Tutto è così old style in Simona Molinari, sin dall'esordio sanremese di “Egocentrica”, anno 2009, dichiarazione d'intenti di un jazz/pop piaciuto da subito, maturato nel pieno rispetto delle regole – anch'esse old style – della vecchia discografia, che in un tempo non lontanissimo attendeva con pazienza (dandosi da fare) la consacrazione del proprio artista. Un'attesa necessaria, affinché la giovane promessa non sparisse al primo vagito di popolarità, facendosi dimenticare. E' dolcemente old style, Simona – ancor più dolcemente per una felice maternità – anche nei contenuti del suo lavoro più recente, “Casa mia”, songbook che raccoglie standard di epoche lontane, con “Smoke gets in your eyes” a fare da apripista, “Ev'ry time we say goodbye” a chiudere, e in mezzo “Bewitched”, “Dream a little dream of me”, “Puttin' on the Ritz” e una manciata di altri “classiconi” impreziositi dagli arrangiamenti della Roma Sinfonietta, l'orchestra di Ennio Morricone. “Special” femminile dell'edizione 2016, Simona porta un po' di casa sua anche a Jazz Ascona, sul palco Jazz Club Casinò giovedì 30 giugno alle ore 21.00, in quello che per l'interprete italiana rappresenta, dal vivo, un vero e proprio esordio svizzero...
Come sarà questa 'prima volta'?
Sarà sicuramente all'insegna di “Casa mia”, ma porterò anche qualcosa dai quattro dischi precedenti. Ho selezionato due canzoni da ognuno di essi. Farò anche un omaggio a Ennio Morricone, con la mia band di grandi professionisti, e per un'occasione come questa non poteva mancare il quartetto d'archi...
Un cenno a “Casa mia”. Com'è nato questo disco, e come hai scelto le tracce?
E' nato dalla mia collezione di vinili. Dovevo scegliere dieci canzoni, tra una quantità enorme di brani, così ho pensato già alla scaletta di un mio futuro concerto. Non è stato per niente facile, se ci metti anche che prima di decidere la lista definitiva, per ognuno di quei capolavori ho cercato di ascoltare tutte le versioni esistenti, per capirne la resa applicata al mio modo di cantare, e sentire se davvero potevo farle tutte mie.
Sarà rimasto fuori qualcosa. È ipotizzabile un “Casa mia – parte seconda”?
Sì, effettivamente il materiale non mancherebbe...
Qualcuno sostiene che c'è tanto ascoltare nel passato che nella vita non ci sarebbe tempo per ascoltare dischi nuovi. E tu, ascolti musica nuova?
Non nascondo che sono molto proiettata nel passato anche io, perché ci sarebbe ancora tanto da recuperare. Non mi dispiacerebbe avere ascoltato tutto, ma non è possibile. Però c'è un disco nuovo che mi è piaciuto tanto, ed è quello di Melody Gardot.
L'hai definita “la cosa più sacra e mistica del mondo”: cosa succede ad un'artista quando diventa mamma?
Prima che arrivasse mia figlia credo di essere stata molto più totalizzante, non vedevo altro che la musica. Anita adesso si è presa un ruolo gigantesco, e qualunque cosa accada, per quanto importante sia, deve tener conto di questa personcina da curare, che sta costantemente nella mia testa, nel mio cuore e probabilmente anche nella mia prossima musica.
Jazz Ascona è l'antitesi del Blue Note. Come si gestiscono i bagni di folla e gli spazi chiusi?
L'intimità di un luogo come il Blue Note è impagabile, perché si instaura un rapporto personale con il pubblico. Quanto a situazioni come Jazz Ascona, che mi dicono essere esplosiva, mi caricano di molta più energia, che è poi quella che cercherò di rendere, tale e quale se non più grande, a chi verrà ad ascoltare.
New Orleans ha una certa affinità con l'Aquila, città dalla quale è partito questo tour. Come vedi, oggi, quella che è anche la tua città?
La sento sempre un po' casa mia. Vedo che sta riprendendo forma, anche se tutto sta accadendo ancora molto lentamente. Temo che quando tutti i lavori di ricostruzione saranno ultimati, forse ne verrà fuori una città nuova, che non sarà quella che ho conosciuto io. Ma il legame è così forte, che durerà, qualunque faccia quella città dovesse avere in futuro.