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Sui reati la scuola ‘deve essere informata’

Dopo casi come l’accoltellamento del 2023, per il Cdm l’istituto dev’essere messo al corrente se un allievo ha fatto qualcosa di grave

17 giugno 2025
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Se con la condanna a otto mesi di detenzione con la condizionale si chiude l’ultimo capitolo della vicenda giudiziaria che vede protagonista l’autrice del fatto di sangue verificatosi il 19 aprile 2023 all’esterno delle Scuole medie 2 di Bellinzona, vi sono alcuni punti ancora aperti che meritano una riflessione e correttivi per fare meglio in futuro. Il Tribunale dei minori lo scorso gennaio ha riconosciuto colpevole l’allora 15enne – che aveva ferito un compagno all’addome – di tentate lesioni gravi; oltre alla pena sospesa aveva decretato per lei l’obbligo di proseguire il doppio percorso ambulatoriale ed educativo. Fin da subito, nella vicenda si era innestata quella di un’amica dell’accoltellatrice, che sentitasi minacciata di morte nel 2022, fra l’altro in presenza di una testimone, ne aveva parlato ai genitori. Secondo i genitori della ragazza la magistrata dei minorenni Fabiola Gnesa avrebbe trattato il caso con troppa leggerezza sottovalutando i rischi dopo le segnalazioni di più minacce di morte verbali e scritte. Si erano quindi rivolti al Consiglio della magistratura (Cdm), quale organo di vigilanza, chiedendo di verificare l’operato della magistrata. Lo scorso 20 gennaio il presidente del Cdm, Damiano Stefani, era giunto alla conclusione che non vi era spazio per nessun procedimento disciplinare. La famiglia aveva così deciso di chiedere, come concede la legge, che a esprimersi sulla segnalazione fosse anche il plenum del Cdm. Due settimane fa questo organo ha ribadito sostanzialmente la conclusione cui era giunto Stefani, evidenziando che la segnalazione non fornisce elementi a sufficienza per aprire un procedimento disciplinare nei confronti della magistrata dei minorenni. Il lavoro svolto da Fabiola Gnesa per gestire un caso delicato e difficile viene definito “intenso, serio e professionale e che ha già portato a risultati positivi. Tant’è che, dopo l’evento drammatico, non risulta vi sia stato più alcun atto contro le persone”.

‘Omissione da biasimare’

Tuttavia vengono anche rimarcate alcune criticità, con l’auspicio che si adottino correttivi utili a fare meglio in futuro. La questione riguarda in particolare la testimone della minaccia, ritrovatasi a scuola nella stessa classe dell’accoltellatrice. “Se da un lato la mancata informazione alla direzione della scuola trova giustificazione nel segreto professionale e nella protezione dei dati, dall’altra la magistrata avrebbe dovuto considerare anche il fatto che vi era un interesse legittimo dell’istituto scolastico, dei docenti e degli allievi a conoscere la situazione di un’allieva che ha commesso un atto di tale gravità quale quello di accoltellare un amico senza alcun motivo”, scrive il plenum del Cdm. “In questo senso l’omissione, seppur irrilevante dal punto di vista disciplinare, deve essere biasimata”. E in più: “La collocazione in qualsiasi struttura, scolastica o professionale, di ragazzi che hanno commesso dei reati, soprattutto se contro l’integrità fisica, deve fondarsi sulla creazione di una rete di sostegno/controllo e non può prescindere dall’informazione delle varie persone interessate e dalla collaborazione con loro. In questo caso almeno della direzione della scuola”, viene evidenziato. “Fosse successo qualcosa a qualche compagno o professore, anche non grave, la mancata informazione avrebbe certamente messo in difficoltà l’autorità”. Proprio per questo, come già suggerito dal presidente del Cdm nella sua decisione, la conclusione è che appare opportuno che “venga fatto tesoro di quanto sollevato dalla segnalante e per il futuro si adottino i semplici ma necessari correttivi”.

Il secondo appunto del plenum riguarda la mancata risposta a cinque lettere del legale della famiglia della minacciata (avvocato Cesare Lepori): “Non è accettabile che un’autorità giudiziaria non dia seguito a scritti di parti interessate, a maggior ragione se patrocinate”, si legge. “In simili situazioni si impone sempre una reazione dell’autorità, a prescindere dal carico di lavoro che la grava”.

‘Tutte le parti vanno tutelate’

Un aspetto critico sollevato dalla madre della giovane minacciata è anche il fatto che a tre mesi dal ferimento, sua figlia e l’accoltellatrice si erano ritrovate, senza intenzionalità, nello stesso ristorante del centro storico. L’accoltellatrice non avrebbe potuto andarci poiché delle misure restrittive glielo impedivano. Proprio riguardo a questo punto, la magistrata lo scorso 16 gennaio aveva spiegato al presidente del Cdm che l’autrice dell’accoltellamento “è seguita dai competenti servizi e si attiene alle misure impostele e che la volta che si è recata a Bellinzona infrangendole era con i nonni e comunque non aveva fatto alcun gesto che potesse destare timori”. E aveva aggiunto che “per una completa ed efficace riabilitazione, è importante evitare l’isolamento sociale”. La madre della vittima di minacce aveva a ogni modo segnalato questa situazione alla Polizia, che è però risultata ignara delle restrizioni in vigore. «La magistrata – commenta oggi la madre della ragazza minacciata – ha sorvolato sul fatto che le ordinanze hanno valenza di tutela. Perciò la polizia, ed erano passati soltanto tre mesi dall’accoltellamento, avrebbe dovuto essere messa al corrente per poter intervenire. La reintegrazione sociale può essere appoggiata, dopo dovute cure e accertamenti, ma non deve andare a scapito di chi è vittima. Tutte le parti vanno tutelate e considerate in egual misura». La famiglia sta valutando se rivolgersi alla Commissione di ricorso sulla magistratura contro la decisione del plenum del Cdm.