I rappresentanti dei lavoratori chiedono 1,3 milioni per 300 donne andate in prepensionamento e penalizzate dalla riforma Avs. Si decide a settembre
Non è solo ErreDiPi – la Rete per la difesa delle pensioni, nel Cda dell’Ipct con tre seggi sui cinque assegnati ai rappresentanti degli assicurati (gli altri cinque sono attribuiti ai rappresentanti dei datori di lavoro) – a chiedere al Consiglio di amministrazione dell’Istituto di previdenza del Cantone Ticino di compensare (con una spesa di 1,3 milioni di franchi) la riduzione della rendita che tocca circa 300 donne. Donne, affiliate all’istituto, nate fra il 1961 e il 1965, le quali, in seguito all’approvazione della riforma Avs, hanno smesso di ricevere il supplemento sostitutivo Avs dai 64 anni. “Bastano sei voti in Cda per decidere di colmare questa lacuna: i tre voti di ErreDiPi ci sono già”, ha scritto fra l’altro il portavoce della Rete nonché membro del Cda, di cui è vicepresidente, Enrico Quaresmini, in un contributo dal titolo “Una rendita ponte incompleta per le donne” apparso sulla ‘Regione’ il 29 luglio. Sulla stessa lunghezza d’onda di ErreDiPi, i sindacati Vpod, Ocst e Sit.
Anzi, è stata la Vpod – quest’ultima e la Cristiano Sociale sono nel Consiglio di amministrazione con due rappresentanti degli assicurati – ad aver sollevato per la prima volta pubblicamente, nel dicembre 2024, la questione. “Vpod, Ocst e Sit – si legge in una nota congiunta trasmessa una settimana fa ai rispettivi associati, ma che sembra destinata in particolare ai loro rappresentanti nel Cda dell’Ipct, cioè Adriano Merlini della Vpod e Fabiola Gnesa dell’Ocst – proseguono la battaglia a favore delle circa 300 assicurate presso l’Istituto di previdenza del Cantone Ticino che sono nate negli anni 1961-1965 e che sono andate in pensionamento anticipato entro fine 2023. Si ricorda infatti che, a seguito dell’accettazione in votazione popolare nell’autunno 2022 della riforma Avs 21 che ha progressivamente aumentato l’età di riferimento Avs per le donne di un anno, l’Ipct ha cessato di versare a questa generazione il supplemento sostitutivo Avs dai 64 anni”. Continua la nota: “A detta dell’Ipct, essendo stato adattato il Regolamento di previdenza con effetto al 1° gennaio 2024, il supplemento sostitutivo Avs potrà così essere riconosciuto soltanto alle donne prepensionate a partire da tale data”. I sindacati “rimarcano come questo mancato versamento disattende l’articolo 8 della Legge sull’Istituto di previdenza del Cantone Ticino, in base al quale il supplemento sostitutivo Avs avrebbe dovuto essere versato ai beneficiari di una pensione fintanto che non raggiungono l’età di riferimento Avs. Ciò configurerebbe inoltre una discriminazione basata sul sesso, dal momento che il supplemento sostitutivo Avs sarebbe versato a uomini nella stessa situazione fino a 65 anni (e non fino a 64 anni). Nel frattempo, dopo un approfondimento giuridico interno, i sindacati si sono formalmente rivolti al Consiglio di amministrazione dell’Ipct per correggere questa stortura (un finanziamento a posteriori del supplemento sostitutivo Avs costerebbe per il datore di lavoro circa 1,3 milioni di franchi)”. Concludono le tre sigle sindacali: “Ora, impegnandoci a dare seguito alla rivendicazione, auspichiamo che la maggioranza del Consiglio di amministrazione si adoperi per garantire un supplemento sostitutivo Avs a queste circa 300 assicurate presso l’Ipct”.
Afferma il segretario dei Sindacati indipendenti ticinesi (Sit) Mattia Bosco: «Ci sono due possibilità per affrontare la questione. O ci si rivolge ai tribunali, e abbiamo già pronta l’istanza, oppure, ed è la soluzione che ho suggerito, si chiede al Cda dell’Istituto di risolvere lui la situazione, riconoscendo appunto il supplemento sostitutivo. Penso che abbia margini di manovra su questo tema. Parliamo di 1,3 milioni di franchi! Che sono pochissima cosa rispetto ai quasi 5,5 miliardi di capitale della cassa pensioni. Queste circa trecento donne non hanno alcuna responsabilità, eppure oggi risultano penalizzate. Mi aspetto quindi che il Consiglio di amministrazione approvi l’operazione all’unanimità o quantomeno con il più ampio consenso possibile».
La prossima riunione del Consiglio di amministrazione dell’Ipct è agendata per venerdì mattina 5 settembre. Si delibererà? Pelin Kandemir Bordoli, tra i rappresentanti dei datori di lavoro nel Cda dell’Istituto di previdenza e già deputata socialista al Gran Consiglio, non si sbilancia: «Anzitutto è necessario e utile che ci siano tutte le informazioni, tutte le indicazioni del caso sul tavolo in modo che all’interno del Cda si possa decidere con cognizione di causa. E questo nell’interesse di tutti». Anche Adriano Merlini, unico rappresentante della Vpod all’interno del Consiglio di amministrazione, non va oltre le frasi di circostanza: «I sindacati hanno avuto recentemente un incontro costruttivo, durante il quale è stata presa una linea comune. Ora il tema passa sul tavolo del Cda, che ne discuterà nella riunione in programma a settembre».
Dal canto suo il direttore dell’Istituto di previdenza Daniele Rotanzi, da noi interpellato, osserva: «In base alla legge e al regolamento della cassa, questa prestazione è a carico dei dipendenti e dei datori di lavoro, e non dell’Ipct. Detto ciò, il Consiglio di amministrazione è sovrano, trattandosi di una sua competenza, e dunque libero di decidere in altro modo, per esempio l’erogazione di una prestazione straordinaria, tenendo comunque conto della situazione finanziaria della cassa».