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L'industria farmaceutica ticinese teme più il franco forte che i dazi di Trump

Piero Poli, direttore di Farma Industria Ticino: ‘Il settore è solido. Le aziende investono nonostante le difficoltà e il personale aumenta’

Numeri in crescita, nonostante tutto
(Ti-Press)
10 giugno 2025
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La minaccia dei dazi americani tocca anche il settore farmaceutico ticinese. Uno spauracchio che va e viene a seconda degli umori del presidente statunitense Donald Trump. A preoccupare le sessanta aziende associate a Farma Industria Ticino, che occupano oltre 3'800 persone, è però soprattutto il franco forte. «I dazi sono un fattore da tenere in considerazione e da guardare con rispetto, preparandosi a una loro eventuale introduzione – mette in chiaro il presidente di Farma Industria Ticino Piero Poli –. Però sono solo un aspetto. I fattori più importanti per il settore sono il tasso di cambio e le guerre in Ucraina e in Medio Oriente, che sicuramente creano molto più problemi. Si mettono a rischio le catene di approvvigionamento e si erode il guadagno riducendo la capacità di reinvestire». Anche perché, sottolinea Poli, «il tasso di cambio colpisce tutti, indistintamente. E per un settore che esporta circa l’80 per cento del proprio fatturato non è roba da poco. L’apprezzamento del franco rispetto a euro e dollaro è un elemento strutturale segnato in questo momento dall’incertezza: anni fa si ipotizzava che non sarebbe sceso sotto lo 0,97, ora siamo a 0,93. È vero – riconosce il presidente di Farma Industria Ticino – che c’è una leva naturale, ma il tasso di cambio incide su tutte le esportazioni e ogni centesimo in meno è erosione del fatturato».

Per Farma Industria Ticino il bilancio è comunque positivo «abbiamo saputo rispondere con determinazione, visione e resilienza alle difficoltà. Le aziende associate hanno scelto di assorbire l’impatto di un contesto avverso salvaguardando l’occupazione e mantenendo la competitività anche se i margini operativi si sono ridotti. Ancora più importante – aggiunge Poli – si è continuato a investire in settori centrali: ricerca, sviluppo e formazione». E i numeri sono lì da vedere: 442 milioni investiti in due anni. «I dati del 2024 attestano un consolidamento. Le aziende confermano una stabilità negli ordinativi e nei fatturati. Un contesto dove si punta a rafforzare quanto costruito negli anni precedenti piuttosto che a espandersi».

Tornando ai dazi: quello americano rappresenta l’8-10% del mercato complessivo per l’industria farmaceutica ticinese. Un dato in linea con quello nazionale. L'acquirente principale resta infatti l’Europa. «La politica economica del presidente Trump non sorprende – afferma Poli –. Si tratta di una trattativa commerciale, ‘spara alto’ per cercare di ottenere un vantaggio. Fa parte dei giochi. Vedremo quale sarà la situazione al termine delle trattative». Va inoltre ricordato che per il settore farmaceutico quella dei dazi si è rivelata per ora solo una minaccia, non sono infatti ancora state applicate tariffe maggiorate e non è scontato che succederà in futuro. Nonostante questo alcune grosse aziende con sede in Svizzera interna – Roche e Novartis – hanno annunciato negli scorsi mesi l’intenzione di investire decine di miliardi negli Stati Uniti. La partenza di grandi gruppi nel settore metalmeccanico ha delle conseguenze anche per le aziende più piccole, come quelle ticinesi, che riforniscono di componentistica le grandi imprese. Sarà così anche per la farmaceutica? «Non credo. Il nostro settore in Ticino non dipende dai grandi gruppi. Vai poi detto – fa notare Poli – che la farmaceutica è altamente regolamentata a livello internazionale. Per spostare la produzione o cambiare fornitore occorre intraprendere un lungo iter burocratico. Delocalizzare in un altro paese potrebbe richiedere fino a quattro anni. Non è così immediato».

Per misurare la fiducia delle aziende Farma Industria Ticino ha condotto un'inchiesta tra i propri associati. Un'inchiesta, precisa la direttrice esecutiva Daniela Bührig, «fatta nell'ottobre del 2024, quindi prima che si cominciasse a parlare dei dazi americani». Il quadro che emerge, in ogni caso, è di stabilità. «È cresciuto molto il numero di aziende che prevedono di mantenere lo stesso fatturato e di non dover assumere, ma nemmeno licenziare, del personale». Sempre a proposito del personale, «è cresciuta la preoccupazione per quanto riguarda la difficoltà nel reperire manodopera». Un dato che si lega anche alla diminuzione dei frontalieri registrata in Ticino nell'ultimo periodo, in controtendenza rispetto al resto della Svizzera. «È dovuto al nuovo accordo fiscale sui frontalieri tra Svizzera e Italia. Gli effetti – commenta Bührig – li vedremo però solo sul lungo periodo».