Dalla Camera dell'agricoltura risoluzioni su lupo e filiera del latte. Vitta sui grandi predatori: abbiamo sottoposto a Berna una proposta pragmatica
Un settore economico, quello primario, «messo sotto pressione da diversi fattori». Fra questi i dazi, o meglio la politica di Trump in materia di tariffe doganali. «Per la Svizzera ci potrebbero essere delle conseguenze, perlomeno indirette: se i paesi intorno a noi non potranno di fatto più esportare i loro prodotti agroalimentari negli Stati Uniti, o ne esporteranno di meno, allora abbasseranno i prezzi cercando di muoversi meglio sul mercato europeo», ha avvertito il presidente dell’Unione contadini ticinesi e della Camera cantonale dell’agricoltura Omar Pedrini. Ma in Ticino il settore è sotto pressione anche e soprattutto per fattori indigeni. Come il lupo, che «non cessa di essere fonte di preoccupazione». Come la questione ancora aperta della filiera del latte. Runita oggi ad Ambrì, la 80ma Camera dell’agricoltura ha quindi adottato, all’unanimità, tre risoluzioni.
Tre articolate risoluzioni indirizzate al Consiglio di Stato (una per invitarlo a “rendere più attrattivo il mandato di veterinario di condotta”). Capitolo latte: per il mondo agricolo serve “una visione strategica chiara” per una filiera ticinese “sana e forte”. Il ramo lattiero cantonale, sottolinea la Camera, “è confrontato da anni con difficoltà strutturali derivanti dalla conformazione geografica del nostro territorio con aziende ubicate in ogni angolo del Ticino e da condizioni di mercato avverse, che portano prezzi ai produttori altamente deficitari”. La chiusura della Lati nel 2024 “ha portato a un netto peggioramento di queste difficoltà, con la necessità di trasportare gran parte del latte oltre Cantone con costi esorbitanti a carico degli agricoltori e della collettività”. Costi che “incidono pesantemente su ricavi, per le famiglie contadine, già inferiori alla media settoriale svizzera”. Al Cantone si chiede di fare “tutto il possibile” per dare “un sostegno concreto ai costi di trasporto del latte ticinese”, come richiesto anche dal Gran Consiglio “accettando lo specifico emendamento alla legge sull’agricoltura”. Non solo: per la Camera “è imperativo che il finanziamento avvenga con un nuovo credito, non travasando però soldi da altre voci contabili già destinate all’agricoltura”. Nella risoluzione si invita inoltre “tutta la filiera lattiero-casearia” ad attivarsi in tempi brevi per istituire “un’Interprofessione del latte ticinese”.
Capitolo lupo. La Camera dell’agricoltura chiede al Cantone di agire “con urgenza affinché gli alpeggi che non sono proteggibili o solamente parzialmente proteggibili (ad esempio con recinzioni notturne), possano venire tutelati in maniera significativa e non abbandonati al loro triste destino”. Quale “prima priorità” vanno richieste “delle deroghe” all’attuale Ordinanza federale sulla caccia “per poter meglio proteggere gli alpeggi menzionati attraverso misure che consentano una o più delle seguenti azioni”. Fra queste: “Uno snellimento delle procedure di abbattimento di esemplari problematici; la messa in opera di tiri o di battute di dissuasione con l’ausilio di volontari opportunamente selezionati, istruiti e spesati; la possibilità di finanziare la sperimentazione di metodi applicabili anche agli alpeggi altrimenti non proteggibili, come ad esempio l’applicazione di diffusori di feromoni dissuasivi”.
Nella sua relazione il segretario agricolo cantonale Sem Genini si è soffermato fra l’altro sul problema degli ungulati. «Bisogna dare atto che i piani di abbattimento e la caccia estiva negli ultimi anni hanno permesso di ridurre il numero di cinghiali, ma i danni da loro provocati restano importanti», ha rilevato. Genini ha così esortato gli agricoltori «a non rinunciare a denunciare i danni».
Ed è sui dossier lupo e latte che si è concentrato l’intervento del direttore del Dipartimento finanze ed economia, da cui dipende la Sezione dell’agricoltura. Christian Vitta ha così illustrato, alla luce delle risoluzioni votate dalla sala, i passi finora compiuti dal Dfe. «Purtroppo, e qui – ha aggiunto il consigliere di Stato – condivido il vostro sentimento di delusione, la recente revisione dell’Ordinanza federale sulla caccia, in vigore da febbraio, non ha tenuto conto delle peculiarità di cantoni come il Ticino, dove il territorio è particolarmente impervio e la maggior parte degli alpeggi non può essere efficacemente protetta». Tuttavia sfruttando i margini di manovra concessi dalla Confederazione ai Cantoni, «abbiamo elaborato un piano di emergenza, proprio per evitare lo scarico sistematico dei pascoli dopo un solo attacco, dopo una prima predazione». Il governo ticinese, ha quindi spiegato Vitta, «ha trasmesso una proposta all’Ufficio federale dell’ambiente che contempla una soluzione pragmatica per gli alpeggi che non possono essere ragionevolmente protetti». Concretamente? «La nostra proposta prevede che lo scarico dell’alpeggio sia raccomandato solo al verificarsi di un terzo attacco da parte di un grande predatore o al raggiungimento del dieci per cento di animali predati, feriti o dispersi». Dunque «un’applicazione meno rigida dell’Ordinanza». Vitta ha inoltre fatto sapere di aver messo al corrente della richiesta i consiglieri federali Guy Parmelin e Albert Rösti. D’altronde i dati trasmessi da Bellinzona a Berna, a sostegno della proposta, sono eloquenti: «Dal 2011 a oggi – ha evidenziato Vitta – il numero di alpeggi ticinesi è sceso da 145 a 107. Quindi una perdita media di 2,7 alpeggi all’anno, a conferma di una crescente pressione sull’agricoltura di montagna». Dalla Confederazione si è ora in attesa di una risposta.
C’è di più. Nel recente incontro in Ticino con Parmelin, titolare del Dipartimento federale dell’economia, Vitta ha sollevato «un secondo aspetto legato alla presenza del lupo ed è quello degli aiuti federali agli investimenti in infrastrutture». In «diversi» casi, ha continuato il direttore del Dfe, «gli agricoltori sono stati costretti a rinunciare a caricare gli alpeggi, rendendo pertanto impossibile l’utilizzo di strutture sostenute finanziariamente, come ad esempio i caseifici». Secondo l’odierna «prassi» dell’Ufficio federale dell’agricoltura, in tali frangenti «gli aiuti vengono ridotti o revocati. Insomma, non solo si è dovuto scaricare l’alpeggio, ma magari bisogna anche restituire, parzialmente o integralmente, gli aiuti già ricevuti. E ciò, ripeto, quando l’abbandono dell’alpeggio è da imputare alla pressione dei grandi predatori. Ho quindi chiesto a Parmelin di mostrare comprensione e flessibilità per evitare che gli agricoltori siano doppiamente penalizzati».
Dossier latte. «Stiamo lavorando e dialogando – ha assicurato il capo del Diparzimento finanze ed economia – con gli attori della filiera lattiero-casearia. Non tutti però hanno la stessa visione dello sviluppo del settore (ndr: per esempio sul progetto di nuovo caseificio in Val di Blenio è pendente un ricorso) e questo non agevola la ricerca di una soluzione condivisa». Il Dfe «sta comunque cercando di favorire il dialogo. Gli attori della filiera sono coinvolti in un gruppo di lavoro che mira a incentivare produzione, lavorazione e valorizzazione del latte in Ticino e la vendita di nostri prodotti caseari sia nella grande distribuzione locale sia in quella del resto della Svizzera». Per il sostegno del Cantone al trasporto del latte oltre Gottardo, il Consiglio di Stato «in questa fase è intervenuto direttamente, senza passare dal parlamento, nei limiti tuttavia di delega che il governo ha in termini finanziari. Ora si tratta, per dare continuità a tale aiuto, di agire nell’ambito dei Preventivi annuali del Cantone, a cominciare da quello del 2026, inserendovi la relativa voce».