Un 24enne afghano è stato trasferito nottetempo in una prigione amministrativa a Zurigo. Insorgono i suoi amici, R-esistiamo e Stop Dublin Croatie
Viveva da oltre due anni in Valle Verzasca, dove si è fatto benvolere. Ma il 3 aprile scorso, di notte, è stato prelevato dalla polizia e trasferito in una prigione amministrativa a Zurigo. Lo attende un rinvio forzato in un centro per richiedenti l’asilo in Croazia. È la storia di Alisina, un 24enne afghano. Il suo arresto ha sollevato l’indignazione dei suoi amici: a insorgere sono anche i collettivi R-esistiamo e Stop Dublin Croatie. “In valle quasi tutti conoscono Alisina – si legge in una nota inviata ai media dai due collettivi e dagli amici –. Numerose sono le persone che lo vedevano portare il suo contributo come cameriere/aiuto cuoco alla pensione dove alloggiava. Partecipava agli eventi organizzati dalle associazioni locali e si stava integrando velocemente. Senza aver avuto diritto a nessun corso di lingua, ha imparato l’italiano e due volte alla settimana si recava a Locarno a insegnarlo a suoi compatrioti. E la domenica era in campo a giocare a calcio. Durante la notte, seguiva a distanza dei corsi di bachelor in informatica online, impartiti da un’università americana. Il suo sogno era diventare informatico e magari trovare lavoro in un’azienda a Zurigo. Voleva rifarsi una vita e cercare un impiego, anche per aiutare sua madre e le sue quattro sorelle rimaste da sole in Afghanistan sotto il regime talebano, che nega ogni diritto alle donne. Un giovane pieno di risorse, volenteroso, pronto ad aiutare tutti”.
Le sue richieste di poter restare in Svizzera, dove è arrivato il 10 febbraio del 2023, si sono scontrate con le leggi e in ultima istanza anche con il Tribunale federale, che ha respinto la sua domanda. Giovedì 3 aprile scorso due poliziotti sono venuti a prelevarlo nottetempo in valle. L’hanno svegliato mentre dormiva e l’hanno portato a Zurigo, per rinchiuderlo in una prigione amministrativa, in attesa del rinvio forzato in Croazia: “Nella sua testa tutto è diventato buio e tetro. Alisina ha iniziato uno sciopero della fame, è terrorizzato all’idea di dover ritornare in Croazia, dove è stato più volte picchiato e maltrattato e ha vissuto in condizioni di vita pietose”, raccontano i suoi amici.
Da qualche anno, numerose associazioni denunciano il sistema d’asilo croato, definendolo “violento e razzista”. Nel comunicato stampa si legge: “È caratterizzato da umiliazioni, furti, aggressioni sessuali, insulti xenofobi, condizioni di vita e igieniche malsane e promiscue, da un sistema sanitario scadente e inadatto a occuparsi dei bisogni e delle necessità mediche e psicosociali delle persone con passato migratorio. La polizia croata arresta le persone, le imprigiona in qualche cella sotterranea, senza acqua né cibo ed effettua dei respingimenti illegali in Bosnia. Anche per chi chiede asilo, c’è il timore che la domanda non venga nemmeno considerata e si rischia di essere deportati in Bosnia o Turchia. I principi dello Stato di diritto non sono rispettati per le persone con passato migratorio e per loro la Croazia non è un luogo sicuro, come emerge anche dal rapporto dell’Organizzazione svizzera di aiuto ai rifugiati (Osar) del febbraio scorso. Le autorità svizzere, sia a livello nazionale sia cantonale, sono da tempo al corrente di queste gravissime violazioni dei diritti umani, ma continuano imperterrite a trattare le persone come oggetti, come pacchi da rinviare a destra e a manca. E così continuano a effettuare i rinvii secondo l’accordo di Dublino anche verso la Croazia a ogni costo, rendendosi complici di numerose violazioni dei diritti fondamentali di queste persone. Di fronte a questa spirale di violenza, noi siamo con Alisina e restiamo assieme a lui”. Ricordiamo che l’accordo di Dublino prevede che il richiedente dovrebbe restare nel primo Paese in cui è stato registrato; nel caso di Alisina si tratterebbe della Croazia.
Il 24enne di fronte a questa situazione appare disorientato. Al telefono racconta: «È vero che ero arrivato in Croazia, dove sono rimasto per due giorni, in una minuscola camera affollata, senza servizi igienici né cibo. Mi hanno preso le impronte e poi la polizia mi ha detto: ‘Adesso vai’. Sono venuto in Svizzera nella speranza di trovare un trattamento migliore: e così è stato. Ma ora vengo rispedito in Croazia e non so nemmeno quando. Due scritti che ho ricevuto danno due date differenti: il 15 aprile o fra 6 settimane. Nel frattempo, come protesta, ho deciso che da oggi inizio uno sciopero della fame. In Verzasca mi sono trovato bene, ho imparato l’italiano, che ho insegnato anche ad altri afghani. Pensavo che mi avrebbero concesso il permesso. Invece no e ora ho anche timori per la mia famiglia, che è composta solo di donne e che non ha possibilità di lavorare”.
In conclusione i due collettivi e gli amici del protagonista di questa vicenda chiedono la liberazione immediata di Alisina, l’applicazione della clausola di sovranità affinché la sua domanda d’asilo sia esaminata in Svizzera e lo stop a rinvii disumani in Croazia.