha fatto notare che inizialmente il 44enne aveva negato di aver richiesto la carta di identità, cambiando poi versione in seguito. La donna ha così mostrato all’uomo il documento, affermando tuttavia che «non lo avrebbe mai fatto», se non gli avesse detto «che era un poliziotto», mostrandogli anche il lampeggiante presente nell’auto e un non meglio identificato tesserino di sfuggita. Da parte sua il 44enne e sua moglie – sentita in aula in qualità di testimone, visto che si trovava a bordo della vettura con il marito – hanno negato che sia andata in questo modo.

‘Ho avuto paura’

Resta il fatto che la donna il documento lo ha consegnato, anche perché ha avuto «paura», visto che l'uomo si era rivolto a lei «in modo aggressivo, arrogante e prepotente, senza presentarsi». Inoltre era «da sola, di sera, a un certo punto con due persone sconosciute». Il 44enne aveva infatti chiamato un vicino, chiedendogli di rimanere con la donna finché non fosse arrivata la polizia alla quale aveva segnalato la presenza di una persona sospetta. Prima che arrivassero gli agenti, l’uomo se n’è infatti andato via con la moglie perché avevano «un appuntamento improrogabile». La polizia è poi arrivata e a quel punto la donna ha deciso di sporgere denuncia.

La difesa aveva chiesto il proscioglimento

Dopo gli interrogatori da parte della giudice Orsetta Bernasconi Matti, l’avvocato difensore Andrea Bersani ha tenuto la sua arringa, chiedendo il proscioglimento del 44enne. Proscioglimento motivato in particolare con il fatto che «non vi sono prove per cui si possa concludere che si sia identificato come poliziotto». Inoltre, lo spaccio di droga così come i furti avvenuti nella palazzina generavano una «preoccupazione comprensibile verso chiunque si presentasse in quel posto». Per Bersani era quindi normale che in un contesto simile l’imputato abbia voluto verificare l'identità di una persona per capire chi fosse e cosa stesse facendo. Normale e comprensibile forse sì, ma per la giudice anche illegale.

Si è insomma trattato di un processo indiziario, con la parola dell’accusatrice privata contro quella dell’imputato. Orsetta Bernasconi Matti ha ritenuto la versione di quest’ultimo «contraddittoria», mentre quella della donna «attendibile». Resta il fatto che il documento è stato richiesto e consegnato. E questo lo può in sostanza fare solo la polizia.