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Elisabetta Bursch e l’armonia dei contrari

Alla Fondazione Matasci dal 27 aprile al 21 settembre, a ventisette anni dalla sua ultima esposizione a Riazzino

Fino al 21 settembre
23 aprile 2025
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“Un quadro è l’accordo di ritmi colorati. Un’arte dell’equilibrio, della purezza, della tranquillità che restituisca una pacificazione interiore”. Non stupisca se per parlare di Elisabetta Bursch, la pittrice astratto-concreta esposta alla Fondazione Matasci, ricorro agli scritti di Henri Matisse, pittore figurativo, che in quelle parole condensava la sua concezione di arte. Una poetica assiduamente perseguita anche dalla Bursch nel corso della sua attività artistica.

Nata a Zurigo nel 1923 e sposatasi nel 1943, tre anni dopo emigra con il marito geologo in Venezuela dove comincia a interessarsi di arte; tornata in Europa nel 1960 prende dimora dapprima a Marsiglia e poi a Parigi. Nel 1972 la famiglia torna in Svizzera e si stabilisce a Minusio dove, facendo vita riservata ma salvaguardando amicizie e contatti con artisti locali, svizzeri o parigini a lei affini, si concentra sempre più sulla sua arte, con personali a Zurigo e in Ticino. Dopo la sua morte, nel 2003, sulla sua opera è calato il silenzio. A ventisette anni dalla sua ultima esposizione, la Fondazione Matasci ha voluto dedicarle un omaggio allestendo una bella rassegna accompagnata da un catalogo che riproduce una quarantina di opere; a conferma, una volta ancora, dell’attenzione che la Fondazione ha sempre dimostrato nei confronti del territorio e delle sue migliori espressioni artistiche: che sono poi le vere ragioni per cui essa è nata.

Tensione interna

È noto che l’arte ‘concreta’, rifiutando qualsiasi rinvio esplicito o implicito a elementi figurativi, si esprime con i soli mezzi della geometria e del colore, ma di certo non può consistere in un semplice accostamento di elementi geometrici variati nella cromia. Come dimostrano le sue opere e scriveva la stessa Bursch, nel suo caso il comporre mirava sempre a creare una “tensione che agisca nell’opera stessa” derivante dal contrappunto tra il principio di simmetria ravvisabile nell’adozione e impaginazione di forme regolari e armoniche quali il cerchio, il quadrato o la losanga – posizionate perlopiù al centro di uno spazio compositivo quadrato – e quanto in realtà avviene all’interno di quelle singole forme organizzate sul principio di asimmetria. In altre parole, mirava a un rapporto di armonia e di equilibrio giocato all’interno dell’opera dipinta, negli elementi di cui si compone, ma poi anche tra questa e lo spazio bianco che la accoglie.

Un modo per far sì che tutti gli elementi visibili all’interno della cornice – dipinti a olio, collage, acquetinte – si saldino in un principio di unità relazionata non mai paciosa, ma tesa a conferire la sensazione di un possibile auspicabile accordo tra il fruscìo o il turbinìo della vita e l’aspirazione a un ordine superiore, a un’armonia finalmente raggiunta: e cioè “l’equilibrio nella asimmetria”, come scriveva la Bursch. Forse anche per questo le sue opere ci appaiono così fresche e immediate, in ritmi armonicamente ben definiti, nonostante – aggiungeva – non fossero “concepite spontaneamente o arbitrariamente, bensì quale risultato di un processo mentale assiduo”.