In un comunicato la realtà queer ticinese ‘Dolls on the Block’ denuncia le discriminazioni subite da parte dei gestori di spazi
“Abbiamo affrontato di tutto: dai club che ci hanno derubate, fino a episodi di ostilità, omofobia e transfobia”. In Ticino, dire che non è facile organizzare eventi per la comunità queer, è quasi un eufemismo. La denuncia arriva dalla comunità queer ticinese ‘Dolls on the Block’, che attraverso un comunicato diffuso sui social, esprime la propria frustrazione.
“Ci tenevamo a rendere tutte partecipi – si legge nel testo –, nella speranza di ricevere supporto e sensibilizzare su quanto sia scoraggiante, per le persone queer giovani, dover lottare semplicemente per ottenere spazi di aggregazione. Spazi che in qualsiasi altra città svizzera esistono e resistono da anni. Nella speranza di riuscire a trovare un luogo per giugno, vi chiediamo supporto e pazienza mentre facciamo tutto il possibile per riuscirci, sebbene al momento ci troviamo profondamente demoralizzate”.
Difficoltà tali, che potrebbero spingere la comunità a doversi spostare fuori dal Ticino, questo perché “non vogliamo party privati o compromettere la natura del nostro progetto per non scomodare. Vogliamo semplicemente ritrovarci, supportarci ed esprimerci come qualsiasi altra persona. Vogliamo uno spazio che ci permetta di esistere”.
“Abbiamo affrontato di tutto – prosegue il comunicato –: dai club che ci hanno derubate, fino a episodi di ostilità, omofobia e transfobia. Riuscire a organizzare un evento che rispecchi il livello di qualità e sicurezza che vogliamo offrire ha spesso avuto un costo altissimo per la salute mentale e fisica di chi ci lavora dietro. L’unico evento che siamo riuscite a realizzare esattamente come lo avevamo immaginato è stato quello di febbraio”.
“A oggi, ci sono stati persino negati spazi normalmente accessibili ad altri eventi già presenti in Ticino. La motivazione che ci viene ripetuta è sempre la stessa: ospitare il vostro evento è un rischio per il nostro business, potrebbe rovinare la nostra immagine e farci perdere clientela in quanto la vostra identità è troppo forte (?). Una risposta che, oltre a essere profondamente discriminatoria, rende evidente quanto lavoro ci sia ancora da fare per garantire spazio, dignità e visibilità alle realtà come la nostra”.