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I bambini di oggi, ‘Il popolo di domani’  

Per festeggiare i suoi primi 25 anni di vita, il Museo in erba di Lugano ospita suoni, forme e colori interattivi di un immersivo Charles de Castelbajac

Dal 27 settembre al 17 maggio 2026. Gli orari d’apertura e tutte le informazioni su www.museoinerba.com
(laRegione)
26 settembre 2025
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Venticinque anni di attività, quarantotto mostre, tremila atelier per centottantamila visitatori trascinati (per entusiasmo) in esperienze artistiche e creative per bimbi di tutte le età e provenienza. È il Museo in erba di Lugano, quello che fa scoprire l’arte ai bambini giocando. L’affollato incontro di presentazione della nuova mostra, oltre a illustrarla, ha sancito anche il già annunciato passaggio di consegne tra Loredana Bianchi, fondatrice del museo e direttrice per il primo quarto di secolo, e la nuova direttrice, Céline Cavallo de’ Paoli, con il vicesindaco Roberto Badaracco a ‘benedire’ il momento.

Per la sua festa di compleanno, il Museo in erba – tramite il Centre Pompidou, del quale è dal 2011 partner del Service de la médiation culturelle – si è affidato all’artista e stilista Jean-Charles de Castelbajac e a un mondo di segni e simboli da lui creato per i bambini di oggi, che sono poi ‘Il popolo di domani’, titolo di quanto si può vivere dal 27 settembre al 17 maggio 2026. In questa esperienza immersiva suddivisa in quattro zone, che ha la musica del 29enne cantautore francese Julien Granel, i bimbi possono creare guidati dalle emozioni e dalla fantasia. Guardati dal grande totem della vita che domina la sala, possono inventarsi una bandiera aggiungendo i simboli messi a disposizione e applicandoli a bandiere di base pronte sul pavimento, per creare l’emblema che più li rappresenta. Oppure saltare sui disegni del gioco della campana, anche detto ‘Mondo’, e farli suonare (lo abbiamo fatto: è una figata). L’esperienza più semplice è quella del giocare con forme e simboli in gommapiuma per creare altri totem, quella più coinvolgente è ‘Ballare con i simboli’, di cui diremo tra poco.

Tra moda e araldica

Nella biografia di Jean-Charles Castelbajac si legge che “le costrizioni e le privazioni vissute in undici anni di collegio religioso” hanno prodotto in lui – ben venga – “uno spirito ribelle e un’energia creativa guidata dalla poesia, dal gioco e dal colore”. Nel 1976, l’incontro con l’artista dadaista Raoul Hausmann lo porta a scoprire il valore espressivo dei materiali poveri; l’ispirazione trovata nell’arte contemporanea, nella musica, nella pubblicità e nelle bandiere (ama araldica, stemmi e geroglifici, e a Lugano lo ricorda) lo porta a creare i primi abiti, anche se la moda è sempre stata per lui “un mezzo per la mia arte”. Nel 1978 fonda la maison che porta il suo nome, dentro la quale nascono abiti concepiti come “sculture performative e quadri viventi”. In lui vivono pop art e street art, il segno, le parole e i colori blu, rosso e giallo, filo conduttore dell’intera carriera. Nel dicembre del 2024, il francese ha vestito i settecento celebranti della cerimonia di riapertura della cattedrale di Notre-Dame, una botta di allegria che ha toccato, non di meno (e forse anche in nome delle privazioni di cui sopra), i paramenti liturgici.

La stanza dei bottoni

La francesizzazione dei vocaboli italiani è anch’essa una forma artistica. È nel suo musicalissimo italiano, a margine dell’ufficialità, che con Jean-Charles de Castelbajac ripercorriamo idealmente la mostra contestualizzandola, per esempio, ai tempi che i bimbi stanno vivendo. «Il primo ruolo dell’artista – ci dice – è quello di contaminare il mondo di gioia e ottimismo. Da anni, in fondo, i media ci mostrano soltanto una parte del mondo e non è mai quella migliore. ‘Il popolo di domani’ parla ai bambini ma anche ai genitori, affinché non li accompagnino alla mostra solo per fare da porta abiti, ma per partecipare attivamente». Se anche questo episodio dedicato ai bimbi è un unicum, «in tutta la mia carriera non mi sono mai dedicato a categorie uniche di persone», spiega l’artista. «Nel mio lavoro per la riapertura di Notre-Dame, per esempio, ho messo la stessa passione con la quale ho concepito questa mostra, la passione per un linguaggio positivo».

Di tutte le installazioni, la consolle del dj che accompagna le emozioni con la musica è luogo sempre affollatissimo, ci dicono, ed è comprensibile, vuoi per la popolarità della figura del dj, vuoi per il fascino senza tempo di pulsanti, leve e levette con i quali modulare, filtrare, deformare, ‘scratchare’ il suono, le funzioni offerte da quella che è una specie di pacifica stanza dei bottoni (siamo in possesso di fotografia dell’onorevole Badaracco in versione “Dj Bada”, come un insospettabile lo ha ribattezzato in sala). Lo stesso vale per i tablet sui quali disegnare bandiere digitali. «Sono convinto – dice ancora da Castelbajac, appassionato di musica elettronica – che per coinvolgere i giovanissimi all’arte si debbano utilizzare elementi del loro tempo, da Instagram al mondo dei dj, e la consolle non è importante solo in quanto tale ma anche come sintesi di musica ed emozioni, è un parlare senza le parole, da integrare con la manualità del disegno, delle forbici per fare il collage». Perché sopra una nuvola rossa, le bandiere si possono anche fabbricare e colorare a mano.

Cemento della socialità

“Abbiamo fatto 160mila persone”, aveva detto de Castelbajac nel presentare la mostra riportando dati parigini, corretto però da Isabelle Frantz-Marty, curatrice dell’esposizione per il Centre Pompidou, secondo la quale le persone sarebbero state 150mila. “Noi del sud della Francia aggiungiamo sempre qualcosa”, aveva risposto l’artista, strappando ai presenti l’esperienza immersiva della risata di gruppo. Comunque sia andata, «a Parigi il successo è stato grandissimo – ci dice il francese –, a Shanghai anche». Perché «oggi una mostra d’arte non è più appendere un quadro al muro, ma l’immersione nell’emozione di fare qualcosa insieme». E se il pubblico gradisce, «le istituzioni anche, ma solo una volta sperimentata la mostra o a mostra conclusa, perché all’inizio sono sempre diffidenti», atteggiamento che riguarda «la cultura nella sua totalità», non solo le mostre d’arte. «Le istituzioni spesso non capiscono che per educare la gioventù non basta il calcio. In un mondo in cui lo smartphone è un potenziale atelier d’artista, in un momento in cui la nuova generazione padroneggia il digitale, una mostra o un evento culturale immersivo possono davvero trasformarsi nel nuovo cemento della socialità».

Poco prima, Jean-Charles de Castelbajac, portatore sano di positività, il suo atelier d’artista l’aveva estratto dalla tasca: “Ho il telefonino come tutti, ma porto sempre con me il mio kit”, e dalla tasca se n’erano usciti un pennarello di grandi dimensioni e un gessetto bianco, protagonista quest’ultimo di un momento di street art. “Ovunque io vada, su tutti i muri disegno da trent’anni sempre questa cosa…». In poche decine di tratti, rapidamente, come una poesia raccontata a memoria, sulla parete blu del Museo in erba aveva preso vita un angelo. Subito sotto, due parole: “Lugano” e “Love”.