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‘Path of Totality’ e ‘Knowing Bodies’, due mostre che si incontrano a metà strada

Lo scopo comune: interrogare il rapporto tra corpo, gesto e linguaggio. Fino al 10 gennaio a Casa Rusca, Locarno

Monia Ben Hamouda Interlude for Revolutionaries II (The Destruction of the Idols of Ka’ba), 2023 - legno carbonizzato, carbone, tessuto, gesso, polveri di spezie, 91.5 x 98 x 68 cm
(Andrea Rossetti © The Artist and ChertLüdde, Berlin)
22 settembre 2025
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Fino al 10 gennaio, a Casa Rusca l’aria saprà di curcuma e cemento. Due mostre si affiancano: ‘Path of Totality’, la prima personale in un museo svizzero di Monia Ben Hamouda e la collettiva ‘Knowing Bodies’ per interrogare il rapporto tra corpo, gesto e linguaggio. Due esposizioni che, almeno sulla carta, non c’entravano niente l’una con l’altra, ma che hanno finito per toccarsi, al pianterreno del museo, come due correnti che improvvisamente condividono lo stesso letto.

“Sono da sempre interessata a pratiche artistiche che lavorano con il gesto”, ha detto la curatrice Gioia Dal Molin nel suo discorso inaugurale, “e per me è stato naturale aprire un dialogo, in ‘Knowing Bodies’, tra Simone Forti che – con la sua body knowledge è una figura fondamentale – e un gruppo di artisti contemporanei”. La personale di Monia Ben Hamouda, invece, si muove su un altro registro: una panoramica delle sue ricerche, che intrecciano storie e tradizioni della cultura araba.

Due percorsi distinti, che però finiscono per incontrarsi, dove i “disegni esplosi” a matita colorata di Monia Ben Hamoud si incontrano con quelli di Simone Forti. “Entrambe lo fanno con questa idea di portare emozioni o idee che abbiamo nella testa tramite il movimento del braccio, mano sulla carta”, spiega Dal Molin. “All’inizio erano previsti come due progetti separati, che poi si sono avvicinati perché ho capito che anche nel lavoro di Monia c’è un momento performativo, quando lancia le spezie su queste tele”.


Galleria Raffaella Cortese, Milano - Albisola
Simone Forti Rubbings, 2015 grafite su carta, 43 x 35.5 cm

La mostra collettiva, ‘Knowing Bodies’, si presenta come un laboratorio multiforme: video, disegni, installazioni. Simone Forti è la figura pioniera della danza postmoderna, sempre restia a riconoscere confini tra scultura, danza e performance. “Si parte da Forti”, spiega Dal Molin, “e poi ho provato a mettere insieme un gruppo di artisti che condividano con lei temi e ricerche sul corpo”. Attorno a Forti, le declinazioni contemporanee non sono “allievi e maestra”, ma linee di ricerca che si incrociano e ne esce un dialogo intergenerazionale, più che una gerarchia, in cui il gesto diventa materia politica. “Steffani Jemison si interessa al modo in cui i corpi delle persone afrodiscendenti possono o non possono immergersi negli spazi urbani; Lenio Kaklea presenta un video in cui lingua, segni e corpo si uniscono; Marta Margnetti affronta il tema della cura del corpo, ricordandoci che in esso si intrecciano sempre livelli privati e politici. Anche Katja Schenker lavora con le forze del corpo, Jeanne Tara ha realizzato strutture in acciaio che ci guidano nello spazio, Isaac Chong Wai evoca movimenti collettivi di cura, mentre Juliette Uzor presenta un lavoro fatto a mano con mille perline e una performance”.

Una piccola retrospettiva

Il titolo della mostra, ‘Path of Totality’, è preso in prestito dall’astronomia: il corridoio terrestre in cui un’eclissi diventa totale. “Per Monia questa oscurità è anche una metafora dello stato attuale del mondo”, sottolinea Dal Molin. Lo traduce nell’allestimento di quello che Ben Hamouda stessa definisce una piccola retrospettiva: due zone, una luminosa con due soli e una scura. “Ci sono diversi lavori degli ultimi anni. La mia comfort zone è più scultorea, ma c‘è la parte pittorica, che è sempre più importante nel mio lavoro”, dice l’artista italo-tunisina. Da quadri realizzati durante la residenza all’American Academy di Roma, le sculture con un’installazione luminosa e una monumentale installazione di legni secolari – materiali del ’600 e dell’800 raccolti in Ticino – riproposta per la prima volta. In cui non manca la sua firma: l’uso delle spezie che stuzzicano le narici appena si entra in sala, anche se ammette di aver limitato l’uso del peperoncino questa volta. “Mi piace che l’opera entra all’interno del corpo dello spettatore. C’è qualcosa che io non posso controllare e il fatto che il lavoro ti cambi fisicamente”. Nei suoi quadri, che credevo molto più piccole dalle immagini, si legge la fatica di gestire l’ampiezza, la tirata del tessuto e doverlo spostare e il tentativo di perdere il controllo. “Ci sono questi dipinti appesi all’esterno che cambieranno con le stagioni: non li posso controllare, perché ci pioverà sopra. È un po’ come pensare alla transitorietà dell’artista: non sai cosa succederà al tuo lavoro quando non ci sarai più. È anche un modo per liberarsi, per smettere di essere sempre madre del proprio lavoro e lasciarlo andare”.

Se nei dipinti monumentali è la scala a imporre il rischio di perdita di controllo, nei disegni su carta scura è la storia stessa – quella personale e quella collettiva – a chiedere una riduzione, una concentrazione che si è evoluta nel tempo in una risposta alla contemporaneità, dopo il 7 ottobre. “Mi è venuto naturale cercare uno spazio più piccolo su cui lavorare con tutti i miei disegni, al confronto di altri miei lavori. Ma anche nei dipinti sto lavorando tanto sullo scuro: è una virata quasi sul naturale. Vuoi perché c’è tutta questa questione del bruciato, vuoi per tutte le cose che stanno succedendo nel mondo”.

Le due mostre, pur diverse, condividono una stessa urgenza: portare il corpo – con i suoi limiti, i suoi odori, la sua fatica – al centro della percezione. Come ha ricordato la curatrice, “anche se non c’è un legame diretto, a Locarno c’è già una storia al riguardo: con Monte Verità e tutto l’approccio della danza moderna, fino al teatro. Il mio riferimento è piuttosto quello storico, dove questo rapporto tra teatro, corpo e movimento era già presente”.


Isabelle Meister Galleria Raffaella Cortese, Milano - Albisola
Simone Forti, Solo Animation, Salle Patiño, 1994 - set di 2 fotografie b/n, 24.1 x 16.5 cm (ciascuno)