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A lezione in carcere, in classe cercando un attestato di rivalsa

Consegnati i diplomi per l’anno scolastico 2024-2025 a cui hanno partecipato centoventi detenuti. Un progetto pionieristico tuttora un unicum in Svizzera

Consegnati i diplomi per l’anno scolastico 2024-2025 a cui hanno partecipato centoventi detenuti. Un progetto pionieristico tuttora un unicum in Svizzera

6 agosto 2025
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«La soddisfazione più grande è forse la riconoscenza che questi studenti hanno nei nostri confronti. Per loro spesso si tratta di un riscatto importante, vista anche la situazione in cui si trovano mentre seguono i nostri corsi. Fuori dal carcere, nella vita di tutti i giorni, è più difficile che gli allievi provino, o almeno esternino, allo stesso modo questa gratitudine». Per Cecilia Beti, responsabile della Scuola InOltre e direttrice del Centro professionale tecnico (Cpt) di Trevano, la bontà del progetto – che esiste da quasi vent’anni – è evidente. A fine giugno ha avuto luogo la cerimonia di consegna dei diplomi per l’anno scolastico 2024/2025, alla presenza anche della consigliera di Stato Marina Carobbio, direttrice del Dipartimento educazione, cultura e sport. Sono ben centoventi i detenuti che hanno frequentato i diversi corsi proposti dalla Scuola InOltre. Variegati i percorsi esistenti, che spaziano da corsi di lingue, cultura generale e informatica, ma anche educazione fisica, mediazione artistica e atelier di giornalismo. I corsi, tenuti da docenti attivi presso il Cpt di Trevano, permettono di ottenere degli attestati di frequenza. Per le lingue e, proprio dall’edizione 2024-2025, anche per la cultura generale vi è tra l’altro la possibilità di conseguire al termine del percorso un attestato riconosciuto a livello cantonale. Ed è in particolare al diploma cantonale che pensa Beti quando dice che «vedere queste persone ringraziarci e quasi commuoversi per aver finalmente in mano questo foglio, ripaga di tutti gli sforzi e le accortezze che insegnare in carcere comporta».

Verso corsi misti con la sezione femminile

Parliamo quindi di organizzazione. Le strutture carcerarie non sono per ovvi motivi un luogo ideale in cui pensare e realizzare l’insegnamento. E non tanto per gli studenti, quanto per il dispositivo necessario per poter costruire e mantenere un progetto di questo tipo. Il tutto in uno spazio in cui ogni spostamento è controllato e dove la maggior parte delle porte sono chiuse. La Scuola InOltre nasce diciotto anni fa, a cavallo tra il 2006 e il 2007, su impulso di Mauro Broggini, docente della Spai di Locarno che ha poi coordinato il progetto per diversi anni. Un’iniziativa pionieristica che tuttora rappresenta un unicum a livello svizzero. Inizialmente si era trattato di dare una risposta all’esigenza di mettere a disposizione dei minori detenuti alla Farera, il carcere giudiziario dove le persone sono in attesa di giudizio, alcuni momenti di attività legati alla formazione: cultura generale, informatica, educazione visiva, ginnastica, matematica, educazione alimentare e cura della casa. Il progetto si è poi negli anni consolidato nell’intento di proporre dei corsi anche agli altri detenuti, quindi agli uomini maggiorenni e alle donne. Prendono così avvio le lezioni regolari durante l’anno scolastico, organizzate ancora oggi.

Necessari, va da sé, alcuni distinguo. I corsi annuali, i moduli settimanali e le formazioni professionali sono attualmente proposti agli uomini maggiorenni detenuti al Carcere penale della Stampa, dove vengono incarcerate le persone che stanno scontando una pena. Le donne, invece, anche quelle in espiazione pena, si trovano nel Carcere giudiziario della Farera. Carcere preventivo che prevede un regime detentivo più restrittivo rispetto a quello penale. È il cosiddetto carcere duro in cui i detenuti passano ventitré ore al giorno in cella. E questo perché alla Stampa ancora non esiste una sezione femminile, con tutti i problemi – in particolare di disparità di trattamento – che ne conseguono. I lavori per la realizzazione della sezione femminile, va detto, sono cominciati all’inizio di quest’anno. «La scuola – sottolinea Beti – permette alle detenute di poter trascorrere del tempo fuori dalla cella. E non è cosa da poco, considerate le loro condizioni di detenzione. I corsi riempiono tutta la settimana, sabato mattina compreso, e alcuni si tengono anche durante l’estate». Non da ultimo, dei corsi possono fruire anche i minorenni, pure loro incarcerati alla Farera. Vista la prossima apertura della sezione femminile, assicura comunque Beti, «l’idea è di organizzare dei corsi misti». In tal senso, una rivalutazione dell’organizzazione delle proposte formative è già in corso.

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‘Certificati spendibili anche all’esterno’

Tra i corsi proposti sia alla Stampa sia alla Farera c’è, come detto, anche quello di cultura generale, rivolto in particolare a chi sta svolgendo un apprendistato o a chi intende in futuro intraprendere una formazione professionale. Il tutto, riprende Beti, «con la possibilità di ottenere una certificazione cantonale sostenendo un esame finale». Questo significa che, una volta fuori dal carcere, «si può affrontare un apprendistato avendo già certificato questa parte. Una marcia in più – sottolinea – per trovare un datore di lavoro». Lo stesso discorso vale per le lingue. «Anni fa – prosegue – gli attestati passavano attraverso enti certificatori come Cambridge o Goethe per l’inglese e il tedesco, con però un onere economico importante da parte dei detenuti. Dallo scorso anno le certificazioni sono cantonali, e quindi spendibili sul territorio».

Per quanto concerne gli apprendistati, tutti gli esami e le certificazioni si tengono sul posto di lavoro, dunque all’interno delle strutture carcerarie, alla presenza dei periti esterni. Ed è un altro aspetto che richiede un’organizzazione puntuale. Beti fa qui l’esempio di un ragazzo che ha terminato a giugno l’apprendistato di aiuto cuoco: «Dovrebbe essere spostato in autunno allo Stampino (la sezione aperta del carcere penale, ndr) da dove dovrebbe riuscire a fare la pratica necessaria per poter sostenere tra un anno e mezzo gli esami per ottenere l’Afc, l’Attestato federale di capacità, di cuoco. Sarebbe una prima volta in Ticino». È vero, ammette la responsabile della Scuola InOltre, «si tratta di una sola persona che raggiungerà questo obiettivo nel giro di un anno e mezzo, ma resta un progetto importante, soprattutto perché spianerebbe la strada ad altre esperienze di questo tipo».

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Risocializzazione al centro

Tra le novità introdotte quest’anno, una delle più notevoli è il fatto che sull’intestazione di certificati e diplomi non figura più ‘Scuola InOltre’, bensì ‘Cpt Trevano’. «La consegna di questi attestati – osserva Beti – è sempre un bel momento, proprio perché si tratta di un riconoscimento che si può far valere anche all’esterno e che, da quest’anno, non porta più nessun segno di riconoscimento del fatto che il corso sia stato seguito in carcere». Un attestato di rivalsa, insomma: «Molti detenuti non sono scolarizzati o hanno avuto storie di insuccesso che li hanno portati fino al carcere. Il fatto di riscattarsi ottenendo un certificato è per loro una grande soddisfazione». Ed è anche per questo motivo che il progetto è considerato pionieristico: «Non si tratta solo di momenti di formazione, ma di un’offerta programmata da anni che permette di riempire le settimane dei detenuti». La sua peculiarità, evidenzia Beti, «risiede proprio nell’importanza di aiutare la risocializzazione di queste persone una volta scontata la pena. E quindi di prepararle al futuro». Di più. «In Svizzera il carcere ticinese è l’unico in cui un percorso formativo è così ben delineato e programmato».

Una criticità che ciclicamente porta le strutture carcerarie sulle pagine dei giornali è il sovraffollamento. Incide sull’offerta di queste formazioni? «Riusciamo a gestirlo, anche grazie a liste d’attesa – afferma Beti –. In carcere ci sono però delle uscite continue, quindi il ricambio è garantito. Sono poche le persone che seguono i corsi tutto l’anno. Ci sono un paio di detenuti che completano i moduli». I corsi non hanno poi un massimo di partecipanti, a stabilirne il numero è la capienza delle aule: «La maggior parte accoglie fino a dieci persone». La richiesta è inoltre elevata, in particolare per le lingue che sono tra le formazioni più gettonate.

Ti-Press‘In carcere ci sono delle uscite continue, quindi il ricambio è garantito’

Una ventina di insegnanti ogni anno

Non solo gli studenti, ma anche gli insegnanti. Come si diventa docenti all’interno delle carceri? «Bisogna partecipare – illustra Beti – al concorso cantonale. Nella formazione professionale l’abilitazione è svolta dopo avere ottenuto un incarico, quindi sono richiesti i titoli di studio per la materia da insegnare». Non essendoci una formazione specifica, a essere particolarmente importante è il colloquio che «ci permette di conoscere la persona e le sue attitudini». Per Beti, «bisogna entrare convinti, altrimenti il rischio è di vivere male l’insegnamento in carcere. Non avere nessun contatto con l’esterno per ore, assistere ad alcune situazioni, non è facile». Ogni anno sono circa una ventina i docenti che insegnano e, a detta della responsabile del progetto, «trovare candidati disponibili non è un problema. Le persone che si mettono a disposizione non mancano».

Ti-Press‘Non avere nessun contatto con l’esterno per ore, assistere ad alcune situazioni, non è facile’

La docente

‘L’impatto è forte, ma poi ci si abitua’

Dell’esperienza di insegnare in carcere parliamo con la coordinatrice della Scuola InOltre Lorenza Maggini, attualmente docente di italiano base per persone madrelingua straniera e di cultura generale. Maggini insegna nelle strutture carcerarie da circa cinque anni. E lo fa in parallelo alla docenza di cultura generale per adulti al Cpt di Trevano. Da dove nasce l’interesse di entrare in carcere per insegnare ai detenuti? «Mi sono sempre trovata bene nell’insegnare a pubblici, per così dire, ‘fragili’», dice Maggini. E spiega: «In passato ho insegnato a persone senza o con poche qualifiche, ma anche con problemi di analfabetismo». Certo, non nasconde, «ci vuole una certa vocazione per il sociale. È un insegnamento molto motivante, proprio perché per i detenuti è estremamente utile, ma anche molto impegnativo».

‘Sono solo allievi, non li vedo come detenuti’

Quello del carcere è indubbiamente un contesto particolare in cui insegnare. All’interno delle strutture carcerarie non sono infatti permessi dispositivi elettronici personali e non c’è connessione Internet. Insomma, durante le ore di lezione si è completamente isolati dal resto del mondo. «La prima volta che si entra in carcere – osserva in tal senso la docente – è un po’ toccante». Emblematico il ricordo principale di Maggini della sua prima visita: «Mi ricordo tutte queste porte che si chiudevano alle mie spalle. Rumore di ferro, rumore di chiavi. L’impatto è forte, ma poi ci si abitua». Prima di iniziare a insegnare presso le strutture carcerarie si partecipa a una mezza giornata informativa sulla sicurezza. Poi si inizia a lavorare. Com’è l’atmosfera in aula? «Alla Farera – illustra Maggini – è ovviamente più difficile. Trattandosi del carcere duro, dove i detenuti passano ventitré ore in cella, il clima è più teso. E questo soprattutto perché, un po’ per le condizioni di detenzione molto rigide, un po’ per lo stress generato dall’attesa della pena, la tensione non manca». Sempre alla Farera, prosegue Maggini, «i movimenti sono molto limitati. Anche solo se un detenuto deve andare in bagno, bisogna chiamare un agente di custodia». Alla Stampa, invece, «è diverso. I detenuti sono più autonomi nei movimenti, possono spostarsi sul piano dedicato alla scuola e uscire in cortile». Né alla Farera né alla Stampa ci sono agenti in aula. «Per le richieste tranquille – rileva la docente – o andiamo direttamente all’ufficio dell’agente o chiamiamo con il telefono interno. Per le situazioni più tese, ma a me non è mai successo, c’è un allarme in aula, un pulsante o una cordicella». Quando è a lezione, Maggini dice però di dimenticarsi «di essere in carcere. Per me sono allievi e basta, non li vedo come detenuti. Chiaramente l’allarme è una precauzione ed è un bene che ci sia».

Ti-Press‘Mi ricordo tutte queste porte che si chiudevano alle mie spalle. Rumore di ferro, rumore di chiavi. L’impatto è forte, ma poi ci si abitua’

Un salto nel passato

Diverse, inevitabilmente, anche le modalità di insegnamento. Una sorta di salto nel passato. «Si torna un po’ a insegnare come una volta, nel bene e nel male», afferma Maggini. «Da un lato gli allievi non sono distratti dai telefonini, dall’altro come docenti dobbiamo essere attenti a non dimenticare nulla fuori. Il materiale va preparato bene e prima, non possiamo uscire dall’aula a fare una fotocopia». Lo stesso vale per tutte quelle operazioni ormai considerate scontate, come cercare un’immagine o una cartina su Internet, ma anche la traduzione di una parola in un’altra lingua. «Dobbiamo arrangiarci con gli atlanti, i dizionari e i libri a disposizione, anche quando i detenuti devono fare delle ricerche». Ricerche che per Maggini sono «spesso più interessanti di quelle fatte fuori, proprio perché sono farina del loro sacco, senza copia-incolla». Per cultura generale è richiesto un certo livello di italiano, nei corsi di italiano base i detenuti parlano però diverse lingue, riuscite a capirvi, soprattutto pensando all’assenza di Internet? «Nei corsi di italiano uso molto le immagini. Se capita una parola di cui non ho una foto si cercano e si trovano sempre degli escamotage. Un po’ mi arrangio con il francese, il tedesco e l’inglese, e so anche un po’ di arabo. Inoltre, essendo classi molto eterogenee, mi faccio aiutare dagli altri studenti. Magari c’è una persona della stessa lingua madre, magari si salta di lingua in lingua finché ci si capisce. La maggior parte degli studenti sa comunque più di una lingua, quindi in un modo o nell’altro si riesce. Ci si aiuta molto tra di noi, ecco».

Ti-Press‘Dobbiamo arrangiarci con gli atlanti, i dizionari e i libri a disposizione, anche quando i detenuti devono fare delle ricerche’

Motivazioni e rapporti diversi

Diverse le modalità, diverso anche il rapporto con gli studenti. «I detenuti a cui insegno in carcere – sottolinea Maggini – sono spesso persone che per la prima volta riescono a ottenere una certificazione di qualche tipo. Spesso hanno un passato di abbandono scolastico, per cui per la loro autostima è una soddisfazione importante». Rispetto agli studenti con cui Maggini ha a che fare al Cpt di Trevano, la docente nota una motivazione differente. «In carcere è una scelta seguire i corsi, queste formazioni per i detenuti rappresentano di sovente un riscatto, una nuova opportunità. Ho sempre avuto delle belle esperienze e con gli studenti si instaura un bel rapporto, anche perché li vediamo più spesso degli assistenti sociali».

Fondamentale, per Maggini, proprio il fatto che grazie alla Scuola InOltre «i detenuti usino il tempo che devono passare in carcere per il proprio bene, dall’imparare o migliorare una lingua, all’acquisire nuove competenze, e addirittura fare dei passi importanti verso l’ottenimento di un Afc».

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