Oltre al tema divieto, c’è un voto del Gran Consiglio del 2020 che già chiedeva di farli tenere sempre spenti, intervalli compresi: ‘Serve più rigore’
Cosa sta facendo, realmente, il Dipartimento educazione, cultura e sport nell’ambito degli smartphone alla scuola dell’obbligo e, di conseguenza, per il loro divieto? È la questione che pongono i deputati del Plr che siedono in commissione ‘Formazione e cultura’ – Aron Piezzi, Paolo Ortelli, Alessandro Speziali, Diana Tenconi e Tiziano Zanetti – con un’interrogazione al Consiglio di Stato. Atto parlamentare che parte da una data: il febbraio 2020, quando il Gran Consiglio si occupò della mozione – risalente al settembre 2018 – con cui Giorgio Fonio (ex Ppd, ora Centro), Maristella Polli (Plr) ed Henrik Bang (Ps) chiesero un progetto pilota in alcune sedi per imporre il divieto. Anticamera dell’iniziativa popolare del Centro, più volte annunciata in queste settimane e di cui si è già pubblicato il testo, ma che non è ancora stata ufficialmente lanciata.
Ebbene, seguendo il rapporto redatto da Speziali, il parlamento decise di accogliere una specie di via di mezzo: smartphone spenti, anche negli intervalli, e per chi sgarra comunicazione immediata alla famiglia. Evidenziando due aspetti che vengono ricordati nell’interrogazione. Il primo: “Vietare l’utilizzo degli smartphone all’interno del perimetro scolastico, laddove i dispositivi tecnologici di comunicazione personali dovranno essere spenti e non visibili fisicamente. L’attivazione dei dispositivi tecnologici potrà essere decisa in via eccezionale dall’istituto per motivi giustificati”. E il secondo: “Raccomandare agli istituti di Scuola media di rafforzare, in maniera interdisciplinare, i momenti di riflessione critica sull’utilizzo degli smartphone”.
Dall’anno scolastico 2020/2021 il Decs, riprende l’interrogazione di Piezzi e cofirmatari, “ha quindi emanato delle nuove Direttive per regolare l’utilizzo degli smartphone nella Scuola dell’obbligo, tenendo in considerazione le decisioni parlamentari testé enunciate. Alla luce di quanto esposto, e visto che sembrerebbe che ci siano discrepanze nell’applicazione delle Direttive” però ecco le domande liberali radicali.
Partendo, va da sé, dall’inizio. Nel senso: “Vengono rispettate le Direttive emanate dal Decs a seguito della decisione parlamentare? Se no, perché? Quali autonomie hanno le diverse sedi? Come vigila il Dipartimento affinché queste Direttive vengano rispettate? Se del caso, non servirebbe essere più rigorosi e chiedere il rispetto di tali Direttive?”. Mica finito, il Plr chiede anche “come si sono sviluppati concretamente i momenti di riflessione critica sull’utilizzo degli smartphone nella Scuola dell’obbligo?”.
La considerazione, alla fin fine, è una: “È noto a tutti che anche in Ticino, come ovunque nel mondo, si stia discutendo molto sul tema in questione. In molti (partiti, associazioni, cittadini) chiedono regole più ferree sull’uso degli smartphone nella Scuola dell’obbligo. Eppure da noi, come detto, è dal 2020 che tale decisione è stata presa dalla politica”. Per il Plr, quindi, “basterebbe far rispettare con maggior autorevolezza queste Direttive”. Comunque, termina l’atto parlamentare, “c’è da dire che l’abuso degli smartphone non si risolve focalizzandoci solo sulla Scuola dell’obbligo, perché è una tematica che concerne tutta la comunità”.
Tesi questa ripresa da Aron Piezzi che, a ‘laRegione’, conferma l’orientamento del suo partito: «In estrema sintesi, gli strumenti digitali nella scuola non migliorano l’apprendimento negli studenti, è essenziale lo sviluppo di un uso consapevole dei media, non c’è alcuna evidenza che porti a pensare allo smartphone come a uno strumento adatto a essere utilizzato con continuità nella didattica scolastica». Insomma, «come afferma pure il noto psicoterapeuta Alberto Pellai: nella scuola di oggi occorrono “meno schermi e più umanizzazione, educazione emotiva e vita sociale”. Concordo pienamente».
Pellai, il ricercatore dell’Università Bocconi Marco Gui, che è stato relatore a un recente convegno organizzato dal Centro risorse didattiche e digitali, ma anche uno degli psicologi più citati quando si affronta la materia, Jonathan Haidt, autore de “La generazione ansiosa”, fondamentale anche per Piezzi: «Consiglio davvero la lettura a tutti, perché è incentrata, dati oggettivi alla mano, sugli enormi rischi di un’infanzia basata sul telefono anziché sul gioco fisico. Ansia, depressione, incapacità di attenzione, dipendenza e solitudine sono sintomi sempre più presenti. I nostri giovani vengono deprivati di quell’apprendistato sociale insostituibile per lo sviluppo delle competenze necessarie per la vita adulta. Le regole di Haidt per evitare queste derive sono quattro – ricorda Piezzi –: niente smartphone prima delle scuole superiori; niente social media prima dei 16 anni; a scuola senza cellulare; più gioco senza supervisione e più indipendenza». Sono regole senz’altro ambiziose, riconosce il deputato del Plr, «ma che hanno un senso, da noi, se applicate a livello federale».