Da mesi è al lavoro una squadra di restauratori. L’obiettivo è restituire all’affresco lo splendore di un tempo. L’investimento costa 1 milione di franchi
I banchi, solitamente animati dal vociare dei parlamentari richiamati all’ordine dal suono della campanella, sono ricoperti da grandi teli bianchi. Anche il podio riservato all’Ufficio presidenziale e ai membri del Consiglio di Stato è completamente nascosto da plastiche protettive. Qualche metro più in alto, a ridosso del soffitto alto oltre sette metri, una gigantesca impalcatura. È come si presenta la sala del Gran Consiglio in questo momento, dove si stanno per concludere i lavori di restauro, durati tre mesi, del grande affresco sul soffitto. Lavori resi necessari dallo stato di deterioramento del dipinto vecchio di oltre cento anni che hanno obbligato, negli ultimi anni, a installare una rete protettiva per evitare la caduta di parte del soffitto.
Per raggiungere il soffitto dove lavorano i restauratori si deve salire una stretta scala di metallo. «Ci troviamo sull’impalcatura della sala del Gran Consiglio per sistemare l’affresco che ha più di cent’anni – spiega Athos Berta della Sezione della logistica cantonale presentando il ‘cantiere’ alla stampa –. Tre anni fa abbiamo constatato dei distacchi e ci siamo assicurati di mettere subito la zona in sicurezza. In seguito è stata fatta un’analisi della struttura per cercare di capirne lo stato constatando che era necessario fare un intervento di risanamento». Importante è anche monitorare le condizioni climatiche «questo perché il legno è molto delicato e dobbiamo avere cura dell’affresco, ma al contempo sotto ci sono anche i parlamentari che lavorano: per soddisfare le due necessità abbiamo cambiato la climatizzazione. L’ultima e più importante tappa è stata quella del restauro dell’affresco», sottolinea Berta. Nel complesso tutto l’intervento è costato un milione di franchi, in buona parte destinato alla sostituzione dell’impianto di ventilazione.
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«Il palazzo delle Orsoline ha origini settecentesche e dopo la soppressione dell’omonimo convento è stato ristrutturato – afferma Lara Calderari, ricercatrice dell’Ufficio dei beni culturali del Cantone Ticino –. In particolare l’aula in cui ci troviamo, la sala del Gran Consiglio, ha subito diversi interventi nel corso dell’ultimo secolo». Sul soffitto, l’affresco di Adelchi Maina (1876-1939) ‘Allegoria’ concluso nel 1899. Tema del dipinto il motto del Cantone: ‘Tutti per uno, uno per tutti’.
La ricercatrice spiega anche perché è stato necessario il coinvolgimento dell’Ufficio dei beni culturali: «L’operazione è molto complessa e prevede coordinamenti tra specialisti e settore della logistica cantonale. Questo perché il monumento è un bene protetto a livello locale, ma è anche proprietà dello Stato». Come già accennato da Berta, anche Calderari sottolinea che «constatati i problemi del dipinto e della volta, si è proceduto a una serie di verifiche con ingegneri, restauratori e istituti riconosciuti». Preservare il dipinto è di fondamentale importanza per «l’identità cantonale» proprio poiché rappresenta l’allegoria del Canton Ticino. «L’ultima fase di questo restauro sarà quella di ragionare su una nuova illuminazione che possa servire agli scopi di quest’aula. Stiamo studiando un sistema che può adattarsi a vari scenari, variabile a dipendenza delle occasioni, che possono spaziare tra esigenze televisive o politiche, eventi o cerimonie». Il lavoro iniziato a giugno, subito dopo l'ultima seduta di Gran Consiglio, dovrebbe terminare a settembre poco prima della ripresa dei lavori parlamentari ordinari. La seduta straordinaria prevista lunedì, come noto, si terrà a Palazzo dei Congressi a Lugano.
«La manutenzione è un fattore molto importante – tiene a sottolineare Calderari – venticinque anni fa è stato fatto un restauro, ora si è reso necessario farne un altro perché le condizioni climatiche nel frattempo non sono state favorevoli. È dunque importante sorvegliare l’affresco e non dimenticare di fare manutenzione, anche se è chiaro, la manutenzione può solo procrastinare un altro intervento di restauro. Però, prendendosene cura, per i prossimi cinquant’anni il buono stato dell’affresco dovrebbe essere garantito».
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A spiegare nel dettaglio gli interventi è la restauratrice Francesca Reichlin: «Grazie allo studio che è stato condotto in passato noi restauratori abbiamo potuto comprendere quali sono i materiali utilizzati dall’artista e di conseguenza scegliere quelli più opportuni per il nostro intervento». E aggiunge: «A livello conservativo la volta presentava un quadro fessurativo, ovvero con diverse fessure, molto esteso con anche delle porzioni molto distaccate. Questo è in parte dovuto a traumi avvenuti in passato. In maniera minuziosa siamo riusciti a sistemare tutte le fessure con materiali congrui a quelli originali». Un lavoro importante è anche stato fatto per le parti più distaccate. «Ci siamo anche recati nel sottotetto per andare a stabilizzarle. Rappresentavano un punto di fragilità della pittura», racconta Reichlin.
A occuparsi del restauro è una squadra di sei persone. «È un grande lavoro di squadra – sottolinea Reichlin – nel quale ci si scambia opinioni. Quella del restauratore è una professione molto affascinante perché si può stare a stretto contatto con opere che rappresentano il nostro patrimonio culturale». A proposito delle difficoltà maggiori, «in questo caso parliamo di problematiche che accompagnano tutto il pacchetto dell’opera d’arte, quindi sia il supporto ligneo, che l’intonaco e la pellicola pittorica. Fortunatamente nelle zone con dei volti o delle raffigurazioni più complicate non abbiamo riscontrato particolari difficoltà». E per quanto riguarda i materiali?. «Ci sono sia prodotti tradizionali che moderni. Alcuni invecchiano in maniera differente, noi dovevamo pensare non solo all’aspetto estetico ma anche a lungo termine. Spesso cerchiamo di avvicinarci alla tecnica utilizzata dall’artista, anche se è vero che in passato a volte si utilizzavano dei pigmenti che oggi non sono più sul mercato».
Attività di restauro impegnativa anche da un punto di vista fisico, con gi addetti obbligati a lavorare in piedi e con le braccia rivolte verso l'alto. «Sì, a volte si ha un’immagine molto romantica del restauratore come un artista che va al lavoro e si rilassa. In verità è una professione multidisciplinare, perché il restauratore non deve solo avere manualità raffinata, deve anche conoscere la fisica, la chimica, la biologia e i materiali. In alcuni casi, dato che anche noi ci dobbiamo adattare al ‘paziente’, ovvero l'opera, troviamo la posizione giusta per intervenire, a volte abbiamo situazioni facili, altre possiamo anche aiutarci con degli sgabelli», racconta la restauratrice.
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