In certe specie ittiche rilevate quantità di residui di Pfas che ne potrebbero limitare l’immissione sul mercato. Ma sono dati da interpretare con cautela
Un quadro caratterizzato da una “contaminazione ubiquitaria e diffusa” con anche “situazioni problematiche” o possibili tali, tra le quali si annovera quella relativa ad alcuni pesci del Ceresio e del Verbano. È quanto emerge dal rapporto sulla presenza in Ticino di inquinanti Pfas (sostanze per- e polifluoroalchiliche), ovvero quei composti chimici sintetici difficilmente degradabili che l’industria produce e impiega da decenni e che si possono accumulare nell’ambiente, nelle derrate alimentari e nell’essere umano. Sostanze di cui fanno parte alcuni composti noti per aumentare il rischio, sul lungo termine, dell’insorgere di determinate problematiche sanitarie.
Il rapporto, allestito dalla Sezione della protezione dell’aria, dell’acqua e del suolo del Dipartimento del territorio e dal Laboratorio cantonale del Dipartimento sanità e socialità, fornisce una prima panoramica sui residui di Pfas nelle acque superficiali, sotterranee e potabili, di percolato delle discariche, nel suolo e nella fauna ittica. Panoramica che non si discosta molto da quella del resto della Svizzera. Oltre alle note situazioni critiche che abbiamo ricapitolato nell’edizione di ieri – tra cui quelle del pozzo Prà Tiro a Chiasso e della galleria di base ferroviaria del Ceneri a Sant’Antonino – si constata l’accumulo di determinati Pfas nei pesci del lago Ceresio e Verbano, con concentrazioni variabili in funzione della specie ittica e degli habitat che in certi casi superano i valori massimi recentemente introdotti a livello federale per l’immissione sul mercato. Immissione che dunque in futuro potrebbe essere limitata.
È possibile identificare “in particolare il persico (il più venduto, ndr), il luccio, la trota e l’agone quali specie più problematiche per entrambi i laghi”. Si tratta di risultati da interpretare con cautela – mette in guardia lo stesso studio – in quanto sono riferiti a un unico anno di monitoraggio e a un numero relativamente limitato di campioni. Attualmente non c’è un divieto di pesca né tantomeno di vendita di nessuna tipologia di pesce: come spiega il rapporto, “in base al principio del controllo autonomo sul quale si basa la Legge sulle derrate alimentari, spetta a chi immette sul mercato una derrata alimentare il compito di garantirne la conformità legale”. Si tratta del cosiddetto “controllo autonomo” per compiere il quale i pescatori che commerciano pesce dovranno d’ora in avanti tener conto dei dati che evidenziano un potenziale problema per alcune specie ittiche. A tal fine il Cantone ha contattato le associazioni di categoria in modo da sviluppare insieme un concetto appropriato. Sarà quindi necessario “valutare se alcune specie potranno ancora essere immesse sul mercato, rispettivamente se sarà necessaria una liberazione basata su analisi”.
«È importante non creare allarmismi, il tema va contestualizzato bene» esordisce, interpellato da laRegione, Urs Luechinger, presidente della Federazione ticinese per l’acquicoltura e la pesca (Ftap). Federazione per la quale non c’è alcun tipo di limitazione, precisa Luechinger, «perché i pescatori dilettanti di principio non dovrebbero vendere il proprio pesce e quindi possono continuare a pescarlo e consumarlo liberamente». Riferendosi invece ai professionali, che di norma impiegano le reti, per Luechinger «fintanto che i dati sono poco rappresentativi non ha alcun senso prendere delle misure riduttive della pesca e della vendita, quindi salutiamo positivamente la volontà di approfondire la questione prima di rischiare di fare il passo più lungo della gamba che potrebbe compromettere un settore economico e il piacere di mangiare certi prodotti».
Il presidente della Ftap auspica inoltre la costituzione di un coordinamento internazionale: «Se dovesse risultare che con l’andare del tempo un pesce da noi non può più essere commercializzato perché è sempre fuori dai limiti, dovrebbe avvenire altrettanto anche sul lato italiano degli stessi laghi in quanto il problema delle Pfas non è limitato al territorio ticinese». A tal proposito c’è da precisare che la normativa svizzera è stata ripresa dall’Unione europea, per cui i valori di legge sono i medesimi; quello che però effettivamente potrebbe succedere è che di là dal confine non vengano misurati i livelli di Pfas nei pesci e che dunque non si rilevi l’eventuale problema e non si adottino delle restrizioni.
Sulla stessa lunghezza d’onda è Ezio Merlo, vicecommissario della Commissione italo-svizzera per la pesca: «La questione della sicurezza sanitaria è importante, ma deve trovare un corrispettivo anche da parte italiana, altrimenti ci troveremo in una situazione come quella dopo il disastro di Chernobyl in cui sul lato svizzero dei laghi era proibita la pesca, mentre su quello italiano era aperta. Non avrebbe senso. Ci auguriamo anche che i risultati pubblicati, ancora da consolidare, non creino disorientamento. Sarebbe forse stato meglio aspettare di avere qualche certezza in più, fermo restando – ribadisce – che sulla necessità di salvaguardare la salute non si discute».
Il completamento dell’analisi ambientale per quanto riguarda i pesci e la verifica della conformità del pescato venduto sul mercato ticinese saranno eseguiti nel corso dell’anno 2025 dal Laboratorio cantonale all’interno di una campagna nazionale che estenderà l’attenzione più in generale alle derrate alimentari di origine animale, in particolare carne, pesce e uova.