‘Biospia e facezie 2024’ è la mostra che si apre mercoledì allo Spazio espositivo La Cornice di Lugano, per restarvi sino al prossimo 5 aprile
Sono stato quattro mesi fa a trovare Renzo nel suo atelier di Cadro, assieme a un’editrice romanda, con la quale stiamo ambedue collaborando per un libro d’arte. Il tempo era d’autunno e il sole splendeva, a rallegrare la nostra ospite, che metteva piede per la prima volta nella campagna luganese – se campagna si può ancora chiamare: una presenza vegetale che spesso, nelle opere del primo periodo milanese dell’artista è stata al centro del suo operare, come richiamo ancestrale. Poi, nel seguito della sua storia artistica, come sappiamo ha prevalso la realtà della metropoli lombarda. Finché, rientrato al paese spinoso – Cadro è anagramma di cardo –, la campagna è ancora tornata a parlargli, ma con voce alterata dal degrado. È allora che è nato il Barakon. Il termine, scanzonato, è significativo del suo modo di intendere l’arte. E il mio amico pittore, con il Borsalino rosso in testa, dev’essere apparso un po’ zingaresco agli occhi della compassata, silenziosa, pallida, editrice: che sembrava sorpresa dalla vitalità dell’artista, quasi un ragazzo, il quale andava mostrando le sue opere di piccolo formato.
Prendeva vita, nell’atelier barakonato, l’immaginario scatenato di Renzo: che talvolta, dice Marta Silenzi, è prodotto da un “indiavolato lavorio mentale”. L’ospite romanda taceva, impressionata da quelle figurazioni multicolori. Perché Renzo – lo conosciamo da tempo – ogni volta sorprende: non sempre è “diabolico”, può essere anche delicato.
Collezione Masi, Lugano
Interno Braun, 1961, collage e olio su tela, 53,8 x 70 cm
Il suo Barakon è un palcoscenico di teatro, dove lo stregone mette in scena la figura umana, spesso declinata in chiave grottesca o drammatica o giocosa (vedi, per esempio certi giochi di parole, anche straniere, incastonate nelle pitture). La guerra, la pandemia, la cronaca sono al centro della sua attenzione: perché il reale non cessa di colpire la sua immaginazione. Ogni giorno. Il ragazzo accende la tv e resta sconcertato. Ferrari è un pittore “di condizione”, come si diceva una volta. Le sue antenne sensibili captano le trasformazioni sociali, le sofferenze, le follie di uomini e donne, le rivoluzioni tecnologiche. Ma, attenzione, la sua non è una pittura illustrativa, bensì, appunto, di una condizione umana consapevole del nostro presente. E resa con colori forti, condita di umori, di partecipazione emotiva. La freddezza non è certo la cifra che contraddistingue il nostro artista, sulla breccia già da molti anni.
La figura umana, così spesso messa al centro del palcoscenico, è partecipe, spesso, del regno animale e vegetale: come nell’opera del già lontano 11 marzo del 2005, riprodotta in catalogo, dove un brano verde squilla sullo sfondo dove spicca il becco giallo di un uccello, accanto a una congerie di oggetti sopra quella che sembra una figura umana. Guardando quest’immagine non si può fare a meno di pensare ai classici del Novecento, tra colori espressionisti e scomposizioni spaziali. L’artista nel suo lavoro, coscientemente o no, si rifà sempre a qualcuno che è venuto prima di lui: nessuno nasce artista. L’arte non fiorisce su terreno vergine, ma su praterie ben concimate. Il pittore prende da maestri del passato, per generare creature originali, se tutto va bene.
Negli acquerelli in mostra alla Cornice vediamo Figure sospese, Mandragole e Cardi, allusioni alla cronaca crudele (‘Medusa Israel’, ‘Welcome to Hell’, ‘Gaza Caos’, ‘Paura’), motivi di natura in dialogo con la società tecnologica, note apocalittiche (‘Armageddon’): acquerelli freschi, energici, miracolosi.
Renzo Ferrari è uno che cammina con la mente. Come afferma egli stesso in ‘Biospia e Facezie/2024’ (il catalogo pubblicato dalle edizioni Zedia in occasione della mostra), è un “esploratore mentale dell’ubiquità del mondo”. In quella che è stata definita la “società liquida” (Zygmunt Bauman), ha capito che l’arte può salvarci dal caos, dall’annegare in acque torbide. Fra gli autori che cita nella lunga intervista pubblicata ho ritenuto tre nomi: Carver, Céline, Dostoevskji. Lo scrittore statunitense per la poetica del disagio quotidiano, il francese per la violenza espressiva, il russo per il fondo tormentato. Ma poi il nostro pittore ha qualcosa che ha solo lui: ed è per questo che è un artista autentico.
Land Zeta 2024 olio su tela 29x30cm