Luganese

Furti e carte rubate: prima la cura, poi l’espulsione

La Corte delle Assise criminali di Lugano ha condannato il 55enne che ha danneggiato per oltre 120’000 franchi diverse persone e minacciato la moglie

C’è la possibilità di ricorrere
(Ti-Press)
11 novembre 2025
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Prima sarà obbligatoriamente curato e poi espulso. Questo il responso nei confronti del 55enne kosovaro, colpevole di aver causato danni economici per oltre 120’000 franchi – tra prelievi e acquisti con carte rubate e furti – a varie vittime e aver minacciato di morte la moglie. Eccezion fatta per alcuni punti marginali, la Corte delle Assise criminali di Lugano composta dai giudici Curzio Guscetti (presidente), Renata Loss Campana e Giovanna Canepa Meuli, ha dunque confermato l’atto d’accusa del procuratore pubblico Claudio Luraschi. Persino più alta la pena: ventisette mesi (invece dei ventuno chiesti dal pp) da sostituirsi con un trattamento terapeutico stazionario, al termine del quale l’espulsione per cinque anni dalla Svizzera.

Per la maggior parte reo confesso, il difensore dell’imputato, l’avvocato Loris Giudici, ha contestato principalmente due reati nei confronti di altrettante persone conosciute durante i frequenti ricoveri dell’uomo alla Clinica psichiatrica cantonale di Mendrisio. Un uomo, che secondo la difesa, gli avrebbe consensualmente concesso il libero utilizzo della sua carta di credito (per 14’000 franchi) in cambio di prestazioni sessuali e una donna che altrettanto generosamente gli avrebbe comprato un’auto e dato oltre 11’000 franchi in quattro giorni. Falsità per l’accusa, secondo la quale il 55enne avrebbe approfittato delle turbe psichiche dei due, che infatti l’hanno pure denunciato. Una tesi sposata dalla Corte, che ha sottolineato come le versioni dell’imputato siano state incoerenti e talvolta persino illogiche, al punto da minarne la credibilità.

‘Non ha dimostrato un’integrazione’

Il 55enne è stato dunque condannato per: abuso aggravato di un impianto per l’elaborazione di dati, furto aggravato, truffa aggravata, minaccia, ripetuta violazione di segreti privati, ripetuta violazione di domicilio, ripetuta guida senza autorizzazione, contravvenzione alla Legge federale sul trasporto di viaggiatori. Uniche attenuanti a suo favore, la lieve scemata imputabilità e la parziale collaborazione. Tra i punti di disaccordo fra accusa e difesa, la permanenza in un istituto terapeutico chiuso (come chiesto da Luraschi e condiviso dalla Corte) o aperto (per Giudici, seguendo la perizia condotta in carcere). La decisione è stata demandata in ogni all’organo competente: il Giudice dei provvedimenti coercitivi. E poi, soprattutto, la questione espulsione.

Il difensore si è battuto per evitarla, considerata la militanza in un partito kosovaro dell’assistito, che temeva ritorsioni da parte di un movimento politico rivale. E soprattutto, considerata la presenza di moglie e figlia in Svizzera e le sue fragili condizioni di salute. «È stato condannato per tre reati che configurano l’espulsione obbligatoria – ha tuttavia rimarcato Guscetti – e non si intravede il caso di rigore. Intanto, oggi il Kosovo è considerato uno Stato sicuro per la Svizzera, pertanto i suoi timori sono infondati. Inoltre ha trascorso in Svizzera lunghi periodi a carico dello Stato (ininterrottamente senza attività lucrativa dal 2010, ndr), non ha dimostrato un’effettiva integrazione nel tessuto socioeconomico e anzi se ne è approfittato. Dalla moglie si è separato e la figlia, della quale la madre ha ottenuto la custodia, potrà andare a trovarlo in Kosovo. È irrilevante che nel suo Paese d’origine non abbia le stesse condizioni di assistenza medica delle quali gode in Svizzera: la sua pericolosità pubblica è particolarmente elevata, in considerazione della sua propensione a delinquere».

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