Un 45enne a processo per omissione di soccorso avendo abbandonato la giovane compagna in stato critico senza allertare i soccorsi
Due storie analoghe, a distanza di quattro anni, sulla piccola piazza bellinzonese. Storie di giovani ragazze che assumono sostanze di vario tipo e finiscono la loro esistenza impattando contro questo problema spesso irrisolvibile. L’ultimo caso poche settimane fa, nel centro storico cittadino, dove a perdere la vita è stata una 23enne seguita da Antenna Icaro. Il suo compagno, un 28enne noto nell’ambiente e appena posto in libertà condizionale dopo tre settimane di detenzione preventiva, è accusato di omissione di soccorso.
Lo stesso reato di cui deve rispondere oggi in Tribunale a Lugano un 45enne svizzero del Bellinzonese a processo per la morte della sua giovane compagna verificatosi nel marzo 2021 a Giubiasco. Morta ingerendo la dose di metadone a lui destinata, insieme a sonniferi e cocaina. Metadone che lei non era abilitata ad assumere, quale terapia alternativa all'eroina invece prescritta al compagno.
Come emerge dal corposo atto d’accusa firmato dalla procuratrice pubblica Anna Fumagalli – che al termine della requisitoria ha proposto una pena di 17 mesi da scontare senza opporsi a una sospensione condizionale – l'inchiesta ha ricostruito le ultime ore della giovane. Emerge che l’imputato si era accorto verso le 10.30 delle sue condizioni critiche, ma aveva poi telefonato al Pronto soccorso solo due ore dopo per chiedere informazioni sul consumo di metadone e rifiutandosi di dar seguito all’invito del medico di picchetto (ripetuto tre volte) di procedere col ricovero immediato tramite ambulanza. Anzi, uscito di casa per comprare le sigarette, e rientrato verso le 17.30, solo in quel momento l’imputato ha allertato i soccorsi visto l’aggravarsi della situazione. Trasportata d’urgenza al San Giovanni, è infine deceduta dopo essere rimasta per quattro giorni fra la vita e la morte.
Interrogato in aula dalla giudice delle Assise correzionali Monica Sartori-Lombardi, l’imputato ha spiegato di aver avuto un'esistenza di solitudine e sofferenze fra il 2020 e il 2024: «Oggi ho cambiato vita, ho una nuova compagna, non consumo più droga e sono in fase terminale metadonica». L’avvocato Mattia Pontarolo, legale dei familiari della giovane, ha chiesto l’aggiunta del reato di omicidio colposo, ritenendo che l’imputato abbia avuto un ruolo più profilato rispetto all’accusa mossagli di omissione di soccorso; non di questo parere la presidente della corte, secondo cui non emerge dagli atti che l’imputato abbia creato una situazione di pericolo tale da renderlo giuridicamente ‘garante’ nei confronti della compagna. Il tema sarà probabilmente tema di ricorsi.
Quanto ai fatti di quel giorno, il 45enne ha assicurato di aver nascosto quel giorno il metadone in un armadietto, su un ripiano in alto, così da non renderlo accessibile alla giovane o a eventuali visitatori. «Perché non ha chiamato l’ambulanza?», lo ha incalzato la giudice: «Non ero lucido, quello stesso giorno avevo ingerito metadone e molti farmaci per dormire. In quel momento, constatato che anche lei poteva aver assunto metadone, ero in stato confusionale. Non ero in grado di prendere una decisione valida. Stavo impazzendo, ecco perché a un certo punto sono dovuto uscire di casa».
L’atto d’accusa contiene poi decine di furti in negozi per un valore complessivo di 13mila franchi, come pure la correità nel furto di una Porsche, la sera del 7 luglio 2023 in un garage di Bellinzona, compiuto da un suo conoscente; vettura con la quale si sono poi recati a Lugano (al volante c’era il suo amico, un 28enne portoghese residente nei Grigioni) dove la polizia li ha infine intercettati e bloccati dopo un incidente. L’imputato contesta di aver avuto in quel frangente un ruolo attivo, spiegando di aver unicamente assistito l’autore del furto e della scorribanda automobilistica. Pure contestatogli il fatto di aver detenuto armi e munizioni senza il necessario permesso.
«La condizione di tossicodipendente non ne mitiga la responsabilità, poiché perfettamente cosciente della situazione che aveva sotto gli occhi», ha sottolineato la procuratrice nella requisitoria. «Anzitutto sapeva benissimo che lei aveva un chiaro passato di droga. Inoltre al telefono il medico lo ha esortato ben tre volte, invano. Ha atteso consapevolmente di chiamare aiuto perché temeva conseguenze per se stesso. Prova ne è che proprio quel giorno ha gettato il flacone del metadone nel cassonetto della spazzatura, nel tentativo di autoassolversi». La pp Fumagalli ha quindi ritenuto «intollerabile la decisione di non chiamare i soccorsi di fronte a una situazione molto chiara sin dalla notte precedente, peraltro verificata tramite cellulare cercando informazioni, verso le 10.30, sul consumo di metadone». L’imputato ha agito «per motivi egoistici e lo si è ben percepito ancora oggi: le sue difficoltà odierne non sono legate al decesso della ragazza, ma agli effetti del processo. Incurante del prossimo, se ne frega. Ciò non permette di intravedere una prognosi positiva né attenuanti. Tant’è che oggi siamo ancora agli stessi dosaggi di metadone che gli erano stati prescritti quattro anni fa, accumulando nel frattempo 25 atti penali».
L’avvocato Pontarolo ha rimarcato la questione affettiva: «Erano una coppia e in quanto tale generatrice di un ruolo di protezione. Da qui la posizione di garante dell’imputato e l’accusa che andrebbe estesa al resto di omicidio colposo. Inoltre, quale consumatore di metadone, e in casa teneva dosi per più giorni, era suo obbligo fare in modo che la sostanza non finisse in mani di terzi, come prevede il ‘contratto terapeutico’ da lui sottoscritto. E pensare che l’appartamento era dotato di cassaforte… Quel giorno ha invece pensato solo a se stesso, mentre chiari segnali ben presenti già durante la notte avrebbero dovuto indurlo ad allertare i soccorsi subito, anziché trascorrere le ore notturne e della mattina a postare su Instagram e Facebook diversi messaggi d’amore e foto di lei distesa nel letto. L’ha abbandonata a se stessa, nonostante il medico lo abbia implorato di ricoverarla». Questo configura un agire «egoista, crudele, orribile, gravissimo. Fatto con piena lucidità e in piena consapevolezza. Chiedo una pena che permetta che casi simili non accadano più», come anche un torto morale di 35mila franchi per entrambi i genitori della giovane.
L’avvocato difensore Samuel Maffi ha dal canto suo chiesto che nella commisurazione della pena (al massimo 12 mesi sospesa per 5 anni) venga considerato il suo passato e la prognosi che si prospetta positiva: «Una persona ‘normale’ avrebbe reagito diversamente. L’imputato possiamo invece considerarlo un ‘disgraziato’. Eroinomane dall’età di vent’anni, moglie e due figli, poi la separazione, il Covid e da lì un nuovo periodo disastrato. Con importanti disturbi psichiatrici. In quei frangenti sì, altri avrebbero reagito diversamente». La domanda di fondo riguarda il rapporto fra i due: era una vera relazione affettiva? «Lo contesto. Non bastano i post sui social per dimostrarlo. Da poco tempo l’aveva infatti accolta nel suo appartamento dopo che si era lasciata col precedente compagno».