Sottoposta al voto del Gran Consiglio la proposta Mps, la Gestione vede undici deputati sottoscrivere con riserva e tre non firmare
I consiglieri di Stato saranno chiamati a risarcire il Cantone nella vicenda del docente Spai di Mendrisio prima esonerato e sospeso con effetto immediato, poi licenziato il giugno dell'anno scorso? Il caso, tuttora davanti al Tribunale cantonale amministrativo (Tram) - si resta in attesa del verdetto -, e al centro anche di una querela depositata in Procura, approda oggi nell'aula del Gran consiglio. Toccherà, infatti, al parlamento decidere - con la maggioranza assoluta e a scrutinio segreto - se è stata violata la Legge sulla responsabilità civile degli enti pubblici e degli agenti pubblici.
Per i deputati Mps Matteo Pronzini e Giuseppe Sergi, che hanno avanzato la richiesta, non ci sono dubbi: violando il diritto di essere sentito del professore di elettrotecnica prima di prendere provvedimenti, il governo ha tenuto "un atteggiamento non solo inaccettabile, ma persecutorio e un abuso di potere che non può essere tutelato". Soprattutto alla luce della prima sentenza del Tram, il quale l'agosto successivo ha annullato la sospensione. Ce n'è quanto basta, insomma, per chiedere che i consiglieri risarciscano al Cantone 1'500 franchi (300 ciascuno). Una conclusione non condivisa, però, dalla Commissione gestione e finanze. O almeno dal rapporto - di cui sarà relatore Fabrizio Sirica (Ps) - che delinea una evidente spaccatura tra le forze politiche. Non solo tre gran consiglieri non hanno firmato il documento - tra loro il presidente cantonale del Centro Fiorenzo Dadò -, ma fatta astrazione dei deputati di Ps e Verdi, gli altri 11 parlamentari - inclusi i responsabili di Plr e Lega, Alessandro Speziali e Daniele Piccaluga - hanno sottoscritto con riserva. Il che prelude a un chiaro scollamento dall'area progressista e a un voto quanto meno dibattuto.
Il rapporto al fine di motivare le sue conclusioni ha fatto leva sul parere di un consulente giuridico, sottolineando "con vigore e chiara volontà politica l'inconsistenza della strumentale richiesta avanzata dall’atto parlamentare". In buona sostanza, si rimarca, "la semplice violazione di una norma procedurale - il diritto di essere sentito, ndr -, anche se rilevante, non è di per sé sufficiente per configurare una colpa grave, né tantomeno un comportamento doloso" o ancora "un'illiceità qualificata". Elementi irrinunciabili, questi ultimi, per soddisfare, come richiamato dal perito, le condizioni di legge e invocare di conseguenza una responsabilità personale. Parola adesso al Gran consiglio.