Al Simposio fra i due livelli istituzionali Il presidente dell'Act pone l'accento sull'autonomia degli enti locali. Gobbi: collaborazione, no paralisi
Il dialogo tra i due livelli istituzionali «presuppone in ogni caso e sempre un ascolto reciproco». Detto altrimenti «non devono essere solo i Comuni ad ascoltare, ma anche e soprattutto l’autorità cantonale e tutti suoi rappresentanti». Intervenendo oggi al Simposio Cantone-Comuni edizione 2025, il sesto promosso dal Dipartimento istituzioni tramite la Sezione degli enti locali, Il presidente dell’Associazione dei Comuni ticinesi (Act) Felice Dafond entra subito nel tema. Che è quello degli attuali difficili rapporti tra Cantone e Comuni. Questi ultimi, aggiunge l’ex sindaco di Minusio e già deputato al Gran Consiglio, «hanno specifiche competenze e autonomie, nelle quali i cittadini si riconoscono, e che devono rimanere tali e non devono essere bistrattate come è purtroppo avvenuto spesso nel recente passato».
I rapporti con il Cantone, continua Dafond richiamando anche quanto emerso da un incontro promosso alcune settimane fa dall’Act e rivolto ai municipi, «non vanno bene, sono insoddisfacenti su più aspetti». E una più che «indispensabile» riforma «non può limitarsi a una mera ridefinizione dei flussi finanziari» tra i due livelli istituzionali, rileva il presidente dell’Act alludendo al progetto ‘Ticino 2020’: «Ma deve inderogabilmente coinvolgere il ruolo del Comune, la sua autonomia e le sue competenze». Secondo Dafond, a complicare «ulteriormente e pesantemente» le relazioni fra Cantone e Comuni è «‘il dipartimentalismo’». Critica non nuova all’indirizzo del Consiglio di Stato. Dafond non ha dubbi: «Per disporre di Comuni forti e sani in questo cantone», che possano contribuire al suo sviluppo, occorre riconoscere agli enti locali «più autonomia e rispetto».
Ma anche il presidente del governo e direttore del Dipartimento istituzioni non ha dubbi. «La collaborazione tra Cantone e Comuni non è solo auspicabile, è necessaria – evidenzia Norman Gobbi –. E se è vero che non abbiamo mai vissuto una ‘guerra istituzionale’, non possiamo nemmeno permetterci un gelo nei rapporti». È che oggi, osserva il presidente del Consiglio di Stato, «ci troviamo in una situazione di stallo». Se le pressioni economiche globali «continuano a influenzare negativamente le finanze pubbliche, anche nel nostro Cantone, è soprattutto il deterioramento del tessuto sociale a destare maggiore preoccupazione: famiglie sempre più fragili, un senso di solidarietà che si affievolisce, condizioni di lavoro spesso stressanti e redditi che non tengono il passo con l’aumento del costo della vita generano insicurezza e frustrazione». Insomma «in questo contesto complesso, il dialogo si è indebolito, le posizioni si sono irrigidite e la fiducia reciproca si è progressivamente logorata». Proprio per questo «è essenziale che le istituzioni dimostrino lucidità e determinazione nell’affrontare i nodi irrisolti». La politica «non può limitarsi alla diagnosi. Deve dare risposte».
Situazioni di stallo, come quella in cui si trova il progetto ‘Ticino 2020’, la riforma riguardante flussi e competenze fra Cantone e Comuni. «Ha raggiunto un punto di impasse che non possiamo ignorare». Restare fermi «non è un’opzione». Da qui «un appello diretto ai Comuni e al parlamento, che intendo condividere con la collega e i colleghi di governo: basta slogan e critiche senza contenuti. È ora di avanzare con soluzioni concrete, senso di responsabilità e soprattutto con il coraggio di cambiare rotta. E di farlo insieme». Il punto di partenza «deve essere il riconoscimento vero – anche giuridico – dell’autonomia comunale». Preannuncia Gobbi: «Per questo intendo proporre all’attenzione del Gran Consiglio e del popolo ticinese una modifica della Costituzione cantonale per inserire in modo ancor più esplicito rispetto a oggi il principio dell’autonomia dei Comuni: non come enunciazione di principio, ma come fondamento operativo». Ciò «per ricostruire su basi più solide e condivise i rapporti e la collaborazione tra il Cantone e i Comuni: o affrontiamo questa sfida insieme, o ci condanniamo alla paralisi. Il nostro sistema federalista ha bisogno di risposte coraggiose, non di rinvii».
Non solo: «Intendo affrontare la riforma della Piattaforma di dialogo politico tra governo e Comuni, perché sebbene gli incontri trimestrali finora organizzati siano stati utili, oggi non sono più sufficienti. È necessario creare un vero spazio di confronto politico, regolare e soprattutto franco, in cui le decisioni siano orientate al bene pubblico, ai cittadini e al futuro del nostro territorio». E non è tutto: «Desidero proporre un passo concreto e simbolico: una Dichiarazione ticinese sul federalismo». Ovvero «un documento che definisca chiaramente i principi di collaborazione tra Cantone e Comuni, non come un atto puramente formale, ma come un impegno politico e amministrativo a lavorare insieme, con lealtà e produttività. Un vero e proprio patto di fiducia, che getti le basi per una rinnovata cooperazione istituzionale».