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‘Contro il lupo il Dipartimento fa troppo poco’, ‘Il Cantone non ha ulteriori margini’

La richiesta di Dadò e Marchesi, che vogliono togliere il dossier a Zali, riaccende il dibattito sul ruolo del Cantone nella regolazione

Il tema è caldo
(Keystone)
21 luglio 2025
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A chiedere un cambio di passo, un deciso cambio di passo, sulla gestione del lupo in Ticino – dopo il comunicato del presidente dell'Udc Piero Marchesi e di quello del Centro Fiorenzo Dadò, che chiedono la revoca del dossier al consigliere di Stato Claudio Zali – è anche l’Associazione per la protezione del territorio dai grandi predatori. «Lo diciamo da anni, il Cantone fa troppo poco per risolvere il problema. Ora il conto si è fatto decisamente pesante, stiamo vivendo la peggiore estate con cifre che superano addirittura quelle del 2022, l'annus horribilis per quanto riguarda le predazioni», afferma interpellato da laRegione il vicepresidente dell’Associazione Sandro Rusconi. E mentre in altri cantoni, come evidenziano anche Dadò e Marchesi, si agisce, «in Ticino le autorità competenti non fanno nulla – sottolinea Rusconi –. Il Dipartimento, e chi lo dirige, ha un atteggiamento che colpevolizza i contadini. Nelle cifre fornite la scorsa settimana viene messo l’accento sul numero superiore di attacchi ad animali non adeguatamente protetti, lasciando in secondo piano il numero di capi predati, che rovescia nettamente il quadro. I capi sono infatti in gran maggioranza non proteggibili o adeguatamente protetti. Numero di capi predati che corrisponderà a quanto indicato nel nostro comunicato stampa di metà luglio, e sfidiamo chiunque a dimostrare il contrario. Il Dipartimento del territorio cerca invece di minimizzare e prendere tempo in attesa della certificazione genetica sulle predazioni più recenti, ma l'origine è chiara come indicano anche i guardiacaccia arrivati sul posto». Che fare quindi? «Agire, ridurre significativamente il numero di esemplari e anche dei branchi problematici come hanno fatto nei Grigioni. Negli ultimi tre anni abbiamo perso almeno un'ulteriore dozzina di alpeggi caricati a ovicaprini, avanti di questo passo sarà sempre peggio».

«Pensare di tornare solo grazie al fucile a una situazione in cui non bisogna proteggere i pascoli dal lupo è inverosimile. Continuare a raccontare questa storia di fantascienza vuol dire prendere in giro la popolazione e gli agricoltori». Per la responsabile grandi carnivori del Wwf e Pro Natura Silvia Gandolla il discorso è chiaro: «Ora il Cantone non può fare più di quanto non stia già facendo senza andare contro la legge federale». E alzare la voce non serve a nulla, se non a peggiorare la situazione. Fondamentale, invece, basare le proprie valutazioni su «elementi scientifici e non di pancia, anche se arrabbiarsi quando i propri capi sono minacciati è normale». Insomma, calma e gesso.

Per Gandolla, «intervenire d’impulso, magari facendosi anche giustizia da soli, può essere controproducente», dato che «quando togliamo un branco sappiamo cosa lasciamo, ma non cosa arriverà. Vista la situazione con i branchi transfrontalieri, possono bastare poche settimane per vedere arrivare un altro gruppo in sostituzione dei lupi soppressi». A dimostrare che sparare tout court non funziona, evidenzia poi la responsabile grandi carnivori, anche l’esempio di Paesi a noi vicini: «In Francia, per ridurre la popolazione dei lupi, i contadini potevano sparargli senza sapere se fossero alfa o giovani. Ecco, questo ha portato a un aumento degli attacchi». E rimarca: «Il discorso non è tanto a quanti lupi si spara, ma a quali». A ciò si aggiunge il recente notevole aumento degli ungulati che si nutrono delle piante giovani impedendo alle foreste di rigenerarsi. «Dire che il lupo è inutile – osserva – è sbagliato. Se i boschi di protezione dovessero cedere, ci sarebbero danni alle infrastrutture anche molto importanti. I lupi da soli ovviamente non risolvono il problema, ma, insieme alla caccia, possono fare la differenza». Da cercare, dunque, una coesistenza con l’allevamento. «Gli allevatori – dice Gandolla – sono un tassello cruciale sia della biodiversità, in quanto mantengono i paesaggi in cui operano, sia della società, visto che producono il cibo che consumiamo. Sono quindi da sostenere, proprio perché tutti beneficiamo del loro lavoro sulle montagne». Come detto, stando a Gandolla, ad ora il Cantone sta già facendo il possibile. «La Confederazione – illustra la biologa pensando in particolare al branco in Valle Onsernone – non riconosce la peculiarità del nostro allevamento di capre. Non fornisce quindi abbastanza fondi affinché gli agricoltori possano realizzare una protezione». Che fare quindi? «La politica dovrebbe usare l’energia che mette solo contro il lupo per fare maggiore pressione sull’Ufficio federale dell’agricoltura».

«Il Cantone fa quello che può», ha risposto alla Rsi lo stesso Zali. «Gli effettivi sono aumentati. Non hanno invece seguito di pari passo le regole federali. Quindi con gli strumenti a disposizione, che sono quelli del diritto federale, il Cantone fa quello che può: dove vi sono le premesse, emana degli ordini di abbattimento; dove non vi sono, non lo può fare», ha aggiunto il direttore del Dt.

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