Allo Spazio Officina di Chiasso la mostra a lui dedicata, con particolare riferimento al rapporto tra arte e grafica, dal 25 maggio al 13 luglio
Lo chiama egli stesso ‘Immaginario dipinto’ e a Chiasso è sintetizzato in un centinaio di opere esposte allo Spazio Officina, sede da domani al 13 luglio di un nuovo approfondimento tematico su un artista contemporaneo legato per nascita od operatività a questo cantone. Tocca a Samuele Gabai, con particolare attenzione al suo rapporto con la grafica. A curare la mostra sono Nicoletta Ossanna Cavadini, direttrice del m.a.x. museo, e Renato Giovannoli, filosofo e semiologo della cultura, ‘autori’ di una visione d’insieme che tocca la pittura, l’incisione, la scultura, i libri d’artista e molto altro.
Per ‘Samuele Gabai – Un immaginario dipinto’, lo Spazio Officina assegna alle ‘Stanze dell’arte’ nelle quali è divisibile i temi cardine della produzione dell’artista: dalle ‘Strane Presenze’ (“trasformazione-elaborazione della figura come simbolo della condizione esistenziale”, dal saggio di Ossanna Cavadini che apre il catalogo della mostra), al tema centrale della sua vita artistica, ‘Matres Matutae’, dalle ‘Donne della Bibbia’ (opere di grande formato tra le quali spicca ‘Maria’, 2020), alla riflessione sulla morte intitolata ‘Crape e Grumi’ (riflessione che tocca anche Gaza in un ammasso di corpi che porta il nome della città martoriata), fino alle sezioni dedicate alla poesia del colore, intitolate ‘Selve’ e ‘Cieli’.
Carlo Pedroli
Nel suo atelier
Nato a Ligornetto nel 1949, Samuele Gabai si trasferisce a Milano nell’immediato post-Sessantotto, vivendo fermenti e tumulti di quegli anni. Si diploma a Brera nel 1973 non prima di avere appreso, nel 1972, la tecnica del mosaico e dell’affresco alla Scuola di arti applicate del Castello Sforzesco di Milano. In quello stesso anno frequenta il corso di Lettere Applicate di Roberto Sanesi (traduttore di T.S. Eliot e John Milton), al quale sarà grato per avergli trasmesso l’amore per la poesia, e vive ogni momento culturale che Milano gli offre, dalle conferenze ai concerti al teatro. Nel 1974 torna in Ticino, tiene la sua prima personale a Chiasso e si stabilisce a Campora, nella Valle di Muggio, scegliendo Vacallo quale sede del suo atelier senza mai staccarsi definitivamente dalla vita culturale milanese. Dal 1982, grazie alla Borsa federale per le Belle Arti, vivrà anche la vita culturale romana, per due anni di soggiorno all’Istituto svizzero di Roma.
Tante sono le personali e le collettive nella carriera di Gabai; sue opere sono nella Biblioteca nazionale tedesca e in quella nazionale di Berna e cantonale di Lugano; a Francoforte, al Masi, a Villa dei Cedri, al Museo d’arte di Mendrisio e al Centro Internazionale per l’Arte e la Grafica di Chiasso (Ciag).
Sempre nel suo saggio, Ossanna Cavadini vede nei taccuini il punto di partenza per la comprensione di Gabai, oggetti che rappresentano una sorta di “specchio dell’anima” fatto di citazioni, schizzi, pensieri “fissati sulla carta come da un sismografo mentale”. In mostra ve ne sono 7. Gabai è inizialmente affascinato dall’osservazione della natura come “forza primordiale e generativa” (la Roccia madre, Leitmotiv della sua ricerca), poi vira verso una fase più astratta durante la quale natura e umano, paesaggio e figura sono punto di partenza per un’indagine spirituale. Con l’andare del tempo, le sue prove si fanno più luminose, fino ai Cieli che chiudono la mostra.
Franco Mattei
Se cade il cielo, 2021 - Olio su tela 60 x 60 cm
“Di solito preferisco non parlare, ma devo parare i colpi”. Gabai invita a togliere tutti i superlativi pronunciati dai curatori durante la presentazione della mostra; dice “non sono una persona così piacevole” (gli ex alunni del Csia di Lugano lo ricordano diversamente) e ci tiene a ricordare che, “come diceva il Chiesa, il Ticino è la Repubblica dell’iperbole (o ‘iperbiopoli’, ndr)”. Nel suo intervento ricorda i giorni di Brera, testimonianza antica dell’odierno suo essere: “Sentivo il bisogno di dipingere, prendevo tela e pennelli e mi mettevo in un angolo; un compagno di studi, del Sud Italia, buttava un occhio di tanto in tanto e mi diceva ‘bello, ma è sempre pittura!’. E aveva ragione, ho fatto solo pittura. Anche l’incisione per me è pittura”. E le incisioni sono 16 tra acqueforti, acquetinte e puntasecca, parte di un corpus di oltre cento opere fra grafiche, tele materiche di piccolo e grande formato, realizzazioni plastiche, taccuini, schizzi e libri d’artista, questi ultimi in numero di 17. Intorno a essi si è concentrata la produzione più recente di Gabai: i ‘Quaderni’ sposano i contributi poetici di – tra gli altri – Marco Ceriani, Fabio Pusterla, Franca Grisoni, Alberto Nessi, Antonio Rossi, Anna Ruchat ed Enrico Testa. E ci sono i bronzi, in numero di nove.
Le sculture stanno giusto al centro delle Stanze dell’Arte. Sono soprannominate dall’artista ‘Semiminime’. Come le note. C’entra la formazione musicale bandistica di Gabai, come spiega Ossanna Cavadini, che nel passare dal tubetto di colore distorto della prima semiminima al più complesso bronzo contenuto nell’ultima teca vede un’assonanza, una progressione ascendente del tutto musicale. Gabai la spiega così: “Le ho chiamate Semiminime perché non sono sculture e non voglio darmi aria da scultore. Le ho sempre considerate dei divertissement. Poi, quando qualcuno guardandole mi ha detto ‘c’è qualcosa’, le ho fatte fondere”. Cita Miró, Picasso (“Guardate cosa ha fatto da un sellino di bicicletta”, riferendosi alla ‘Testa di toro’) e dice: “Tutto può essere scultura, come tutto può essere pittura”.
Tra gli eventi collaterali si segnala la conferenza di Renato Giovannoli ‘Mater materia. La forza espressiva dell’opera di Samuele Gabai’, il 4 giugno al Ciag.
Carlo Pedroli
Samuele Gabai, n. 4, 2022 - Fusa in bronzo con patina bianca (nitrato d’argento e polvere di titanio) dalla Fonderia Perseo (Andrea Ziino), Mendrisio h. 34 cm