Il via alla fase operativa di un progetto lungo quattro anni e che mira a calcolare il volume di detriti portati a valle da un fiume in piena
È trascorso un anno dalle alluvioni in Mesolcina e Vallemaggia, eventi al di fuori di ogni prevedibilità. Tuttavia, un'estate sì e l’altra pure, qualche fiume ingrossato da un improvviso temporale esonda e trasporta a valle detriti in grado di causare ingenti danni a cose e persone. Sarebbe bello poter sapere in anticipo come i corsi d’acqua si comportano in caso di piena e quanto materiale trascinano nel loro percorso, potrebbe servire a prevenire situazioni di pericolo. Al momento, si tratta di indicazioni che vengono estrapolate in modo empirico, nonostante in commercio esistano alcuni tipi di sensori e tra Vallese e canton Berna siano in funzione un paio di centrali sperimentali di raccolta dati. Da ieri, però, è entrato nella fase operativa un progetto portato avanti dal Dipartimento tecnologie innovative della Supsi, in collaborazione con l’Ufficio dei corsi d’acqua del canton Ticino e con Laboratorium 3D, denominato RiBeMos, che permetterà di monitorare il trasporto di detriti nel fiume Canaria, sopra Airolo. Si tratta della sublimazione di quattro anni di lavoro, il passaggio dalla fase sperimentale a quella pratica.
«Oggi (ieri per chi legge, ndr) abbiamo iniziato a testare “dal vivo” quanto sviluppato in laboratorio – afferma Sebastiano Schütz, con Alessandro Vaghi uno dei due ricercatori Isea-Supsi –. In parole povere, abbiamo concentrato parte del deflusso del fiume in una canalina per simulare una piena, all’interno della quale inseriamo detriti a chilometro zero, provenienti dai depositi lasciati dal fiume negli scorsi anni. Sappiamo con esattezza quanti chilogrammi di materiale immettiamo nel canale e verifichiamo quanti ne recepiscono i sensori, in modo da poterli calibrare al meglio. Più dati avremo a disposizione, più precisa sarà la calibrazione che effettueremo nei prossimi giorni. Nel frattempo, continueremo a ricevere indicazioni dalle due placche ancorate sul greto del fiume, almeno fino a fine ottobre».
Spiegato come si farebbe con un bambino, RiBemos potrebbe sembrare un giochetto da ragazzi, ma così non è. Anzi, si tratta di un esperimento complesso, nel quale entrano in gioco diverse discipline tecniche, come precisa Schütz: «Sfruttiamo sensori sviluppati da noi, che lavorano con un sistema analogico e forniscono segnali da elaborare e digitalizzare: in seguito, grazie a un algoritmo di intelligenza artificiale colmiamo quelle parti che dal profilo matematico non riusciamo a descrivere. In pratica, l’algoritmo ci aiuta a capire la correlazione tra i segnali misurati e le perturbazioni ambientali, come possono essere un mutamento nel deflusso del fiume, così come un cambiamento nella temperatura dell’acqua…».
Il progetto è nato dalla constatazione «che i sensori attualmente in commercio funzionano sì, ma con grandi margini d’errore. Da qui l’idea di provare a sviluppare un sensore nuovo che permetta di avere a disposizione più dati. Devo dire che dai test effettuati in laboratorio, la precisione ottenuta è molto elevata, adesso si tratta di riprodurla in una situazione reale, all’interno di un vero corso d’acqua. A questo proposito, mi preme ringraziare l’autorità cantonale che ci ha finanziato e la Laboratorium 3D che ci ha messo a disposizione il laboratorio di sperimentazione nel quale abbiamo potuto ricreare un fiume in scala della portata di 200 litri al secondo. La loro esperienza in ingegneria fluviale ci è stata di grande aiuto. Se oggi ci troviamo qui, è grazie alla perfetta collaborazione tra tutti gli attori del progetto».
RiBeMos, finanziato dal Cantone, in linea del tutto teorica potrebbe essere applicato anche ad altri corsi d’acqua potenzialmente pericolosi: «In linea del tutto teorica sì – conferma Andrea Salvetti, collaboratore scientifico dell’Ufficio dei corsi d’acqua del Cantone –. In pratica, l’investimento (fin qui circa 300’000 franchi, destinati a lievitare nei mesi a venire, ndr) è oneroso, per cui risulta impensabile applicare questa tecnologia a ogni fiume. Tuttavia, si tratta di un progetto importante in quanto attualmente la quantificazione del materiale solido trasportato da una piena è ancora molto indicativa. Vi sono alcuni sensori disponibili sul mercato, ma le stime vengono effettuate con formule empiriche o a valle di un evento. Avere invece una stazione di misurazione che durante una piena sia in grado in tempo reale di quantificare il materiale trasportato a valle è molto importante, da una parte per la valutazione numerica delle opere di premunizione, dall’altra per la definizione di quelli che sono gli scenari di pericolo. I dati acquisiti con questa stazione potranno aiutarci a comprendere il comportamento dei corsi d’acqua durante una piena, fornendo dati e informazioni utili anche per altri fiumi».
Restava da scegliere l’ubicazione per il test decisivo, ma di dubbi ce ne sono stati pochi, precisa Salvetti: «La Val Canaria è una valle molto instabile, con diversi movimenti rocciosi su ambo i versanti. Dopo alcune riflessioni, abbiamo ritenuto si trattasse della soluzione migliore, in quanto ci aspettiamo che nel corso dei prossimi anni venga scaricato a valle molto materiale. Scegliere un fiume che, statistiche alla mano, presenta una situazione di piena ogni quindici anni non sarebbe stato sensato ai fini della nostra ricerca».
Due sono le placche posizionate sul letto del fiume: «La prima, dotata di un sensore elettromagnetico capacitivo – prosegue Sebastiano Schütz –, ci permette di misurare il materiale che scorre non solo sul fondo ma anche a livello superiore; la seconda è una placca a vibrazione in grado di misurare l’impatto dei sassi che scendono. Per il momento ci siamo limitati a due placche, tuttavia se in futuro questa dovesse diventare una vera stazione di ricerca, potremmo posizionarne un numero più elevato, così da monitorare tutto il letto del fiume».
L’attuale stazione idrometrica è stata allestita in prossimità di una presa di captazione di Aet «che, con l’entrata in funzione della nuova centrale idroelettrica del Ritom, prevista per il 2027, verrà dismessa – precisa Andrea Salvetti –. La prima idea era di utilizzare questa struttura per la creazione di una stazione di ricerca, in collaborazione con Aet. L’attuale progetto, invece, prevede la realizzazione più a monte rispetto a dove ci troviamo adesso e in modo del tutto indipendente».