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La Chiesa sospesa, l’attesa per il nuovo Papa e quella per il Vescovo ticinese

La Chiesa non prenderà scelte importanti come quella del vescovo di Lugano. Ne parliamo con il professore della Facoltà di Teologia all'Usi Markus Krienke

In sintesi:
  • ‘All'interno del Conclave ci sono sensibilità diverse’
  • ‘A molti governi farebbe comodo un Pontefice allineato alle proprie politiche’
C’è da portare pazienza
(Ti-Press)
23 aprile 2025
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La morte di papa Francesco apre un periodo di incertezza per la Chiesa cattolica, anche quella ticinese. A Roma, dopo il funerale del Santo Padre in programma sabato a San Pietro, il Conclave sarà chiamato a eleggere il suo successore. Una decisione che avrà ripercussioni anche in Ticino dove la Diocesi di Lugano aspetta ormai dall’ottobre del 2022 – quando papa Francesco ha nominato il prelato romando Alain de Raemy amministratore apostolico ‘pro tempore’ – il suo nuovo vescovo. Di questi temi, come anche dell’eredità lasciata da Bergoglio e della sua linea sul tema degli abusi nella Chiesa, abbiamo parlato con il professore di Filosofia moderna ed etica sociale alla Facoltà di Teologia di Lugano Markus Krienke che proprio in questi giorni si trova in Argentina.

Professor Krienke, come è stato ricordato papa Francesco in patria?

Come l’avvocato dei poveri. L’arcivescovo di Buenos Aires ha parlato addirittura di “Padre di tutta l’umanità”. Molti argentini si riconoscono in papa Francesco, un Papa che in patria si è sempre speso per i poveri e le classi meno abbienti. Non va dimenticato, l’Argentina negli ultimi anni ha vissuto una forte crisi economica che ha spinto molte persone nella povertà. L’aiuto a chi fa fatica è stato quindi un tema centrale del dibattito pubblico e questo ha rafforzato l’immagine di Bergoglio. Insomma, un lutto nazionale ma pure personale vissuto intimamente dalle persone, anche quelle che politicamente si sentivano distanti da Bergoglio. Questa differenza politica semmai emergerà nel ricordo che gli argentini avranno del Santo Padre. Francesco non ha però rappresentato solo l’Argentina, ma tutto il sud globale che per la prima volta si è visto eletto ai piani più alti della Chiesa cattolica.

Tornando a Roma, il Conclave sarà presto chiamato a eleggere il nuovo Papa. Al di là delle regole e dei protocolli, quali sono gli elementi che orientano la scelta su un cardinale piuttosto che su un altro?

All’interno del collegio cardinalizio sono rappresentate diverse aree geografiche, ma pure diverse sensibilità politiche. Il punto sarà quindi capire quali sensibilità rispetto a determinati temi centrali che riguardano la Chiesa avranno il sopravvento e quali candidati ne beneficeranno.

Alcuni esempi?

Ci sono cardinali che vorrebbero seguire il solco tracciato da papa Francesco con le sue riforme e i suoi cambiamenti (ad esempio per avere maggiore trasparenza nelle finanze e dare più importanza alle figure femminili, ndr). Per altri, invece, questi cambiamenti sono stati troppo veloci e occorre mettere un freno alle dinamiche innescate da Bergoglio. C’è poi chi spingerà per avere un Santo Padre pacifista ma più diplomatico e meno impulsivo nelle sue dichiarazioni pubbliche. C’è poi un aspetto che non emerge molto in questi giorni: il tema degli abusi nella Chiesa e il loro insabbiamento. I cardinali saranno attenti a nominare una figura che non è toccata minimamente da questa problematica. Ci sono poi gesti fatti da papa Bergoglio che hanno avuto un’eco molto positiva e dai quali difficilmente si potrà tornare indietro senza avere un contraccolpo negativo d’immagine. Mi riferisco al Santo Padre che conduce una vita semplice, magari anche lontano dagli appartamenti lussuosi di San Pietro.

E queste sono pressioni interne al Conclave. Dall’esterno invece?

Molti cercheranno di esercitare pressione. Trump, ad esempio, potrebbe voler spingere la scelta in una direzione più vicina al suo pensiero. Non va dimenticato che Bergoglio ha criticato duramente le sue politiche e la voce di un Papa viene senza dubbio ascoltata dai cattolici americani. Questo vale anche per altre nazioni. Un pontefice con un pensiero allineato alla propria politica è sicuramente un vantaggio per numerosi governi nazionali. Un influsso diretto è però difficile da esercitare, i cardinali sono infatti totalmente isolati.

La morte del Santo Padre quanto rallenta le decisioni della Chiesa? In Ticino, da diverso tempo, siamo in attesa della decisione sulla nomina del nuovo vescovo...

I processi decisionali all’interno della Curia sono assolutamente fermi. I cardinali esercitano il ruolo di un governo ridotto al minimo indispensabile. Eventuali decisioni hanno una validità fino all’insediamento del nuovo Papa, quindi scelte importanti non ne vengono prese. Anche la nomina del nuovo vescovo di Lugano certamente resta ferma. I motivi di questo rallentamento non li conosco. Una possibilità, secondo me la più probabile, è che si attenda che l’amministratore apostolico Alain de Raemy ottenga la cittadinanza ticinese necessaria per essere eletto vescovo di Lugano (le regole al momento impongono infatti che il vescovo sia scelto “tra i sacerdoti cittadini ticinesi”, ndr). A favore di de Raemy c’è anche il fatto che dal punto di vista del Vaticano, a differenza di qualche voce critica in Ticino, la Diocesi di Lugano funziona bene. Lo stesso de Reamy ha inoltre preso decisioni che mostrano una lungimiranza che va ben oltre l’idea di una conduzione provvisoria.

Un tema che ha fatto molto discutere in Svizzera e in Ticino è quello degli abusi sessuali all’interno della Chiesa, grazie anche a uno studio dell’Università di Zurigo che ha documentato oltre mille casi a livello nazionale dal 1950 a oggi. Papa Francesco pubblicamente ha sollevato più volte il tema, appelli che si sono tradotti anche in fatti?

Giustamente in questo momento si parla degli aspetti più positivi del pontificato di papa Francesco. È però anche legittimo segnalare i momenti dove ha deluso le aspettative. Papa Francesco si è attivato nel 2018 sul tema degli abusi nella Chiesa, nei primi cinque anni del suo pontificato non ha quindi seguito la linea della ‘tolleranza zero’ annunciata dal suo predecessore Ratzinger. Le accuse formulate nei suoi confronti in quel periodo di aver lasciato cadere il tema e di aver rinunciato al pugno duro sono quindi anche giustificate. Pure a livello di dichiarazioni pubbliche il tema degli abusi è stato meno presente di altri, come ad esempio quello della pace. Dal 2019 ha poi tolto il segreto pontificio e responsabilizzato le Diocesi. Ha inoltre reso possibili processi interni a vescovi e cardinali, e ne ha destituiti anche alcuni accusati di aver coperto abusi. Però una linea chiara, dura e costante negli anni è mancata. Nella Chiesa, ancora oggi, ci sono delle strutture che avvantaggiano chi abusa rendendo possibile il non essere scoperti.

In che modo?

Nella Chiesa non esiste la divisione dei poteri. Un vescovo, all’interno di una Diocesi può fa ricadere su di sé sia la dimensione esecutiva, ovvero la competenza su quale prete mettere dove, sia quella disciplinare. Questo apre la porta a possibili insabbiamenti e non è ancora stata trovata una soluzione efficace. Va però detto che qualcosa è cambiato, c’è una maggiore consapevolezza tra i vescovi che questi casi vanno denunciati alla giustizia civile. C’è però sempre il rischio che, se un vescovo decide di non denunciare, sarà difficile far emergere il caso. Papa Francesco ha cercato di lavorare maggiormente sull’educazione e la mentalità nella formazione dei giovani preti.