I ragazzi delle elementari ricordano l’alluvione che un anno fa ha sconvolto la regione: le priorità durante quelle difficili ore e nei giorni successivi
Chi attraversa la Mesolcina in questi giorni di sole splendente fatica a immaginare questo territorio sconvolto dalla furia della natura: acqua torrenziale, frane, strade trasformate in fiumi e fiumi che sprigionano la forza di un mare in tempesta. E, soprattutto, tre persone che in quella notte d’inferno di un anno fa hanno perso la vita. Oggi se si percorre l’A13 quasi non ci si accorge del punto esatto nel quale la Moesa si era mangiata in un sol boccone un tratto autostradale di 200 metri, ciò che aveva di fatto isolato la Mesolcina sull’asse nord-sud. Ciò nonostante, molte ferite rimangono aperte e la conta dei danni sfiora i 90 milioni. Le imprese della regione hanno lavorato incessantemente per il ripristino delle situazioni più urgenti: arginature, strade, sovra e sottostrutture in primis. Se i campi lungo la cantonale sono stati ricoperti dal verde di giugno e soltanto a tratti ci si rende conto di come l’erba sia cresciuta sulla distesa di fango depositato dall’alluvione, a Sorte non ci possono essere dubbi sull’entità della sciagura abbattutasi la sera del 21 giugno 2024.
La frazione a sud di Lostallo, situata ora in zona rossa in base alla nuova carta dei pericoli, è tutt’oggi inagibile e la frana che l’ha sventrata rimane lì a testimonianza della furia degli elementi. A inizio luglio, o nei prossimi mesi, le autorità dovrebbero poter comunicare la decisione sui due possibili scenari: o si ritiene che l’area non può essere messa in sicurezza e perciò gli sfollati vengono definitivamente delocalizzati, oppure si realizzano le necessarie opere di premunizione in grado di fornire le garanzie sufficienti a un rientro nelle abitazioni. Buona parte della ventina di sfollati, in costante contatto con le autorità, propenderebbe per la seconda opzione. Il problema è capire se l’eventuale nuovo vallo previsto sopra l’abitato sarebbe in grado di reggere una colata di neve, acqua e massi come quella abbattutasi un anno fa. Un evento, indicano gli esperti, che statisticamente si ripete ogni cento/trecento anni.
Il 21 giugno 2024 era, tra le altre cose, anche l’ultimo giorno di scuola. A un anno di distanza, questa settimana ci siamo recati alle elementari di Lostallo per dare voce ad alcuni ragazzi e ragazze dai 10 ai 13 anni – nelle classi di 3a-4a e 5a-6a – che un anno fa sono stati involontari testimoni di un evento destinato a rimanere per sempre impresso nella loro memoria. Oggi il ricordo di quell’evento i ragazzi l’hanno riposto in un cassetto. In attesa della ripresa delle lezioni dopo la pausa pranzo giocano a nascondino approfittando della libertà concessa loro dagli spazi verdi attorno all’edificio. Come ci racconta la direttrice Anna Guidicetti, nel corso dell’anno scolastico non si è voluto ricordare con mano troppo pesante quanto successo. Lo scorso luglio, per chi non era in vacanza, era stata organizzata una giornata speciale con l’intento di condividere quanto successo; poi nei mesi successivi sono state svolte alcune attività scolastiche, come ad esempio l’allestimento di un murale su carta lungo una decina di metri e raffigurante in particolare gli interventi di soccorso e i lavori di ripristino.
Come spesso accade in occasione di eventi traumatici capaci di andare oltre l’immaginazione, ognuno si ricorda dove si trovava e cosa stava facendo. Vale lo stesso per i ragazzi di Lostallo e frazioni dopo la notte dell’alluvione. «Mi trovavo da mia nonna in Calanca e sarei dovuto scendere il giorno seguente, invece sono rimasto bloccato per una settimana – ricorda Riccardo –. Quando mio papà ci ha avvisati che non saremmo potuti tornare a casa perché tutte le strade erano state chiuse, un po’ di apprensione l’ho avuta. Poi però ci ha assicurato che tutti stavano bene e questo mi ha tranquillizzato».
Numerose abitazioni sono state devastate dalla furia delle acque, ma c’è anche chi se l’è cavata per il rotto della cuffia: «Da noi è entrato del fango al piano terra e il giardino è stato ampiamente rovinato – racconta Ginevra che abita ad Ara –. Ma nulla a che vedere con Sorte. Mio papà è pompiere, per cui è stato immediatamente sollecitato per i soccorsi. Nei giorni seguenti lo abbiamo visto pochissimo, solo nei brevi momenti in cui tornava a casa per un paio d’ore di riposo prima di riprendere il lavoro. Quando finalmente abbiamo avuto il permesso di rientrare in casa per recuperare qualche oggetto, il primo pensiero è stato di ritrovare i miei animali. Il gatto era in casa, illeso, mentre le tartarughe erano state portate via dall’acqua. Dopo qualche giorno, spazzata parte del fango, le abbiamo ritrovate vive, una nel giardino di una vicina, l’altra poco distante».
Quello degli animali, in un territorio nel quale l’agricoltura rimane un’attività importante, è un tema che ha toccato più di un ragazzo. Se ne ricorda bene Emma, di Lostallo: «La stalla di mio papà, qui in campagna, è stata completamente allagata dal fango. E soprattutto gli animali erano tutti impauriti, tanto che per un paio di giorni si sono rifiutati di uscire per il timore di una nuova alluvione. Anche perché la stalla si trovava molto vicino al punto in cui è scesa la frana, ma per fortuna non l’ha toccata». Da Ara se n’è dovuto andare in fretta e furia Lorenzo: «Siamo stati evacuati, dapprima ci hanno portato alla centrale idroelettrica. In seguito è arrivata la Rega per trasportarci alla palestra di Lostallo, dalla quale, non essendo più sicuro nemmeno lì, siamo finiti nel rifugio della protezione civile di Roveredo, dove abbiamo trascorso la notte».
Runa, di Cabbiolo, non si trovava in valle: «Eravamo a Vira e ci siamo resi conto di quanto stava succedendo dai video e dalle foto inviati da zii e nonni. Dicevano che il fiume stava passando nel recinto dei conigli e avevo tanta paura per loro. Per fortuna si sono salvati tutti». Come Runa, molti ragazzi non erano a casa al momento dell’alluvione: alcuni erano già in vacanza, altri, ad esempio Emma e Cleo, di Cabbiolo, si trovavano a Bellinzona: «Eravamo scese con le nostre mamme per il concerto di Annalisa – afferma Cleo –. Un’amica di mia mamma ha iniziato a mandarci dei video, sollecitandoci a rientrare subito, in caso contrario non saremmo più riuscite a passare. In effetti, quando siamo poi arrivate a Cama, ci hanno bloccate. Di conseguenza, siamo dovute andare da mia nonna a Monteceneri, dove siamo rimaste tre o quattro giorni».
«Quando a Cama non ci hanno fatto passare – aggiunge Emma – la mamma ha chiamato mio papà, che si trovava ai Piani di Verdabbio, per capire se fosse riuscito a tornare a casa. Lui, quando ha capito quanto grave stesse diventando la situazione, è saltato in macchina ed è riuscito a rientrare dall’autostrada, appena prima di una colata di fango. Una volta a casa, ha trovato il cane che dormiva alla grande, non si era accorto di nulla. Noi siamo andate da mia nonna in Calanca, da dove siamo scese qualche giorno dopo. E abbiamo trovato un paese devastato: una cosa così non l’avevo mai vista».
«Io mi trovavo in Ticino – aggiunge Erin – all’allenamento di calcio. Sono rimasta bloccata fuori dalla valle e ho trascorso la notte da un amico di papà. Ero preoccupata, perché la mamma si trovava a casa da sola. Anche oggi, quando il tempo si mette al brutto temo che tutto possa ripetersi». Quello della paura di una nuova alluvione è un sentimento condiviso da quasi tutti i ragazzi: «Se il cielo diventa nero e preannuncia un temporale, un po’ mi preoccupo – conferma Gil –. A noi non è successo nulla, ma mi ricordo che la casa tremava da far paura. Qui a Lostallo abito in una zona più in alto rispetto al fondovalle e dalla finestra vedevo gli alberi trascinati via lungo la strada diventata un fiume». «Quando il temporale è forte, il mio pensiero va alle persone che conosco, perché temo possa succedere loro qualcosa di brutto – conferma Pedro, di Lostallo –. Mi ricordo che quella sera abbiamo sentito un rumore fortissimo e dalla finestra si poteva vedere un sacco di polvere che svolazzava. Quando ha smesso di piovere siamo scesi in strada e abbiamo visto il livello di devastazione, in particolare a Sorte, dove siamo potuti andare il giorno dopo».
A pochi chilometri da lì, a Cabbiolo, pure Timothy ha assistito al trasformarsi della strada in un torrente: «Ero sul divano quando mia mamma mi ha chiamato perché la cantonale era diventata un fiume. Per fortuna ce la siamo cavata senza danni, ma a mio nonno si è allagata la cantina, a mia zia è entrata l’acqua in casa ed è stata costretta a cambiare tutto il mobilio. Il giorno dopo siamo subito usciti per cercare di dare una mano a sistemare i danni, ad esempio spazzando e pulendo i tombini. Mi è rimasto nelle narici l’odore di fango che si percepiva ovunque».
Molte famiglie erano già partite per le vacanze, altre sono state costrette a posticiparle, se non a rinunciarvi. Come Slevin di Lostallo: «Mi trovavo a cena in un ristorante del paese, quando d’improvviso è saltata la luce. Mio papà, che è un operaio comunale, si è subito dovuto attivare per cercare di dare una mano. Nelle ore seguenti ci ha inviato foto e video delle strade che conducevano a casa nostra, tutte invase dall’acqua. Il giorno dopo abbiamo avuto un’idea più precisa di quanto era successo, con gli allagamenti, l’autostrada spazzata via, la frana di Sorte… Era l’ultimo giorno di scuola e avevamo già programmato le vacanze, alle quali abbiamo però dovuto rinunciare, visto che in quei giorni mio papà è stato tra coloro che hanno dovuto lavorare giorno e notte». Se Calise, di Cabbiolo, ha dovuto rimandare la partenza («Pioveva fortissimo e il nostro giardino era tutto allagato, non potevamo certo andarcene»), Emily aveva già lasciato Cabbiolo e la Mesolcina: «Ci siamo resi conto di cosa era successo grazie agli smartphone. Quando siamo rientrati, abbiamo trovato la nostra stalla invasa da fango e sassi, e un masso aveva raggiunto il recinto, distruggendolo».
Istantanee di un album fotografico che ragazzi e ragazze delle scuole serberanno per sempre nei loro cuori e nella mente. Nell’attesa che, quando toccherà a loro agire e prendere decisioni, questi ricordi si tramutino in azioni concrete per provare a limitare, se mai la furia della natura lo rendesse necessario, i disagi ai quali loro stessi sono stati sottoposti un anno fa.