Due anni su quattro, è tempo di bilanci. Tante le sfide e gli scossoni che hanno toccato ogni Dipartimento. Cosa è stato fatto e cosa resta da fare?
Metà legislatura, tra bilanci e prospettive. Cosa ha portato a casa il Consiglio di Stato uscito dalle urne del 2 aprile 2023 e cosa no. E che cosa resta da fare. Dipartimento per Dipartimento, ecco alcuni dossier. Senza dimenticare gli attuali difficili rapporti fra Esecutivo e Legislativo. Se al primo alcuni osservatori della politica cantonale rimproverano l’assenza di una visione d’insieme (un governo che non governerebbe, che si limiterebbe ad amministrare), il secondo, il Gran Consiglio, sembra sempre di più una cacofonia di tenori stonati, come nel 1995 l’allora consigliere di Stato Alex Pedrazzini descrisse il clima in governo.
Piaccia o no – al centrodestra molto, alla sinistra proprio per niente – questi primi due anni di legislatura hanno sorriso parecchio al direttore del Dipartimento finanze ed economia Christian Vitta e alle sue politiche. Il 9 giugno 2024 ha portato a casa, in votazione popolare, una doppietta non da poco: la riforma fiscale, con al suo interno l’abbassamento dell’aliquota massima a beneficio dei più abbienti che tanto ha fatto arrabbiare la sinistra, e sebbene di stretta misura le misure di compensazione per le rendite dei dipendenti pubblici per ovviare all’abbassamento del tasso di conversione. Altri sorrisi, per Vitta, arrivano dallo sprint dato all’innovazione e alle politiche regionali con un credito da 60 milioni di franchi passato in carrozza in Gran Consiglio. Il tutto, però, in un contesto critico. Sebbene l’impegno del governo ci sia stato, è semmai il parlamento ad aver bocciato molte proposte di tagli per ridurre il deficit, i disavanzi a Consuntivo hanno continuato a sommarsi e la situazione delle finanze cantonali è tutto tranne che rosea. Nel 2025 andrà meglio grazie agli utili della Bns, ma anche se si finisse in utile sarebbe una goccia in confronto alle perdite registrate gli anni precedenti.
L’invito costante alle forze politiche di trovare un accordo può avere senso, ma se poi misure importanti come lo stop al meccanismo della progressione a freddo vengono nascoste in messaggi governativi estivi furbescamente non finisce bene. E infatti non è finita bene.
A mancare, sentendo qua e là voci e lamentele – anche da parte del mondo dell’economia – è una certa audacia in fatto di politica industriale. Si fatica, sia nell’economia sia in generale, a capire se si possa davvero smettere di navigare a vista e immaginare seriamente il Ticino dei prossimi anni. Il partito di Vitta, il Plr, ha cominciato a pungolarlo più spesso. Segno dei tempi.
Quello delle Istituzioni, diretto dal 2011 dal leghista Norman Gobbi, è il Dipartimento più rognoso da gestire. Vuoi perché ha a che fare con organi politici, cioè i Comuni – molto attenti alla loro autonomia – sui quali esercita la vigilanza per il tramite della Sezione enti locali, e dei quali stabilisce le regole di funzionamento, prospettando modifiche mirate o di ampio respiro della Legge organica comunale. Vuoi perché ha a che fare con un altro potere dello Stato, cioè quello giudiziario, con la magistratura che chiede da tempo potenziamenti (risorse umane) e una logistica adeguata. Vuoi perché da questo Dipartimento dipende la Polizia cantonale, chiamata a contrastare la grande e piccola criminalità e quindi a garantire la sicurezza pubblica, tema particolarmente sensibile in un cantone di frontiera. In questo contesto, reso ulteriormente complicato dal precario stato di salute delle casse cantonali e dai vincoli derivanti dagli strumenti legislativi di disciplina finanziaria che governo, parlamento e popolo hanno introdotto negli anni, ci sono riforme finite nel cassetto.
O che ancora non si sono concretizzate. Come ‘Polizia ticinese’, che mira a una migliore collaborazione fra la Cantonale e le polizie comunali. Come l’importante riorganizzazione del settore tutele e curatele con la prevista introduzione delle Preture di protezione. Il passaggio dall’attuale modello amministrativo, incentrato sulle Autorità regionali di protezione (Arp), facenti capo ai Comuni, alla ‘cantonalizzazione’ del sistema, e dunque a quello giudiziario, incentrato sulle citate Preture, è stato approvato dai cittadini nella votazione del 2022. La sua implementazione appare però tutt’altro che scontata: di certo non avverrà in tempi brevi. Si è in attesa di segnali concreti dalla commissione parlamentare ‘Giustizia e diritti’, dove giace il progetto, e di proposte dal Dipartimento istituzioni (la riforma coinvolge anche il Dipartimento sanità e socialità del centrista De Rosa) per uscire dall’impasse. Manco a dirlo, il macigno da rimuovere è di natura finanziaria, con i Comuni restii, o non disposti, a cofinanziare un’organizzazione ‘cantonalizzata’.
Rimanendo in ambito giudiziario, ma con riferimento alle magistrature esistenti, ‘Giustizia 2018’ – l’ambizioso progetto promosso a suo tempo da Gobbi e collaboratori per rendere “maggiormente efficace ed efficiente” il potere giudiziario, rivedendone determinati aspetti organizzativi –, non è stato realizzato alla scadenza indicata. Il 2018 è passato da un pezzo. Tuttavia alcune indicazioni formulate dagli allora gruppi di lavoro sono state fatte proprie dalla commissione ‘Giustizia e diritti’ nella risoluzione, accolta dal Gran Consiglio l’autunno scorso, contenente una serie di proposte di riforme puntuali “in favore della giustizia ticinese”. Ma anche qui due sono le incognite: i tempi e i costi. L’auspicio pertanto è che commissione ‘Giustizia e diritti’/Gran Consiglio e Dipartimento istituzioni/Consiglio di Stato dialoghino e remino nella stessa direzione. Presupposti imprescindibili per affrontare la sfida della digitalizzazione e quella logistica, dopo il no al lussuoso stabile Efg di Lugano. Si aspetta intanto il messaggio governativo per il potenziamento (un magistrato in più) per la Pretura penale.
Un Consiglio di Stato “fotocopia, più Marina Carobbio”. Era stata definita anche così la nuova composizione del governo dopo le scorse elezioni cantonali. La direttrice del Dipartimento educazione, cultura e sport è dunque l’ultima arrivata. Questo non l’ha però risparmiata da dossier caldi e colpi di scena, alcuni dei quali hanno addirittura fatto tremare in particolare il mondo della scuola. Senza dimenticare che l’esperienza di Carobbio in governo è iniziata dopo mesi di discussioni in campagna elettorale sull’opportunità di mantenere vacante il suo seggio a Berna tra l’elezione in Consiglio di Stato di aprile e le successive elezioni federali di ottobre.
Una volta insediatasi, la ministra socialista ha optato e insistito su un approccio basato sull’ascolto attivo. Un’impostazione, come ammesso in parlamento a fine marzo dalla stessa Carobbio, “non infallibile e che richiede tempo”. Tema dell’intervento in Gran Consiglio? Uno degli scossoni di cui sopra: il caso dei tredici aspiranti docenti di italiano nel medio superiore, in abilitazione al Dfa, ma senza prospettive professionali per via di una stima inesatta delle ore a disposizione. A ciò si aggiunge la recente decisione del governo di tirare dritto, nonostante l’annullamento del Tribunale amministrativo cantonale, con le nomine contestatissime di Mattia Pini e Désirée Mallè alla testa della Sezione dell’insegnamento medio superiore del Decs. Episodi che hanno spinto Carobbio a “procedere con un’analisi di alcuni aspetti strutturali e di alcuni processi interni al Dipartimento per migliorare efficacia, qualità e trasparenza”. Si attendono gli esiti di questa analisi interna, anche perché, come dichiarato sempre in aula dalla consigliera di Stato, “qualora dovesse evidenziare responsabilità, verranno affrontate con la dovuta serietà”.
Ma queste sono solo le ultime vicende in ordine di tempo. Tra i tira e molla più discussi, quello sulla nuova Legge sulla scuola dell’obbligo. Volto a dotare il Canton Ticino di un solo testo legislativo per l’intera formazione obbligatoria, il messaggio governativo era stato approvato il 29 marzo 2023, soli quattro giorni prima delle elezioni cantonali e dunque del cambio di legislatura. Oltre alle tempistiche, a essere finite nel mirino anche le modalità di coinvolgimento degli attori toccati. Questo aveva infine spinto il governo a ritirare il messaggio nel marzo 2024, dopo che la consultazione avviata nei mesi precedenti aveva evidenziato una serie di criticità. Una proposta aggiornata è quindi in corso d’opera.
Altra giravolta, il posticipo dell’anticipo del tedesco in prima media. Nonostante l’avallo della proposta da parte del Gran Consiglio nel 2023, a dicembre il governo ha licenziato un messaggio, poi approvato in parlamento lo scorso gennaio, per chiedere di rimandare di un anno l’implementazione del tedesco, così da poter completare la formazione dei docenti necessari. Un altro errore di stima? Comunque sia sarà musica dell’anno scolastico 2026/2027.
Non da ultimo, la sperimentazione per il superamento dei livelli A e B che, avviata nel settembre 2023 in sei sedi di scuola media, terminerà a giugno. Entro maggio il gruppo di accompagnamento è tenuto a presentare al Consiglio di Stato una valutazione su quanto fatto. Vedremo cosa emergerà.
C’è poco da girarci intorno, il macigno sul tavolo del Dipartimento sanità e socialità è l’esplosione dei premi di cassa malati. Un aumento esponenziale e incontrollato che proprio nei primi due anni di questa legislatura ha definitivamente superato la soglia di sopportazione – con botte annuali di +10% – per buona parte della popolazione ticinese. Ora, è importante mettere le cose in chiaro: gran parte delle competenze sul tema costi della salute e casse malati sono federali. È solo a Berna che si possono prendere le grandi decisioni per dare cambiamenti significativi all’attuale sistema Lamal, che ha fallito. La politica federale ha però i suoi tempi e oltre Gottardo l’esigenza di intervenire (complici premi più bassi e salari più alti) è meno pressante che in Ticino. Ma cosa ha fatto e cosa sta facendo il Dss nel frattempo? Secondo il direttore del Dipartimento Raffaele De Rosa “tutto quello che è possibile nei ristretti margini di manovra che la legge offre ai Cantoni”.
Esempio concreto: l’introduzione in Ticino di un tetto al numero di medici nelle specializzazioni ambulatoriali dove la presenza di specialisti sul territorio è ritenuta superiore al fabbisogno. Uno strumento relativamente nuovo che Berna ha concesso ai Cantoni e che entrerà definitivamente in azione, dopo aver superato lo scoglio di alcuni ricorsi al Tribunale federale, a luglio con l’avvio del ‘modello di regressione’. Gli effetti di questa misura sono però da prevedere sul lungo periodo.
Un altro intervento, anche questo adottato appena la Confederazione ne ha offerto la possibilità, è la moratoria al numero di infermieri e associazioni private attive nelle cure a domicilio. Un ‘blocco’ al numero di questi operatori che era esploso negli ultimi anni. Il Consiglio di Stato ha anche fissato al ribasso rispetto alle richieste dell’Ente ospedaliero cantonale (che ha pure fatto ricorso, perdendo) il valore del punto delle prestazioni mediche ambulatoriali Tarmed per l’Eoc. In parole semplici: il valore che si applica alla struttura tariffale e che determina quindi il prezzo delle singole prestazioni.
Insomma, il Dss ‘nel suo piccolo’ ha agito per cercare di limitare gli aumenti di spesa. Non abbastanza secondo alcuni, con le critiche soprattutto alla nuova pianificazione ospedaliera definita “di transizione” anche dagli stessi che l’hanno sostenuta. Per ordine dei medici e casse malati “è mancato il coraggio di prendere decisioni forti e magari anche impopolari”. Il riferimento è alla possibile chiusura di strutture, specialmente quelle periferiche.
Il grande sgambetto al direttore del Dipartimento del territorio Claudio Zali in questa legislatura è arrivato dall’Udc che, raccogliendo 16mila firme valide tramite l’iniziativa ‘Sì all’abolizione della tassa di collegamento’, ha prima messo in forse quanto votato dal popolo nel 2016, riuscendo infine ad abrogare per direttissima in parlamento il balzello sui posteggi. Tassa di collegamento difesa negli anni a spada tratta da Zali e che, in aula, aveva definito il suo annullamento, “uno schiaffo alla volontà popolare, un gesto di arroganza dei suoi sedicenti rappresentanti, una vergogna per la democrazia”.
Non solo la tassa di collegamento, ma anche la Rete tram-treno del Luganese. Tra i più importanti obiettivi di legislatura per il consigliere di Stato leghista, Zali è stato confrontato con un’esplosione dei costi per la realizzazione dell’opera. Il rincaro rispetto ai 490 milioni calcolati lo scorso autunno con lo stesso indice di riferimento è di circa 269 milioni di franchi, per un costo complessivo di 759 milioni.