Caso don Leo, il direttore di Pro Juventute Ilario Lodi: ‘Sarebbe un messaggio devastante’. L'ex poliziotto Galusero: ‘Scandalosa e incomprensibile’
«Se anche l’entità della pena ha un effetto dissuasivo nei confronti di potenziali autori di reati, beh quella che è stata inflitta dalla Corte – di gran lunga più bassa della pena chiesta dall’accusa, che ha condotto le indagini – non può che sorprendere. Non vorrei che questo scoraggiasse le vittime a denunciare. Il rischio c'è. E sarebbe un messaggio devastante. Sarà ora importante leggere le motivazioni scritte della sentenza», afferma, interpellato dalla ‘Regione’, il direttore di Pro Juventute Svizzera italiana Ilario Lodi. Osserva a sua volta Myriam Caranzano, medico e presidente del Gava, il Gruppo di ascolto per vittime di abusi in ambito religioso: «Ovviamente la discrepanza tra la richiesta di pena del Ministero pubblico e la sentenza emanata dal giudice sorprende. Uscendo da reazioni dettate dalle emozioni, in particolare dalla rabbia, è importante che la pena inflitta sia stabilita secondo un metro equo per chiunque abbia commesso questi reati. Sul piano umano – aggiunge Caranzano, già direttrice dell’Aspi, la Fondazione ticinese per l’aiuto, il sostegno e la protezione dell’infanzia, ed esperta a livello internazionale di prevenzione della violenza e dell’abuso sui minori – non esiste una pena che possa essere adeguata. Sul piano giuridico, invitiamo a fidarsi del nostro sistema giudiziario. E dei suoi vari gradi di giudizio».
Continua a suscitare perplessità e interrogativi il mite verdetto pronunciato giovedì a Lugano dalla Corte delle Assise criminali, presieduta dal giudice Amos Pagnamenta, nei riguardi di don Rolando Leo, il 56enne sacerdote ticinese, ex cappellano del Collegio Papio di Ascona, già responsabile dell’Ufficio insegnamento religioso scolastico e già attivo nella Pastorale giovanile, chiamato a rispondere di reati sessuali. Quattro minorenni e cinque maggiorenni le presunte vittime all’epoca dei fatti (tra il 2015 e il 2024). I massaggi al petto praticati dal religioso, il cui avambraccio ‘scivolava’ però sui genitali dei giovani, per eccitarli e masturbarli, secondo gli inquirenti. Fatti gravi, è stato ribadito durante il dibattimento in aula penale. Tuttavia, il religioso è stato condannato a diciotto mesi, sospesi con la condizionale (di due anni il periodo di prova). Una pena nettamente inferiore a quella proposta – cinque anni e sei mesi – dalla procuratrice pubblica Valentina Tuoni, che durante la requisitoria aveva definito don Leo «spregiudicato e affetto da un senso di impunità». Arrestato il 7 agosto del 2024 e in espiazione anticipata dal 15 novembre, il sacerdote, tenuto conto del periodo trascorso dietro le sbarre, è stato così scarcerato. Giudici e assessori giurati hanno ridimensionato l’atto d’accusa e di conseguenza la pena chiesta da Tuoni, ritenuta dalla Corte «fuori scala» (la pp è comunque intenzionata a impugnare in Appello la sentenza di primo grado). Il presbitero è stato riconosciuto colpevole in relazione a quattro episodi per l’imputazione di atti sessuali con fanciulli, a tre episodi per quella di coazione sessuale e a uno per l’imputazione di atti sessuali con persone incapaci di discernimento o inette a resistere. Caduta la pornografia. Nella commisurazione della pena la Corte ha tenuto conto anche del «sincero pentimento» e della «collaborazione» del 56enne. Don Leo è stato condannato a risarcire le vittime. Dovrà seguire un percorso terapeutico e gli è stato proibito di svolgere attività a contatto con i giovani.
Ma sono quei diciotto mesi al beneficio della condizionale, con conseguente scarcerazione, che fanno discutere. La pena inflitta al sacerdote è addirittura più lieve di quella chiesta dal difensore: l’avvocato Marco Masoni proponeva infatti trentasei mesi. «La ritengo una pena scandalosa e assai poco rispettosa delle vittime, e al cittadino comune del tutto incomprensibile, essendo decisamente inferiore alla richiesta dell’accusa, ma anche a quella della difesa», sostiene perentorio Giorgio Galusero, già deputato del Plr ed ex ufficiale della Polizia cantonale. «Una pena ridicola», ha scritto su Fb il presidente e granconsigliere del Centro Fiorenzo Dadò.
Riprende Ilario Lodi: «La fiducia che un giovane ripone negli adulti, in generale, è di un’importanza tale da non poter mai e poi mai essere anche solo minimamente scalfita. Significa affidare ad altri una parte del proprio sé – in questo caso, poi, una parte della propria intimità – poiché forse ancora non la si conosce o magari perché essa è fonte di inquietudine». Quando questa fiducia, annota ancora il direttore di Pro Juventute, «viene disattesa o, addirittura
tradita, la vittima – oltre che a ritrovarsi in una situazione particolare davvero grave nei confronti della quale è molto difficile riuscire a fare i conti – si ritrova a essere sola al mondo, poiché viene a cadere uno dei fondamenti, forse il più importante, che dovrebbe stare alla base di qualsiasi rapporto che lega un giovane con tutti gli adulti. È proprio sulla base di questa fiducia che un giovane muove, sorretto dalla guida paziente, forte e rassicurante dell’adulto, i suoi primi, magari anche timidi e incerti passi nella vita. Questa fiducia è lì poiché il giovane necessita di sicurezza, conforto e sprone per mettere in campo il coraggio necessario per imparare a vivere in autonomia e per poi apprendere a vivere con gli altri. La fiducia è quindi, detto altrimenti, necessaria al giovane stesso per potersi reggere in piedi e per poter acquisire quella solidità e quella certezza nei propri mezzi che ancora non ha – è proprio questo il significato di un atto di fiducia –, maturando pian piano la convinzione che tutti coloro che incontrerà, nonostante tutto, dovrebbero giocare la partita della vita obbedendo alle stesse regole». Conclude Lodi: «Quello che mi chiedo, allora, è in che modo, e fino a che punto, il nostro ordinamento giuridico considera grave quanto è accaduto sotto questo punto di vista? E se sì, in quale misura sul piano delle pene da comminare?».