laR+ Musica

Addio a Marco Marchi, un bluesman vero

Negli ultimi anni si era curato ‘un po’ con la chemioterapia e un po’ con la musica’. La malattia se l'è portato via all’età di 67 anni

Nel 2022 aveva ritirato lo Swiss Blues Award
6 giugno 2025
|

Lo avevamo incontrato nel gennaio del 2023, fresco di Swiss Blues Award, il massimo riconoscimento del settore. L’intervista era passata dalle parti della malattia per restarci il tempo necessario a dire che era ripartito, ancora una volta. Non ascolteremo la sua blues-lectio durante il prossimo Lugano LongLake perché Marco Marchi se n’è andato all’età di 67 anni. Con i suoi Mojo Workers aveva rappresentato un punto fermo della scena elvetica, illuminata già nel 2011 con la vittoria dello Swiss Blues Challenge.

A Basilea, nel 2023, a contendergli il titolo furono Hendrix Ackle, tastierista di Philipp Fankhauser, e Justina Lee Brown. Quella vittoria non gli aveva cambiato la vita: “Sono esattamente quello di prima, continuo la mia strada musicale come ho sempre fatto. Chiaramente, un premio come questo ti regala una visibilità e uno slancio ulteriori, è un incoraggiamento a proseguire”.

‘O ce l'hai o non ce l'hai’

Marco Marchi si rifaceva al blues degli anni 20, ragtime, piedmont style, arrivando fino ai primi anni del Chicago blues. “Per me il blues è la massima espressione musicale della sofferenza umana” diceva, affermazione che oggi suona almeno beffarda. Bluesman lo era davvero, perché il blues “è un genere musicale per il quale non puoi fare finta, o ce l’hai o non ce l’hai”. Vi si era avvicinato partendo dal rock, da Jimi Hendrix e da Ritchie Blackmore dei Deep Purple; aveva suonato da professionista nei primi anni Ottanta, suonando di tutto “per portare a casa lo stipendio”, ma con il blues sempre dentro. Era nato a Stradella, in provincia di Pavia, patria delle fisarmoniche che la madre accordava “quando ancora non c’erano gli accordatori”. Quel giorno, Marco ci riportò con la mente a un tempo in cui la musica in Italia dava da lavorare a decine e decine di orchestre.

Sulle orme di Muddy Waters

In gioventù, come spesso accade a chi insegue i suoi sogni, c’era stato un Marco Marchi britannico, a vivere la scena londinese ai concerti di John Mayall e dei Police, dei Clash e dei Dire Straits, “una cosa da far girare la testa”. Ma tra i momenti più belli della sua vita da musicista, Marco citava Clarksdale, nel Mississippi, quando seguì le orme di Muddy Waters, nel Blues Museum che espone le chitarre di Howlin’ Wolf e di Louise Johnson. E poi Memphis, la visita alla Sun Records “dove registrava Elvis”. Disse che anche lì c’era una chitarra di Howlin’ Wolf: “L’ho toccata, mi hanno beccato e redarguito, ma è una di quelle occasioni che capitano solo una volta nella vita…”.

Il viaggio di cui parlava era seguito alla vittoria dello Swiss Blues Challenge, che gli aveva aperto le porte dell’International Blues Challenge: “Nel 2011 siamo stati il primo gruppo a rappresentare la Svizzera, quando gli americani pensavano che qui si facessero solo orologi, cioccolato e piste da sci”. Marco Marchi diceva di ritenersi “a tutti gli effetti un musicista ticinese”, facendo presente che negli ultimi anni si era curato “un po’ con la chemioterapia e un po’ con la musica”.