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In aula un'altra ex amante di Zali, il pg chiede per lei tre mesi di detenzione sospesi condizionalmente

La 40enne ammette diffamazione e ingiuria, ma contesta la coazione e l'estorsione. Il legale: ‘Un harem a disposizione delle necessità dell'onorevole’

In sintesi:
  • La sentenza questo pomeriggio alle 17.45
  • Il consigliere di Stato non era in aula
Il procuratore generale questa mattina a Bellinzona
(Ti-Press)
13 maggio 2025
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«L’indifferenza mi ha uccisa. Non volevo fare del male, ma pensavo che intendessero farmi soffrire. Il loro silenzio mi diceva quello». A due settimane dal primo caso, concluso con una condanna per diffamazione, è comparsa questa mattina davanti alla Pretura penale di Bellinzona una seconda ex amante del consigliere di Stato Claudio Zali. La donna 40enne, difesa dall’avvocato Ivan Marci, è accusata di tentata estorsione, coazione (tentata e consumata), diffamazione e ingiuria ai danni del ministro e dell’allora sua compagna, la granconsigliera del Plr Simona Genini. Fatti commessi sull’arco di dieci mesi secondo l’atto d’accusa firmato dal procuratore generale Andrea Pagani, che ha chiesto per la donna una pena detentiva di tre mesi, condizionalmente sospesa per un periodo di prova di cinque anni, e il proseguimento del trattamento psichiatrico. Stando all’imputata, la relazione con Zali, presentatole da un'amica, sarebbe cominciata nel dicembre 2015 e continuata sino al novembre 2022. Una relazione «incentrata sul sesso», ha dichiarato in sede di arringa il suo difensore.

Atto d’accusa di ventuno pagine nel quale si elenca la pioggia di telefonate, messaggi e mail dal contenuto aggressivo e volgare inviate dall’imputata a Zali e Genini, con la minaccia di rendere pubblici racconti e materiale intimo della coppia. «So di aver diffamato e ingiuriato – ha ammesso la 40enne – e sono pronta a pagare per questo. Purtroppo quando perdo la pazienza dico le parolacce. Non pensavo però che sarebbe scoppiato tutto questo casino». Contestate da parte dell’imputata e del suo difensore invece le accuse di estorsione e coazione, «Ho passato metà della mia vita in manicomio, trovo vergognoso che ve la prendiate con una ragazza in assistenza. Vi state accanendo», ha dichiarato la donna che contesta pure la richiesta di risarcimento di 5mila franchi, poi abbassata a mille, avanzata da Genini. Cifra che la deputata del Plr ha dichiarato di voler devolvere a un’associazione attiva nella tutela delle vittime di stalking.

Il procuratore generale Pagani: una vera campagna denigratoria

«I fatti sono chiari e perfettamente accertati in tutta la loro evidenza dalle immagini di messaggi, dalle mail e dai post sui social». Fatti – tra i quali anche la richiesta da parte dell’imputata di un risarcimento di 700 franchi per la rimozione di un presunto tatuaggio sull’inguine con la scritta “Claudio” – che secondo il procuratore generale si inseriscono in un contesto dove le vittime ricoprono, per professione o per milizia, una carica politica. «Hanno una visibilità. Va quindi tenuto conto che si è cercato di limitare l’agire non di due privati cittadini, ma di politici. Con tutto quello che ne consegue». Ovvero: una possibile limitazione nell’amministrare con serenità la cosa pubblica. Politici che per Pagani «devono avere le spalle larghe per resistere ad attacchi di natura politica, ma che sono vulnerabili sul piano personale. Reputazione e immagini sono per un politico un elemento centrale. L’imputata – sostiene Pagani – ha messo in campo una vera e propria campagna denigratoria, vergognosa e indegna. Ha fatto pressione e messo paura alle vittime di veder rovinata la loro reputazione». Messaggi e mail che l’imputata non ha inviato solo a Zali e Genini, ma pure a diverse persone all’interno della cerchia delle due vittime. Una mail è infatti stata inoltrata alla casella di posta elettronica del Partito liberale radicale. Messaggi, quelli inviati dalla 40enne che contengono «epiteti vergognosi. Parole e contenuti che riguardano la vita intima delle persone. Vita nella quale non bisogna entrare, ma nemmeno bussare alla porta. Se tutto questo non costituisce un’estorsione, credo che di estorsioni a danni di politici in Ticino non ne vedremo più». Tutto questo, secondo il procuratore generale, «per uno scopo malato: ottenere le attenzioni che il consigliere di Stato non le dava più e rompere in maniera spregevole la nuova relazione tra lui e Genini». Tra i messaggi più gravi, quelli che fanno riferimento a un noto caso di cronaca italiano dove una donna è stata aggredita con l'acido.

Il patrocinatore di Simona Genini: ‘Un assedio permanente’

Per Edy Salmina, avvocato di Genini che si è costituita accusatrice privata «gelosia e rivalità in questo caso si associano alle nuove tecnologie, creando un assedio permanente. Attraverso il cellulare pedinamento, intrusione e aggressione coincidono». Specialmente se si tratta di una figura pubblica «nell’espressione ‘esposta politicamente' si fa spesso attenzione al termine ‘politicamente’, dimenticandosi che ‘esposta’ vuol dire che c’è la possibilità di cadere. Ed è proprio quello che l’imputata si auspicava per Genini». Salmina ha poi messo l’attenzione sulle difficoltà vissute dalla granconsigliera «obbligata a dover puntualizzare pubblicamente aspetti della sua vita privata che voleva restassero tali. Immaginate cosa voglia dire avere a che fare con Gran Consiglio, funzionari dell’amministrazione pubblica, giornalisti e vivere col dubbio che queste persone abbiano saputo quello che è stato diffuso dall’imputata». Motivo per cui è stato chiesto un risarcimento di 5mila franchi, poi ridotto a mille. «Questo non vuol dire che riteniamo il torto subito meno grave, ma vogliamo andare incontro alle difficoltà finanziarie dell’imputata. Un gesto di attenzione nei riguardi dell’altro che lei non ha mai avuto».

A prendere la parola, visibilmente emozionata, è stata anche Genini. «Non sarò forse l’unica ad aver sofferto in questa vicenda, ma sicuramente io la mia sofferenza non l’ho cercata. È stato usato il mio corpo come arma, il mio cuore come bersaglio e la mia notorietà come clava. Questo processo mi ha obbligata a ripercorrere delle vicende dolorose, ma denunciare un torto è la cosa giusta da fare». Il consigliere di Stato Zali non era invece presente in aula.

«In questo procedimento vi è un'altra vittima al di là degli accusatori privati, ed è l'imputata», ha esordito il difensore della quarantenne. Una donna, ha continuato l’avvocato Ivan Marci, «evidentemente fragile, vulnerabile». Che da Zali, ha rincarato il legale, «si è sentita usata, manipolata, tradita, ferita». L’imputata ha così dato «sfogo in maniera tumultuosa, oltrepassando i limiti della capacità di autocontrollo, al proprio dolore e alla propria frustrazione». E lo ha fatto «contro la persona» che ai suoi occhi avrebbe rappresentato il principale ostacolo nella relazione con il consigliere di Stato, l’allora compagna di quest’ultimo Simona Genini. Marci avrebbe comunque voluto approfondire in sede istruttoria il contesto, ovvero «i meccanismi» che hanno portato la propria assistita nel 2023 a bersagliare Genini con messaggi e mail dai toni forti. Ma la richiesta di «questi chiarimenti in contraddittorio» non è stata accolta dai magistrati. Secondo il difensore, ciò sarebbe da ricondurre anche «alla campagna virulenta» che Zali avrebbe messo in atto con moniti e la prospettazione di procedure giudiziarie nei confronti di «chi tentava di avvicinarsi alla sua vita privata». E «il contenzioso con ‘laRegione’ è l’esempio più emblematico».

L'avvocato difensore Marci: ‘Manovre manipolatorie’

Marci si è poi soffermato sulle asserite relazioni amorose del ministro, arrivando a parlare di «un harem a disposizione delle necessità dell'onorevole Zali». Un harem «caratterizzato dalla presenza di donne dai profili molto simili, che in qualche modo vivevano situazioni di fragilità». E, ha aggiunto il legale riferendosi sempre al consigliere di Stato, sarebbero state «le manovre manipolatorie e l’interruzione in modo vigliacco della relazione con la mia assistita a far deflagrare il tutto, a portarla a produrre messaggi su messaggi, e questo per gridare al mondo il suo dolore di donna ferita, usata e abbandonata».

Il legale: ‘Né coazione, né estorsione’

Venendo alle imputazioni, Marci non ha contestato i reati di diffamazione e ingiuria, ma ha chiesto il proscioglimento integrale della sua cliente da quelli di coazione («Vedo rabbia e contumelie nel suo agire, non però l’intento di interrompere la relazione fra Zali e Genini») e di estorsione («Manca completamente l'elemento costitutivo oggettivo dell’intensità della richiesta di denaro e della serietà della minaccia»). Alla luce delle perizie psichiatriche e del percorso terapeutico che l’imputata sta seguendo con successo, la difesa ha chiesto alla giudice di ridimensionare le proposte di pena avanzate dall’accusa. Quindi: due mesi di detenzione al beneficio della condizionale per un periodo di prova di due anni. «Credo che si possa dire che la persona oggi in aula non è la stessa di quella che ha scritto quei messaggi», ha affermato l’avvocato. La sentenza alle 17.45.