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Trafficò tre chili di cocaina: condannato un ‘cavallino’ della droga

Un 28enne dovrà scontare quattro anni e mezzo di carcere per aver smerciato la droga, 1,2 chili spacciati, in appena due mesi tra Luganese e Mendrisiotto

Al momento dell’arresto a Lugano, l’imputato aveva quasi 1’900 grammi di sostanza stupefacente
(Ti-Press/Arichivio)
29 luglio 2025
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Altro cavallino della droga, altro processo. E il quantitativo è di quelli sostanziosi: oltre tre chilogrammi di cocaina in appena due mesi. Incaricato di spacciarli tra settembre e novembre dello scorso anno tra Luganese e Mendrisiotto è stato un 28enne, cittadino albanese, che la Corte delle Assise criminali di Lugano, presieduta dal giudice Paolo Bordoli, ha condannato a quattro anni e sei mesi interamente da espiare. «L’imputato non è il classico ‘cavallino’ alle prime armi ed era ben consapevole di quello che sarebbe venuto a fare in Svizzera, scegliendo di delinquere per poche migliaia di franchi». Di quei tre chili di cocaina, 1’250 grammi è riuscito a venderli e il guadagno destinato all’estero è stato di ‘soli’ 6mila franchi, almeno questo è quanto è stato possibile accertare durante il dibattimento. Sì, perché nell’atto d’accusa i proventi figuravano essere di oltre 76mila franchi. Cifra per la quale non sono stati però trovati dalla Corte riscontri oggettivi.

Durante il processo, la Corte ha ascoltato anche il correo che trasportava la droga per poi consegnarla al 28enne. L’uomo è stato sentito in qualità di persona informata sui fatti e sarà imputato in un altro procedimento. L’uomo, chiamato in un diretto confronto con il ‘cavallino’, ha ammesso di aver fatto in totale sette viaggi e che in due di questi l’imputato lo ha accompagnato con un’altra macchina, fungendo da ‘staffetta’ e di aver sempre consegnato la droga nelle sue mani. Dichiarazioni che il giudice Bordoli ha definito «chiare e lineari» e che hanno permesso di avere un quadro più preciso delle dinamiche.

‘Ha anteposto il proprio benessere economico alla salute degli acquirenti’

Per il procuratore pubblico Simone Barca si tratta dell’ennesimo caso, «facente riferimento al solito nome ormai noto alle nostre latitudini apparso in molte inchieste con il nomignolo di ‘zio’». Uno ‘zio’ che ha incaricato l’imputato di arrivare fino a Malpensa, dove sarebbe andato a prenderlo il correo, con il quale avrebbe poi fatto due spedizioni per importare la cocaina in Svizzera dall’Italia. «Un quantitativo – ha affermato il pp – spacciato nell’arco di appena due mesi: un’intensità criminale non indifferente. Riceveva la cocaina, la spacchettava, la pesava, la confeziona e in parte l’ha venduta. Ha agito senza alcun attenuante, solo e unicamente a scopo di lucro mettendo davanti il proprio benessere economico alla salute degli acquirenti». Un processo, come tanti, connesso a «una complessa e strutturata rete internazionale avente base in Albania che nel territorio ticinese ha sia un rigoglioso numero di persone disposte a fornire ospitalità agli spacciatori in cambio di qualche dose, sia di acquirenti di sostanze stupefacenti». Per lui, il procuratore pubblico ha chiesto una pena di sei anni più l’espulsione dalla Svizzera per otto anni con iscrizione al registro Schengen.

‘Colpiti soltanto gli anelli più deboli’

Di un altro parere invece la difesa, rappresentata dall’avvocato difensore Marco Morelli, che si è battuto per una significativa riduzione di pena e per il proscioglimento dal reato di riciclaggio di denaro in quanto ritenuto che non avesse alcuna idea di dove andassero a finire i proventi dello spaccio. «La difesa non intende sminuire la gravità dei fatti, occorre tuttavia considerare come nella maggior parte dei casi, l’attività di contrasto al traffico di stupefacenti riesca a colpire purtroppo soltanto gli anelli più deboli della catena: soggetti emarginati, che spesso agiscono spinti da situazioni di grave fragilità economica e personale piuttosto che da un’autonoma e consapevole adesione all’organizzazione criminale». Era questo il caso, secondo Morelli, dell’imputato per il quale ha chiesto che la pena non fosse superiore ai 36 mesi di cui 16 da espiare e un’espulsione al massimo fino a 5 anni dal territorio elvetico.

All’uomo che lo ospitava in cambio di qualche dose toccherà domani comparire alla sbarra.