Un 37enne è stato riconosciuto colpevole di tentato omicidio per dolo eventuale commesso a Balerna. Pena sospesa a favore di una misura stazionaria
Un’amicizia ventennale, una battuta di troppo e una coltellata al braccio che ha portato a una condanna a 3 anni e 6 mesi per tentato omicidio commesso con dolo eventuale. Pena che la corte delle Assise criminali ha sospeso a beneficio di un trattamento stazionario in una struttura chiusa per la cura delle dipendenze. Davanti al giudice Amos Pagnamenta è comparso un 37enne svizzero accusato del reato principale di tentato omicidio intenzionale. I fatti si sono svolti nell’agosto scorso a Balerna, nell’abitazione dell’imputato. Nei suoi confronti la procuratrice pubblica Chiara Buzzi ha proposto una condanna a 3 anni e 6 mesi per tentato omicidio per dolo eventuale da sospendere a favore della misura stazionaria; l’avvocato Olivier Ferrari una pena contenuta nei 30 mesi, sempre sospesa a favore delle cure, per lesioni gravi o lesioni semplici colpose. La perizia psichiatrica ha riconosciuto all'imputato una scemata imputabilità di grado medio.
«Non ho mai avuto intenzione di fargli del male o men che meno di ucciderlo», sono state le parole del 37enne. Come indicato nell’atto d’accusa, tra i due amici («lo siamo sempre stati») c’è stato uno scambio di messaggi relativo a una possibile compravendita di sostanza stupefacente, a cui sono seguiti ulteriori messaggi con allusioni alla tragica morte del fratello della vittima. «Insulti poco piacevoli e battute che facevano riferimento in modo velato alla morte del fratello – ha ammesso l’uomo –. Non me lo aspettavo: è arrivato da me e ha iniziato a colpirmi. Volevo solo che uscisse da casa mia». La vittima, descrive sempre l’atto d’accusa, ha raggiunto l’abitazione del 37enne, è entrata (la porta non era chiusa a chiave), lo ha raggiunto in salotto e colpito con quattro sberle. Da questo momento le versioni sono contrastanti. «Ho reagito alzandomi e cercando buttarlo fuori di casa – ha detto l’imputato –. Mi sono come ripreso da un blackout quando ho visto il coltello nel suo braccio. Non ricordo di averlo preso da qualche parte: probabilmente lo avevo già in mano perché stavo mangiando un salamino». Alla visione del sangue «ho estratto la lama, l’ho fatto sdraiare, mi sono tolto la cintura per mettergliela al braccio e, con il suo telefono, ho chiamato i soccorsi». La lama fissa di 16 centimetri del coltello ha provocato alla vittima “un'importante ferita al braccio in fossa cubitale mediata e in sede ulnare a destra”. Una ferita che, come indicato dal referto medico citato dall'atto d'accusa, “se non correttamente controllata, può portare a rischi potenzialmente gravi per la vita (in caso di emorragia massiva) e al decesso (anche nell'arco di decine di minuti se non trattata)”. Per la vittima, invece, l'imputato ha afferrato il coltello dal tavolino del salotto e ha tentato ripetutamente di colpirlo con la punta, muovendolo avanti e indietro in direzione della zona del busto, fino a quando l'amico ha tentato di fermarlo e togliergli l'arma dalle mani.
Per stabilire la dinamica dell'accaduto, la Corte ha effettuato «un esame di credibilità» delle due versioni, arrivando alla conclusione che quella della vittima è stata «costante e lineare in tutti i verbali». Quanto indicato dall'imputato è per contro stato ritenuto «non credibile, in quanto lui stesso ha ammesso di essere riemerso da un blackout dopo aver visto il coltello e non può quindi ricordare, se non per deduzione, quello che ha fatto». Per il giudice la versione del 37enne «non regge anche all'esame logico dei fatti: impugnando il coltello nella mano destra, spingendo l'altra persona avrebbe dovuto ferirlo alla spalla sinistra. Movimenti e affondi con un coltello di punta sono suscettibili di lesioni mortali: è stato solo un caso che la coltellata sia arrivata al braccio e non in una zona con organi vitali». Per la Corte il suo comportamento dopo i fatti «rappresenta un sincero pentimento», ha concluso Pagnamenta.
Citando le parole dell'imputato, la procuratrice pubblica Chiara Buzzi ha descritto il rapporto tra i due amici come «tossico: lui è solo come me e ci si sopporta e sostiene in un mondo di dipendenze». Per l'accusa durante i fatti «è stato un caso che la vittima abbia alzato il braccio per cercare di afferrare il coltello». L'arma bianca è stata «usata in fase dinamica, ha cercato di colpire alla cieca, accettando l'eventualità di raggiungere una zona delicata del corpo». Per la difesa l'azione col coltello «è stata un tentativo di farlo arretrare, minacciandolo, è vero, con un'arma». Solo quando l'amico si è «trovato con le spalle al muro – ha aggiunto l'avvocato Ferrari – ha deciso di avvicinarsi per togliergli il coltello dalle mani». Per la difesa si è quindi trattato di «un reato colposo».