Un maestro del simbolismo, un ticinese da ‘rivendicare’ e le prove di un’affinità artistica, oltre che umana, in mostra da domenica al Masi sede Lac
“Questa mostra era nella mia lista di cose da fare quando sono arrivato qui”. Il ‘Sodalizio artistico’ tra Ferdinand Hodler (1853-1918) e Filippo Franzoni (1857-1911), dal 13 aprile al 10 agosto al Masi sede Lac, deve dunque risalire indicativamente al primo gennaio 2018, data della nomina di Tobia Bezzola a direttore del Museo d’arte della Svizzera italiana. È con le parole di cui sopra che Bezzola sottolinea l’importanza di una mostra che celebra affinità, legame e amicizia tra due figure decisive dell’arte svizzera tra l’Ottocento e il Novecento: l’uno – Hodler, nato a Berna – internazionalmente riconosciuto come uno dei maestri del simbolismo e l’altro – Franzoni, nato a Locarno – ancora poco noto oltre i confini ticinesi. “Eppure dovrebbe esserlo, almeno quanto Giovanni Giacometti o Cuno Amiet”, una ‘rivendicazione’ che Bezzola giustifica anche con la considerazione che il pittore ticinese godeva da parte dell’omologo, stima che andava oltre l’arte.
La mostra curata da Cristina Sonderegger è un insieme di divergenze e convergenze che come onde sonore rimbalzano tra pareti opposte e trovano frequenze comuni al centro di ogni sala, dopo l’emissione da parete a parete, da gesto a gesto, da vissuto a vissuto. Mai tanto divergente è l’iniziale percorso di vita dei due artisti: da una parte il Franzoni di famiglia borghese che si forma a Brera e le cui prime prove sono legate all’ambiente lombardo; dall’altra l’Hodler di famiglia modesta, orfano di genitori e fratelli quand’è ancora adolescente, formatosi a Ginevra nel solco della tradizione paesaggistica che è propria di quella città, dapprima copiando opere dei maestri ginevrini Alexandre Calme e François Diday (tentativi esposti in mostra). Ginevra, nello specifico, è teatro di uno dei molteplici incroci dei due nella nascente scena svizzera, aventi come elemento comune l’interpretazione del paesaggio: il Lago Lemano e le Alpi svizzere nel caso di Hodler, il Lago Maggiore e il Locarnese nel caso di Franzoni.
Rappresentativi di quattro decenni di attività, gli ottanta dipinti esposti al Masi sono testimonianza dell’evoluzione dei due artisti così come del togliersi di dosso la polvere accademica, per mostrare – parole di Hodler dal catalogo della mostra – “un’opera che corrisponde alla sua (dell’artista, ndr) esperienza, al suo cuore, alla sua mente”.
Kunsthaus Zürich
Ferdinand Hodler, Am Ufer der Maggia am Abend, 1893, olio su tela
Le opere in mostra coprono l’intervallo tra il 1870, anno al quale viene ricondotto l’inizio delle attività di Hodler, e il 1911, anno della morte di Franzoni. È questo l’arco di tempo in cui si realizza lo scambio culturale tra i due, inserito nel più generale confronto in atto tra le diverse regioni linguistiche del Paese. Diviso in cinque capitoli e relativa sala, il sodalizio trova pieno compimento nel quarto spazio, con Hodler a dipingere il delta della Maggia e altri panorami ticinesi nel 1893, dopo l’incontro con Franzoni nella di lui terra d’origine, ritratta in particolare tra la foce della Maggia, il Lago di Locarno e la campagna di Solduno: gli studiosi vedono in ‘Am Ufer der Maggia am Abend’, realizzato in quell’anno e intriso di parallelismo, il punto di partenza di tutta l’attenzione che Hodler riserverà al Lago di Ginevra, simbolo delle sue rappresentazioni che “riducono all’essenziale forme e colori e trasformano il paesaggio in un simbolo universale del tempo, dello spazio e dell’eternità” (Bezzola). Altra affinità ticinese è quella che lega ‘Maggiadelta’ di Hodler ai ‘Saleggi di Isolino’ di Franzoni, un fatto di linee diagonali che il primo abbandonerà, ma soprattutto un fatto di “dematerializzazione” di cui si dice in catalogo, il “dato sensibile che diventa vibrante sublimazione”.
Nella quarta sala campeggiano anche due delle opere più rappresentative dei due pittori, entrambe destinatarie del secondo premio al Concours Calame di Ginevra del 1895: ‘Il Lago Lemano visto da Chexbres’ di Hodler, da cui nasce il suo tipico paesaggio a composizione ellittica, e il ‘Delta della Maggia’, il dipinto più noto di Franzoni, una veduta del Lago Maggiore dalla riva verso il Bosco Isolino. Quanto al ‘Calame’, Hodler l’aveva vinto nel 1883 con il suo primo grande paesaggio, ‘Alpenlandschaft (Das Stockhorn)’, che a Lugano è in dialogo con il franzoniano ‘Tombe romane a Concordia’ (1887 ca.), in un’assonanza di linee orizzontali e specchiature tra acqua, terra e cielo. In nome degli incroci, il quadro di Franzoni, che ritrae il sito archeologico di Sepolcreto dei militi a Portogruaro, viene presentato nel 1890 all’Esposizione Nazionale Svizzera di Belle Arti di Berna alla quale Hodler è presente con quattro lavori.
Comune di Chiasso, deposito della Confederazione Svizzera, UFC Berna
Filippo Franzoni, Delta della Maggia, 1895 circa, olio su tela
I due quadri in questione ci riportano alla prima sala, che è un racconto breve di linearità. La seconda è invece popolata da ritratti, anch’essi depositari di analogie: il ‘Ritratto di Louise Jacques (?)’ del 1892, una delle interminabili sedute su modello di Hodler, è confrontato allo splendido ‘Ritratto giovanile della domestica Margherita Massera’ di Franzoni (1888 ca); allo stesso modo, il ‘Ritratto della madre’ di Franzoni (1891) si riflette nel ‘Ritratto di una sconosciuta’ di Hodler (1885 ca).
La terza sala è una distesa di alberi dai tratti a volte simili, comprese alcune visioni “a rischio cartolina” (Bezzola) per le implicazioni turistiche dell’arte a quel tempo, e la carriera di Hodler iniziò proprio dalle cartoline. Del quarto spazio abbiamo detto. Del quinto, nel quale albergano opere di matrice simbolista, diciamo partendo dai rapporti coltivati dal Franzoni con la colonia del Monte Verità, ritratto in diverse ‘Apparizioni’. “In queste opere – scrive Sonderegger nel catalogo che ospita anche i contributi di Monika Brunner e Veronica Provenzale –, suggestioni tratte dal vero si intrecciano con elementi mitologici e simbolici, evolvendosi verso esiti sempre più materici e visionari”. Mentre Hodler continua nella sua declinazione monumentale dei temi idealistici (‘Der Niesen von Heustrisch aus’, 1910), Franzoni s’infila nell’introspezione: le tinte sempre più cupe sono specchio della malattia per la quale chiuderà il suo transito terreno in quel di Casvegno, là dove, idealmente, anche la mostra chiude il suo.
Kunsthaus Zürich, deposito Kanton Zürich
Ferdinand Hodler, Selbstdildnis, 1892, olio su tela
Collezione Città di Locarno
Filippo Franzoni, autoritratto, 1903-1905 ca., olio su tavola