A processo un 68enne che si è ‘innamorato’ della giovane e per 11 anni l’avrebbe costretta ‘a soddisfare le sue esigenze sessuali’
«Aggrappandomi a mia figlia, l’ho portata in un mondo che non l’apparteneva. Ci amavamo e non sono stato in grado di capire che le stavo provocando un danno». Davanti alla Corte delle Assise criminali, un uomo di 68 anni ha riferito dei rapporti sessuali avuti con la figlia adottiva da quando lei aveva 16 anni. Tuttavia le accuse mosse nei suoi confronti dalla procuratrice pubblica Chiara Buzzi, sono ben più gravi: in tutto, emergono 198 congiunzioni carnali da quando la ragazza aveva 8-9 anni. Fatti che però l’uomo, con doppia cittadinanza svizzera e italiana, ha negato affermando che la figlia «probabilmente, anche a causa delle sue amiche, ha ingigantito il tutto». Oltre al reato di ripetuti abusi sessuali su fanciulli, il 68enne difeso da Matteo Genovini e Maricia Dazzi è accusato di ripetuta coazione sessuale, ripetuta violenza carnale e ripetuta pornografia.
Di fronte alla Corte presieduta da Amos Pagnamenta, l’uomo ha tenuto a sottolineare che «i rapporti sono iniziati quando mia moglie si è ammalata (in seguito deceduta, ndr). Mi sono appoggiato a mia figlia e abbiamo iniziato a intrecciare qualcosa di più profondo arrivando a innamorarci. Non avevo più voglia di vivere e in questa ragazza ho trovato un’ancora di salvezza. Non sono stato capace di comprendere che quanto stavo facendo poteva danneggiare mia figlia. Quello era un momento di massima confusione, lei era contenta e lo ero anche io». Riguardo all’inizio di questi rapporti carnali, il padre della giovane ha ribadito più volte di non essere in grado di stabilire il momento preciso, «ma sono sicuro che avesse già 16 anni». E proprio a questa affermazione Pagnamenta lo ha incalzato leggendogli alcuni messaggi osé che si erano inviati i due quando lei ne aveva ancora 15. Tuttavia, il 68enne ha precisato che «ci piaceva fantasticare, ma i rapporti sono iniziati dopo. Non so di preciso quando, so che faceva caldo, poteva essere stato in estate o in inverno, non mi ricordo». Per Pagnamenta, questi «non ricordo» ribaditi parecchie volte dall’uomo ogniqualvolta si parlava delle tempistiche, sono solo scuse: «Lei ha sempre fatto attenzione a cambiare la versione in base alle prove che trovava la polizia e non scendendo mai sotto i 16 anni di età. Sento le sue unghie grattare sul vetro». In effetti, stando alla denuncia della ragazza, i primi toccamenti nelle parti intime sarebbero avvenuti otto anni prima.
Per Chiara Buzzi a raccontare la verità è stata la giovane, ormai maggiorenne: «L’intento è cercare di rendere giustizia a queste vittime che rischiano di non essere credute. Quello della ragazza era diventato un segreto troppo grande da nascondere. Era diventata sempre più taciturna e aveva un malessere frutto di una tortura psicologica che è continuata fino al giorno della denuncia. Quando è stata accompagnata dalle amiche in polizia a raccontare tutto, il padre l’ha inseguita in auto e l’ha chiamata al telefono più volte per farla desistere». Riprendendo però da quei primi toccamenti che sarebbero avvenuti quando lei frequentava ancora la terza elementare, «sappiamo che dal 2012 ha sostituito la moglie con la figlia come compagna di vita. L’accusa non vuole dire che ha adottato una bambina per soddisfare le sue esigenze sessuali, tuttavia va ricordato che, pur di accelerare il dossier per la sua adozione, ha fatto finta che lei fosse la sorella di un altro figlio che avevano adottato». Inoltre, «la vittima ha dichiarato sin dall’inizio in maniera coerente e granitica che ha iniziato a subire gli abusi a otto anni». Per la procuratrice, la ragazza negli anni successivi «ha accettato pratiche sessuali estreme per dare piacere al padre in quanto veniva minacciata di essere nuovamente abbandonata». Per la procuratrice la colpa dell’uomo «è di una gravità inaudita. Ha compromesso lo sviluppo psichico della vittima solo per soddisfare le sue perversioni sessuali». Buzzi ha dunque chiesto che la Corte condanni l’uomo a una pena di almeno 10 anni di reclusione.
Per la patrocinatrice privata dalla giovane maggiorenne, Demetra Giovanettina, «il racconto del padre si può definire un racconto grottesco confrontato a quello della figlia». Infatti in corso d’inchiesta come oggi in aula, «il 68enne ha detto che i primi rapporti completi sono avvenuti, prima della morte della moglie, poi dopo la morte, in estate, poi in inverno… ne ha dette di ogni. È lui che mente. Non è mai riuscito a raccontare in maniera sensata che i rapporti non fossero iniziati prima dei 16 anni. Il padre ha addestrato la figlia a soddisfarlo e creando e mantenendo un rapporto di dipendenza tra i due e mettendola in una situazione senza uscita». Per queste ragioni Giovanettina ha chiesto anche un’indennità per torto morale di 30mila franchi.
I due avvocati della difesa non si sono opposti al pagamento della somma proposta da Giovanettina, ma hanno chiesto una pena di 24 mesi sospesi: «Sono tante le dichiarazioni incoerenti della vittima – ha sostenuto Genovini –. Lei dice che dai 12 ai 14 anni ci siano stati i primi rapporti completi. In un primo momento aveva sostenuto un rapporto ogni due mesi e in un altro interrogatorio parla di due episodi al mese. Una differenza notevole che dimostra la non credibilità della vittima. Non è possibile escludere che lei non abbia un disturbo patologico e tutto questo sia frutto di una elaborazione errata dei suoi ricordi. Questo processo indiziario deve tenere in conto del principio in dubio pro reo». In merito al reato di coazione, Dazzi ha invece sottolineato che «la giovane è una vittima, ma il nodo centrale è comprendere se lei non potesse evitare quanto è stato fatto». Questa vicenda, continua, «è quella di un adulto che si è ritrovato a innamorarsi di una adolescente dimenticandosi di esserne il padre e comportandosi come un fidanzatino geloso», nonostante i 47 anni di età di differenza. Alla fine del dibattimento il padre della vittima ha tenuto a precisare che «da parte mia c’è stato un grande affetto che chiaramente è stato un affetto deviato. Tuttavia, può succedere che la gente possa percepire la realtà in un altro modo e questa volta è capitato a me. Non l’ho mai costretta a fare sesso con me. Non sono un pedofilo». La sentenza è prevista domani pomeriggio.