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Sanità lombarda, numeri di una crisi strutturale

L'indagine della Uil sul personale sanitario, fra cessazioni volontarie e dimissioni per andare a lavorare in Ticino

Operatori sanitari
(Ti-Press)
15 agosto 2025
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Gli addii alla sanità pubblica lombarda continuano a un ritmo sempre più allarmante, tanto che molti osservatori parlano di desertificazione. Una realtà che certamente non rappresenta una novità. Solo che negli ultimi quindici anni ha conosciuto una accelerazione senza precedenti. Ed è molto avvertita in questo periodo estivo: per consentire le ferie del personale sanitario gli ospedali hanno ridotto i servizi.

In questi giorni la Uil Lombardia ha presentato il rapporto ‘Evoluzione del Personale del Servizio sanitario regionale, nelle Province lombarde, 2011–2023’. Si tratta di una indagine, basata sui dati ufficiali del Conto Annuale della Ragioneria Generale dello Stato e fotografa una crisi strutturale che colpisce in modo trasversale il personale sanitario pubblico della Lombardia. Il rapporto che è intitolato ‘Sanità pubblica: tutelare chi cura, per tutelare tutti’ elenca dati allarmanti: +416% in 12 anni le cessazioni volontarie e le dimissioni non per pensionamento che passano dalle 751 nel 2011 alle 3'880 nel 2023 con aumenti superiori al 700% in alcune province, come quelle pedemontane di Como e Varese, chiamate a confrontarsi con la fuga di personale sanitario (medici e infermieri) in Canton Ticino.

La nuova tassazione non frena la fuga

La nuova fiscalità dei frontalieri che prevede tasse più salate per i neoassunti (la norma è in vigore dal 1° gennaio 2024) contrariamente alle previsioni non ha frenato la fuga in Ticino. I dati poc'anzi elencati sono interpretati come una vera e propria desertificazione dei servizi che in molte realtà, specie nelle aree periferiche e montane, porta a chiusura di interi reparti per la mancanza di personale e accresce la difficoltà di reclutare e trattenere operatori sanitari. L'indagine del sindacato sottolinea come anche la composizione di genere lascia sconcertati con una presenza fortemente femminile (oltre il 70% del personale) e il part-time che viene considerato un’opzione ancora troppo poco diffusa, nonostante la normativa consenta il 25% di contratti ridotti. Tutti questi aspetti conducono da un lato a un saldo occupazionale completamente negativo: la Lombardia ha perso personale strutturale in quasi tutte le province, a eccezione di Milano e pochi altri territori e dall’altro a retribuzioni che crescono troppo lentamente rispetto all’inflazione: dal 2011 al 2023 l’aumento medio annuo è stato dell’1,2%, mentre il costo della vita è aumentato di molto di più.

L’erosione del potere d’acquisto alimenta l’insoddisfazione e la fuga verso il Canton Ticino e il settore privato. ‘’ll rischio di un collasso organizzativo – sottolinea Salvatore Monteduro, Segretario Confederale Uil Lombardia – è reale e riguarda l’intero sistema sanitario pubblico lombardo, senza distinzioni tra province o territori. La fuga di personale, la crescita delle dimissioni volontarie, l’erosione del potere d’acquisto e la difficoltà di conciliare vita e lavoro sono problemi trasversali che minacciano la qualità e l’universalità delle cure per tutti i cittadini lombardi. È necessario e urgente mettere in atto piani straordinari di assunzione e retention soprattutto nelle province più in crisi dare valorizzazione della contrattazione di secondo livello, aprire una nuova stagione di rinnovi contrattuali che recuperi l’inflazione e attuare politiche di welfare organizzativo e sostegno alla conciliazione, a partire dall’estensione reale del part-time. Non c’è più tempo per misure tampone: il futuro della sanità pubblica e del diritto alla salute in Lombardia si gioca adesso. Tutelare chi cura, per tutelare tutti. Servono piani di assunzioni, nuovi contratti che recuperino l'inflazione, contrattazione di secondo livello e welfare organizzativo e azienda. Al contrario la sanità lombarda è a un passo dal collasso organizzativo‘’.

La crisi della sanità pubblica in Lombardia trova conferma anche nel fatto che oltre 300mila lombardi si ritrovano oggi senza il medico di famiglia. Quasi due residenti su 60 sono esclusi dal diritto fondamentale della sanità territoriale, intesa come prevenzione e successivo accesso alle cure a cui non rimane che rivolgersi ai pronto soccorso, quando una visita medica potrebbe fare da filtro all'accesso delle strutture sanitarie. A certificare l'affanno in cui si trova la sanità lombarda contribuiscono alcuni dati (la fonte è Regione Lombardia): nel 2019, l'anno prima del Covid, i medici di base (meglio conosciuti come medici di famiglia o della mutua) lombardi erano 5'994. A fine giugno 2025 se ne contavano 5'429. Quasi 600 in meno (oltre il 10%) in cinque anni. C'è da aggiungere che nello stesso periodo sono calati anche i pediatri in libera scelta – altra componente determinante della sanità pubblica, specie in termine di prevenzione, essendo passati da 1'164 a 1'054. Tutto questo per via di pensionamenti o cessazioni anticipate (anche i medici di famiglia scappano in Ticino). Meno medici, per chi resta, significa più pazienti a testa di cui doversi occupare ogni giorno. In Lombardia il rapporto tra medici di famiglia e cittadini assistibili è schizzato da uno ogni 1'389 a fine 2019 a uno ogni 1'604 nel primo semestre di quest'anno. Quel che maggiormente impressiona è che il 71% dei medici di famiglia ha in carico oltre 1'500 pazienti. Un impegno di cura che grava prevalentemente su una generazione di medici sempre più anziana: oltre il 50% si è laureato più di 30 anni fa. Oltre 600 quelli laureati prima del 1980. Medici che restano in trincea per non abbandonare i loro pazienti.