L'avvocata Solcà: ‘Il sacerdote ha usato questi ragazzi fragili come oggetti per soddisfare le sue pulsioni sessuali’. La difesa chiede la scarcerazione
«Don Leo è stato egocentrico, manipolatorio e finto paterno. Ha usato questi ragazzi fragili, entrati in contatto con lui come degli oggetti per soddisfare le sue pulsioni sessuali». Così riassume il profilo di don Leo l’avvocato Claudia Solcà, che tutela due vittime. Una è l’uomo che, avendo subìto per anni le attenzioni morbose di don Leo culminate con una masturbazione, ha denunciato, con grande coraggio, il sacerdote. Non una, ma due volte. Lo ha fatto quando ha capito che non era l’unica vittima. Per la vittima don Leo era come un padre.
Nella sua arringa la legale riassume quindi i fatti. La prima segnalazione è avvenuta nel 2020 al vescovo Valerio Lazzeri. Davanti al vescovo, don Leo avrebbe ammesso di aver sbagliato, assicurando che era un caso solo e isolato («Non era così», sostiene Solcà). Dopo aver promesso Lazzeri di interrompere quella intimità e iniziare una psicoterapia, don Leo ha comunque potuto mantenere, come nulla fosse, tutte le sue cariche ecclesiastiche e compiti educativi. Sempre a contatto con minorenni. La seconda segnalazione è scattata nel 2021, quando la vittima scopre che don Leo continuava coi suoi massaggi rilassanti. A confidarglielo è il figlioccio. Insomma, nulla era cambiato.
È il marzo 2024 quando la vittima si reca di nuovo in Diocesi, la cui guida è nel frattempo passata all'amministratore apostolico Alain de Raemy, per segnalare don Leo. C’è voluto coraggio, sottolinea Solcà: «Lo ha fatto sacrificando la sua serenità, rischiando il suo lavoro, lo ha fatto quando ha capito di non essere l’unica vittima. Voleva proteggere altri ragazzi. Cosi ha deciso di affrontare il Drago». Cioè don Leo. Un Drago, dice Solcà, manipolatorio, che ha tentato di sminuire in ogni modo quanto ha fatto, giustificandosi con l’influenza del male, col fatto che nessuna vittima lo aveva respinto, raccontando bugie anche al vescovo. Continua Solcà: «Quando ha invitato il mio assistito a togliersi il pigiama per i massaggi rilassanti c’era una spiegazione spirituale. Era un esercizio di spogliazione, di distacco alle cose, legato a San Francesco. Una sorta di prova di obbedienza per la vittima che studiava teologia a Losanna e vedeva nel sacerdote un padre. Se non avessi accettato, ha confidato la vittima agli inquirenti, avrei dimostrato che non avevo fiducia in lui».
Il difensore di don Leo, l’avvocato Marco Masoni, chiede una massiccia riduzione della pena proposta dall’accusa. Da cinque anni e mezzo a «trentasei mesi». Tre anni. Una pena, aggiunge Masoni, «parzialmente sospesa». Non solo. Per il legale «il periodo da espiare non deve superare la durata del carcere fin qui patito». Ciò che significherebbe la scarcerazione del sacerdote al termine del processo.
I fatti imputati al religioso «sono sicuramente gravi e odiosi», ma nel frattempo don Leo «ha avuto modo di riflettere su quanto commesso, facendo ammenda», afferma l’avvocato. L’atto d’accusa «è contestato solo in parte». E, chiarisce il legale, «non si contesta la qualifica giuridica e la gravità dei fatti, ma si vuole precisare il numero degli stessi». Masoni ha quindi chiesto il proscioglimento del proprio assistito per alcuni episodi addebitatigli dalla pp Tuoni.
È allora sulla commisurazione della pena («il fulcro di questo processo») che si concentra l'avvocato Masoni. Il «ravvedimento» di don Leo e dunque la «consapevolezza» del dolore inferto alle vittime e «l'intenzione di risarcirle»; l’incensuratezza del sacerdote; il fatto che, oltre a quello penale, debba affrontare il processo «mediatico» («sommario e implacabile») e il processo previsto dal diritto canonico, il fatto di essersi attivato prima della perizia giudiziaria per seguire un percorso terapeutico «che sa essere lungo e doloroso, ma necessario affinché non si ripetano mai più certi comportamenti»: sono tra i motivi invocati dalla difesa a giustificazione di un consistente ridimensionamento della pena chiesta dalla pp. Senza dimenticare «l'adozione all'epoca di strategie che sicuramente non hanno agevolato l’interruzione della funesta dinamica delinquenziale». Detto altrimenti: don Leo poteva essere fermato prima?
Si attende ora la sentenza, annunciata dal presidente della Corte Amos Pagnamenta per le 18.
«Chiedo perdono, provando vergogna. Ho tradito me stesso, la mia vocazione. Ho tradito dei giovani. Mi assumo la responsabilità di quanto accaduto», così don Leo prima della camera di consiglio.