Le ultime parole del 53enne avvocato italiano a processo a Lugano per il reato principale di amministrazione infedele aggravata. Sentenza il 4 giugno
«Sono stato tradito dalla persona che è stata forse più di un padre». Le ultime parole del 53enne avvocato italiano a processo – con un 57enne svizzero – hanno chiuso il processo per il reato principale di amministrazione infedele aggravata e istigazione in corso da lunedì davanti alla Corte delle Assise criminali. La Corte presieduta dal giudice Paolo Bordoli (a latere Chiara Ferroni e Renata Loss Campana) pronuncerà la sentenza mercoledì 4 giugno alle 13.45. «La modestia non fa parte del mio bagaglio – ha aggiunto l'imputato senza nascondere «mezze lacrime di rabbia e delusione» –. Sono un valente avvocato penalista, ma sono anche un cretino perché mi sono messo in una situazione che mi espone all'enorme rischio di essere sospeso o non poter più esercitare la professione. Questo mio zio lo sa e a cadenza periodica, l'ultima volta pochi giorni fa, mi segnala al consiglio di disciplina a Milano. Per questo una condanna sarebbe devastante». Il 53enne ha aggiunto che «tra me e lo zio non è mai servito il notaio: non ho bisogno di fare la firma falsa, gli bastava chiedere. Sono una persona onesta: il mio carico di responsabilità è stato traghettare fuori dallo schifo la mia famiglia di origine. E ho fallito».
La terza giornata di dibattimento è iniziata con l'arringa dell'avvocato Davide Ceroni, legale del nipote 53enne. Come fatto dall'avvocato Emanuele Stauffer per il 58enne, la richiesta presentata è stata di «integrale assoluzione». I fatti del procedimento, ha spiegato Ceroni «vanno valutati nell'ambito del contesto fiscale, dell'attività fiduciaria ma anche e soprattutto nel contesto della famiglia in cui si inseriscono». Ci sono «dinamiche che sarebbero davvero una trama per una serie Netflix e tutti gli ingredienti per vincere un Oscar. Un copione che dura da oltre 30 anni e che vede protagonisti uno zio che denuncia il nipote, una custode al centro degli intrighi e firme autentiche che diventano false». Il legale ha citato alcuni titoli di giornale dell'epoca e che parlano dello zio 92enne, descritto come un «avvocato espulso dall'ordine, esperto in evasione fiscale e nullatenente» e ancora come «un intelligente truffatore». Per la difesa «è evidente che lo zio sembra tornare un pochino sui suoi passi. Sa di aver donato, di aver confermato la donazione con degli scritti ma ci prova comunque. Del resto è un esperto». Per il legale «è chiaro» che lo zio «ha donato il patrimonio di cui parliamo oggi al nipote: lo dicono tutte le persone, in primis lo stesso 92enne. Lo confermano anche gli atti». E tutti «sapevano che la donazione era necessaria: un'infinità di problemi di varia natura gravava sullo zio: procedimenti penali e numerosi accertamenti fiscali». Il nipote «non avrebbe mai messo a rischio in questo modo quella che è la sua passione per soldi di cui non ha bisogno e che considera un patrimonio di famiglia». Nella sua attività, ha rimarcato il legale, il 53enne «si è rivolto ai consulenti che c'erano, tutti professionisti di fiducia dello zio». La procuratrice pubblica Raffaella Rigamonti ha chiesto per entrambi una condanna a 36 mesi di detenzione, senza opporsi a una sospensione parziale della pena.